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"Vogliamo le quote rosa per i vecchi"

«L’età media è di ottant’anni? Quindi si è giovani fino a metà, poi anziani», disse il presidente…
di Mario Pancera
«Le statistiche sono chiare», disse dal palco il presidente Scurra, «se l’età media è di ottant’anni, si è giovani fino a quarant’anni compiuti, poi ci si considera vecchi», tutti applaudirono.

«Come abbiamo fatto le quote rosa per il governo e per il partito e cioè metà ministre e metà ministri, faremo le quote rosa per la vita di tutti i giorni. Questo è quello che vuole il popolo che ci ha votato», disse ancora il presidente Scurra: «Metà giovani e metà vecchi negli uffici e nelle fabbriche. E da domani sarà così in tutto il paese». L’annuncio fu accolto da un boato di acclamazione.

Il presidente Scurra aveva grandi idee: i suoi deputati e le sue deputate erano tutti fedeli. La Camera era sicura, tutti portavano la camicia dello stesso colore, gli uomini avevano lo stesso tipo di rasatura e quando faceva freddo tutti indossavano le stesse casacche e lo stesso cappello di pelo, uomini e donne. Aveva portato l’ordine. Anzi, l’aveva creato, era un creatore. E il Senato?, domandò Bertoldo che stava seduto in un angolo. Non c’era più, una parola vecchia, addirittura residuo della lingua latina di prima di Cristo.

Tutto nuovo, metà e metà. I vecchi della pubblica amministrazione che stavano per essere eliminati protestarono, erano ancora tanti. Molti loro amici e amiche erano stati rottamati, finiti nelle fosse comuni. Per evitare discussioni, Scurra decise di affettare il paese in due parti uguali. Era l’uovo di Colombo. Anzi decise meglio: «La metà giovani sarà composta da metà maschi e metà femmine, così la metà vecchi sarà pure fatta di metà donne e metà uomini». Viva le quote rosa, gridarono tutti con un applauso.

E si può fare anche metà vedovi e metà vedove?, domandò una vedova a bassa voce. Un altro disse: «Metà sposati e metà celibi». Un terzo: «E metà divorziati, metà no». Questa era l’opposizione, pochi abitanti kakani in un paese senza nome. Un temerario si fece avanti: «E il terzo sesso? Bisogna riconoscere il terzo sesso». Era troppo. Tertium non datur. La domanda annichilì i kakani: bisognava rifare tutti i conti. Il proponente fu subito allontanato: oppositori sì, ma con giudizio.

Qualcuno, in cortile, mormorò: «E i competenti?», era un ingegnere chiamato Einstein. Era distratto, non si pettinava mai e portava la camicia come voleva. «Stai zitto», gli sussurrò la sessantenne dottoressa Curie mettendogli una mano davanti alla bocca, «altrimenti ti considerano un pazzo e sai dove finisci…». Correva l’anno 4102.

Mario Pancera