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Riflessioni sulla crisi rispetto alla politica (Buratti Gino)

Pubblichiamo queste riflessioni sulla “crisi della politica”, in un momento in cui sembra che i partiti propongano nuove aggregazioni (Partito Democratico, Cantiere della Sinistra, Centro di Mastella), nella speranza che questo notiziario possa ospitare un dibattito ricco e più ampio (chiunque voglia scrivere le proprie riflessioni può farlo inviando il proprio contributo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)


La recente inchiesta svolta da “Il Manifesto” in alcune fabbriche del nord e in alcuni circoli di PRC, nonché la “crisi rispetto alla politica”, che si manifesta ormai con l’ampia scelta del “non voto” o del “voto di protesta” e con l’affermazione sempre più ricorrente “siete tutti uguali”, richiede alle forze politiche l’umiltà e la capacità di interrogarsi profondamente, evitando di ridurre il tutto semplicemente ad una “deriva antipolitica”, poiché procedendo su questa strada il rischio reale è quello di spezzare il patto di democrazia, che si fonda, a mio avviso, essenzialmente sulla partecipazione e sulla cittadinanza attiva: democrazie nella quale ampi settori della società si sentono disgustati dall’impegno politico sono democrazie malate, che hanno bisogno di essere rivitalizzate (uso di proposito il plurale, convinto che non esiste un unico modello di democrazia).

Rispetto alla “distanza rispetto alle forme della politica” ho la sensazione che si proceda sempre di più ad accentuarla, riducendo l’agire politico a qualcosa che riguarda gli addetti ai lavori, e non andando invece a sviluppare una redistribuzione dei poteri dell’azione politica rispetto alle persone in carne ed ossa.

Se non saremo capaci di scavare dentro alle domande e alle richieste che si celano dietro a questa “disillusione rispetto all’impegno politico” vedo tempi grigi per la nostra democrazia e per il ruolo che i partiti possono avere, in un’ottica in cui le pratiche di democrazia non possono ridursi semplicemente all’espressione del voto, bensì andare a sviluppare e ampliare il protagonismo attivo delle persone, in una logica partecipativa.
Sicuramente l’analisi di queste domande è complessa, tuttavia mi preme sottolineare alcuni aspetti che, secondo me, hanno una certa importanza e che non possiamo continuare ad eludere:

• “il senso di appartenenza” ad un sistema di valori e di orizzonti condivisi da parte di una comunità politica.
• “il senso di identità” verso quella comunità, che non significa appiattimento acritico, ma semplicemente sensazione di vicinanza ideale e di condivisione dell’agire politico quotidiano, ma nemmeno quell’esasperazione identitaria che spinge ciascuno a coltivare il proprio orticello.
• La necessità di percepire “coerenza politica” tra gli obiettivi ed i mezzi attuati, tra principi enunciati, pratica politica e programmi attuati… che sia verificabile nell’agire quotidiano, sia a livello nazionale che locale.
• L’esplicitazione chiara delle prospettive e dei punti di vista dai quali i soggetti della politica (quindi le forze politiche, i movimenti, le organizzazioni sindacali, l’associazionismo…) si pongono nell’osservazione dei fenomeni sociali (ambiente, pace, precarietà, equità fiscale, sicurezza, immigrazione, marginalità, povertà, giustizia… possono essere osservati da diverse prospettive, a seconda dell’orizzonte nel quale ci muoviamo e del sistema dei valori e degli interessi che si è scelto di rappresentare).
• Rafforzare una “sana” autonomia tra le culture espresse da ciascun soggetto della politica e l’azione tipica del governo, che è frutto di una mediazione alta tra soggettività diverse.
• Comprendere come la lettura di un territorio necessiti diversi punti di vista e quindi la necessità reale di un contagio reciproco tra partiti, movimenti e associazioni: ma questo richiede a monte il riconoscimento del ruolo dell’altro ed una redistribuzione in termini di poteri della politica nel territorio. Una pratica di ascolto che si traduca nelle scelte programmatiche, negli stili dell’agire politico, ma anche nelle scelte di governo (la scelta del candidato a sindaco, le scelte degli assessori…)

Ci viene chiesta quindi chiarezza e trasparenza, sia nella vita interna dei partiti (esplicitando con nettezza le ragioni e le cause dei conflitti interni), nei programmi, nelle scelte politiche… sapendo che ogni necessaria mediazione non deve comportare una riduzione dell’orizzonte nel quale un soggetto politico si muove.


