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Il valore di una vita

“Dobbiamo abbassare lo spread e il debito pubblico”. Questa frase,come un mantra, è entrata oramai nel nostro lessico quotidiano, tutti ne parliamo, anche più volte al giorno. E mentre la politica si dispera dietro al valore del danaro si perde sempre più di vista il valore della vita.

Per questo non ho potuto fare a meno di notare l’articolo pubblicato sul Resto del Carlino che racconta di un uomo disoccupato di cinquasette anni che ha rubato un paio di mutande e un dentifricio.

Colto in flagrante come solo un inesperto può fare, è crollato nella disperazione. Provate a pensare che umiliazione, che vergogna, che ingiustizia. Vero, il furto è reato e niente lo giustifica, ma quest'uomo ha visto comparire la sua storia sui giornali per un furto di dentifricio, non per un assalto a una gioielleria.

Avete mai provato ad esser poveri? E disperati?Molti potrebbero obiettare che i poveri ci son sempre stati. Vero. Ma esser poveri in una società capitalistica non è propriamente la stessa cosa che esser poveri a seguito di una guerra o affini. Tuo figlio è costretto a interagire a scuola, a vedere in tv e su internet, a vivere insomma, in un ambiente in continuo confronto. E così ecco le letterine a Babbo Natale, identiche a quelle di qualsiasi altro bambino: Barbie, mostri, giochi per pc… desideri tutti uguali, e…costosi. Il bimbo del disoccupato sogna come il bimbo dell'industriale, ma il babbo disoccupato purtroppo non può permettersi di accontentarlo. C’è poi il pensionato, una persona che dopo una vita di sacrifici, dopo aver costruito tutto, avrebbe voluto rilassarsi e godersi il meritato riposo. Invece si ritrova letteralmente con le pezze al culo, a rubacchiare al supermercato, a mangiare alle mensa Caritas o a impegnare i valori di una vita ai Monti dei Pegni, come abbiamo visto ieri a Servizio Pubblico. E poi i giovani. Disoccupati, schiavi di un istruzione che non funziona,definiti bamboccioni, costretti a emigrare come i nostri avi per un futuro degno di questo nome. Anche lì mille fragilità: oggi, a fine2011, alcuni muoiono ancora nei cessi pubblici con la siringa attaccata al braccio o per pasticche tagliate con mille schifezze.

Tutte storie unite da un unico filo comune, la politica. Per troppo tempo abbiamo detto: “la politica non mi interessa”, sbagliando. Se anche a noi non interessa, lei si interessa di noi continuamente e detta le scelte e le condizioni della nostra vita. E un dato emerge forte: la politica del 2011 non sa dare risposte. Non sa rispondere al padre che vorrebbe un lavoro per poter acquistare quelle cose che abbiamo fatto diventare indispensabili; non sa rispondere al pensionato, né al giovane. Non sa cosa fare per un giovane che muore di overdose all’interno di un università, come è successo l'altro giorno a Firenze.

Non sa, o non vuole.