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Christian Führer, da buon pastore protestante alla  Nikolaikirche di Lipsia, non crede nella fatalità delle date anche se non può non sottolineare che il 9 novembre, quando nel 1989 cadde il muro di Berlino, ricorre nel 1938 quando si scatenò il pogrom contro gli ebrei tedeschi (la Kristallnacht), e rimanda al 1923  al 'putsch di Monaco', quando Hitler provò il primo assalto al potere. Comunque il ricordo di quei due giorni nefasti per il popolo tedesco ha spinto il governo della riunificata Germania a fissare come giorno di festa nazionale non quello della caduta del Muro, bensì il giorno della riunificazione, il 3 ottobre 1990. Così si è impedito di creare una tradizione legata al ben più significativo 9 novembre 1989, quando si raggiunse l'apice delle dimostrazioni e di movimenti di popolo pacifici che furono in grado di avviare la decomposizione degli Stati e dei regimi del socialismo reale.

Non è un incidente se il manifesto, che si definisce ancora «quotidiano comunista», ha elegantemente glissato sul ventesimo anniversario del 1989; non per distrazione, ci strillano da vent'anni che la distruzione del muro di Berlino segnava la fine del comunismo, «utopia criminale». Noi su quella «utopia» ambiziosa eravamo nati, ed eravamo stati i primi a denunciare nella sinistra che con essa avevano chiuso da un pezzo i «socialismi reali». Li denunciavamo nell'avversione del partito comunista e nella scarsa attenzione delle cancellerie e della stampa democratiche. Il movimento del '68 ne aveva avuto un'intuizione, ma non il tempo né la preparazione per andare oltre.