La sensazione invece è che vi sia un processo di annacquamento dei valori, in un tentativo di trovare una maggiore omogeneità tra forze politiche in un procedere al ribasso.
Tutto ciò, secondo me, diminuisce ancora di più la percezione di identità e il senso di appartenenza, che non è più fondato su valori forti e radicati, ma sempre più su un sistema di proposte programmatiche.

Se da un lato è innegabile come sia necessario superare certe frammentazioni che forse hanno perso il loro significato, dall’altro credo che sia indispensabile rendere questi processi trasparenti e strettamente legati ad un cambiamento profondo, non semplicemente dei contenitori, ma della mentalità e della forma dell’agire politico, dentro un riferimento ideale e di valori rispetto alla quale è necessario delineare i programmi politici e le risposte al disagio delle persone, ma con l’obiettivo, non di ridurre il tutto alla conta dei voti, ma per favorire il senso e il bisogno di protagonismo delle persone, la cittadinanza attiva, sulla quale può essere costruito un diverso modello di democrazia.
Ed è un tema questo che investe le forze moderate (nel momento in cui vanno a costruire il Partito Democratico), ma anche le forze di Sinistra (nel momento in cui si lavora per il cantiere della Sinistra) , ma , in forme diverse, la stessa destra.

Dinanzi ad una caduta del senso di appartenenza e dell’identità il tema che va posto all’ordine del giorno è il sistema dei valori, poiché solo in una chiarezza dei riferimenti ideali e valoriali (legati ai soggetti dai quali partire) è possibile costruire un percorsi di dialogo e di comunicazione, anche all’interno di un processo conflittuale, all’interno dei quali possono anche sorgere nuove forme aggregative.
Il sistema di valori, tuttavia, non è qualcosa di neutrale, che si spalma indifferentemente su tutte le categorie sociali (o quanto meno ha cadute diverse su queste), richiede scelte di campo esplicite, perché solo rispetto a quelle io posso esprimere pienamente il mio bisogno di identità e il mio senso di appartenenza.

Non a caso ad esempio ancor più che di orizzonti e modelli di società e di sviluppo, sentiamo parlare solo di bisogno di governabilità, come se il “governo” diventasse di per sé un valore e non semplicemente come una fase necessaria nella quale prendono consistenza i sistemi di valori; ma al tempo stesso sembra sfuggire al dibattito “per chi e per che cosa vogliamo governare”, per cui anche i naturali elementi di conflittualità tra forze che governano diventano semplicemente fatti che disturbano, e non energia per cercare sintesi più elevate.

Quando mi capita di assistere ai tanti pellegrinaggi sulle terre di Don Milani a Barbiana da parte di politici, mi interrogo se sia chiaro come Don Milani abbia rappresentato (e rappresenta nella sua profonda attualità), non solo un momento di rottura con un sistema sociale, ma qualcosa di ben più profondo, la ricerca di un sistema di valori radicato, rispetto ai quali il conflitto va alimentato, perché solo in conflitto permette un confronto tra diversità, e solo il conflitto è capace di denunciare le situazioni di ingiustizia… in relazioni nelle quali “il senso critico” è alla base di ogni scelta (vivo il timore che si voglia anche “normalizzare” il priore di Barbiana).

Per questo motivo la sfida a cui siamo chiamati non è semplicemente quella di “inventare” cose nuove, costruendo spazi che possano contenere tutto e il contrario di tutto, ma quella invece di ridisegnare un sistema di valori di riferimento (fatto questo che non può essere neutrale e impone di scegliere quali interessi vogliamo tutelare) dentro ai quali “inventare” un’agire politico nuovo, che saldi al suo interno coerenza tra obiettivi e mezzi… e al tempo stesso permetta un dialogo alto tra diversità, alla ricerca di una mediazione che sia solo finalizzata al governo o a percorrere pezzi di strada insieme, sperimentando fin da oggi, in maniera visibile, agire politici, parzialità, capacità di ascolto diversi, sapendo dare vita a forme dell’azione politica coerenti e innovative fin da adesso.
Invece, ancora una volta, il dibattito e le analisi non entrano nella complessità dei fenomeni, all’interno delle domande che vengono poste dai cittadini, ma si costruisce un percorso sempre più leggero e mediatico, nel quale viene proposta la tesi che solo con “nuovi partiti” si potrà sperimentare un agire politico diverso…

