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Armi di distrazione di massa. La guerra in Iraq (20 marzo 2003)

In principio erano le armi di distruzione di massa. Per prevenire il terribile attacco di Saddam al resto del mondo. Poi si scoprì che le armi non c’erano, dunque non c’era nulla da prevenire. Allora si disse che bisognava colpire, a Baghdad, il più terribile alleato e foraggiatore e protettore di Al Qaeda. Poi si scoprì che i due nemmeno si conoscevano, anzi si odiavano.
Poi si disse che eravamo lì per liberare gli iracheni da Saddam e dai suoi aguzzini della Guardia repubblicana.
Poi si scoprì che molti dei suoi aguzzini della guarda repubblicana, appena catturati, venivano travestiti da ufficiali del governo provvisorio insediato dagli angloamericani e rimessi in pista.
Allora si disse che bisognava restare perché gli iracheni lo volevano, infatti ci accoglievano come liberatori.
Poi si scoprì che ci sparavano addosso. Allora si disse che eravamo lì per esportare la democrazia. Poi si scoprì che, già che c’eravamo, esportavamo anche la tortura (per esempio nel carcere di Abu Ghraib), della quale peraltro l’Iraq era da tempo discreto produttore.
Allora si disse che bisognava restare per riportare la pace in Iraq, contro una guerra che prima non c’era e che avevamo scatenato noi.
Poi si scoprì che la pace faceva più morti della guerra.
Allora si disse che bisognava restare per combattere il terrorismo. Poi si scoprì che di terroristi in Iraq non ce n’erano, almeno prima dello sbarco delle truppe occidentali: ne arrivarono a migliaia da tutto il mondo arabo e ne sorsero molti in loco, dopo il nostro arrivo; insomma, il terrorismo, da quando lo combattiamo aumenta.
Allora si disse che bisognava restare altrimenti sarebbe scoppiata la guerra civile fra sciiti e sanniti. Poi, consultando i libri di storia, si scoprì che quella irachena non conosce guerre civili, ma grazie alla nostra presenza sul posto ottenemmo anche questo risultato: scatenare la prima guerra civile della storia dell’Iraq.

Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti, 2007