• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Una sentenza di condanna dei partiti per discriminazione

È la prima volta che accade. Ed è una di quelle prime volte che non dimenticheremo. Non solo perché da tempo ci battiamo per un uso corretto e rispettoso dei termini, non solo perché la primavera scorsa sentire e leggere quella parola ci fece inorridire, ma perché questa è la prima volta che in Italia viene depositata una sentenza di condanna dei partiti per discriminazione. La giudice del tribunale di Milano, Orietta Micciché, ha condannato la Lega e il Pdl per l’uso del termine “zingaropoli”, durante la campagna elettorale per le comunali del 2011. Micciché scrive: «Emerge con chiarezza la valenza gravemente offensiva e umiliante di tale espressione, che ha l’effetto non solo di violare la dignità dei gruppi etnici sinti e rom, ma altresì di favorire un clima intimidatorio e ostile nei loro confronti».
Poco importa il commento di giornali che, per difendere il capo, scrivono spocchiosi di esser stati «condannati per aver predetto il futuro», perché «gli “insediamenti abusivi” (scritti non a caso tra virgolette, ndr) sono aumentati». Ci piace pensare non solo che in Italia i partiti non siano immuni da condanne per un uso discriminatorio e razzista del linguaggio, ma anche che i giornalisti sentano forte l’inevitabile richiamo a una responsabilità dell’informazione, rifuggendo l’uso di riportare termini che diffondono nella società germi di xenofobia e discriminazione solo per un concetto distorto di dovere di cronaca.
Ci viene alla mente l’esercizio verbale proposto dal gruppo Giornalisti contro il razzismo: sostituire la parola “rom” con “ebreo”. Che effetto fa leggere “emergenza ebrei” (al posto di “emergenza rom”), “censimento degli ebrei” (“censimento dei rom”) o “giudopoli” invece che “zingaropoli”? Crediamo che il “giochino” si commenti da solo…

Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane del 14/06/2012