Se non vogliamo “suicidare la politica” non possiamo permettere di ridurre il tutto ad un maquillage incomprensibile, che non desta nessuno entusiasmo, che non suscita passioni, perché, secondo me, non risulta visibile (perché forse assente) la volontà né di trasformare radicalmente le forme dell’agire politico, né di mettere al centro processi decisionali che realmente sia partecipati, né di voler cambiare radicalmente lo qualità dello scontro tra i rapporti di forza, spostandoli da posizioni cristallizzate a pozioni dinamiche legate a valori precisi, sperimentando in questa realtà forme di dialogo e di condivisione di cammino, partendo proprio dalle proprie diversità, ma mettendosi in gioco nel tentativo di condividere le verità dell’altro.

Iniziare un percorso diverso di collaborazione tra soggettività differenti… un percorso nel quale ciascuno sperimenti la propria parzialità, riconoscendo quella dell’altro… perché solo allora potremmo costruire una cosa veramente nuova, frutto di un processo che si sviluppa naturalmente e non, come rischia di capitare adesso, in maniera verticistica o strumentale.

E’ una sfida diversa quella a cui siamo chiamati, la capacità cioè di rimetterci in gioco, senza negare la propria storia, ma mettendo in discussione un sistema di poteri e modalità di rapporti che hanno ingrigito (per usare un eufemismo) le forze politiche: un’operazione cioè non di facciata, ma che va ad incidere nella sostanza… che sia l’avvio di un percorso a conclusione del quale possono essere messe in campo anche realizzazioni di cose nuove, ma che siano il naturale sviluppo di un processo.
Tutto questo è necessario per rispondere al malessere della società, perché questo disagio pone al centro il tema della democrazia e della partecipazione, come fondamento veramente di ogni rinnovamento della politica.

Anche lo stesso dibattito sulla “legge elettorale” che ormai da quindici anni ci viene proposto periodicamente, risulta sempre falsato nella sua essenza, perché attribuisce al sistema elettorale il potere taumaturgico di risolvere la crisi della politica, perdendo di vista come una legge elettorale debba solo e soltanto garantire una decorosa governabilità all’interno tuttavia di una rappresentanza delle diverse culture che nel nostro sistema sociale esistono: pensare che la legge elettorale debba ridurre ad unità ciò che ancora diverso è, semplicemente per un puro calcolo di voti, ha come effetto proprio l’allontanamento dalla politica, la caduta dell’identità e del senso di appartenenza.
Una legge elettorale può solo comprendere questa pluralità, senza soffocarla… per poi adattarsi man mano che questa complessità si semplifica, ma sempre con l’obiettivo di ampliare la partecipazione e gli spazi di democrazia: d’altra parte a chi sostiene che il maggioritario aiuta un sistema bipolare, l’esperienza di questi anni insegna che in Italia è accaduto proprio il contrario, ma non perché è innato nel sistema (nei paesi anglosassoni ciò non accade), semplicemente perché non rispecchia la cultura politica della società italiana… ed io diffido da quanti vogliono cambiare le culture di un paese con le leggi… le leggi aiutano i cambiamenti, ma solo quando queste camminano insieme ai processi culturali.

Rinnovare la politica significa veramente far si che i luoghi della partecipazione si dilatino amplificando quel senso critico che è il fondamento per una crescita della democrazia. In questi luoghi un posto importante lo possono avere i partiti, ma solo se essi stessi diventeranno l’energia che aiuta questa dilatazione… saremo capaci di metterci a servizio di questo processo, saldando insieme il bisogno di dare risposte alla complessità con la necessità di mantenere alta la coerenza tra obiettivi e mezzi usati, oppure continueremo ad arroccarci nelle nostre certezze, riducendo la vita politica sempre di più a qualcosa che interessa oligarchie e gruppi di potere?