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Diritti negati. Gisele Nyembwe intervista Nelofar Pazira

Gisele Nyembwe è una funzionaria dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Nelofer Pazira (1973) è una giornalista, scrittrice e cineasta, attivista per i diritti umani di tutti gli esseri umani]     L'ultima fatica dell'ex rifugiata Nelofer Pazira, il film "Atto di disonore", illustra la terribile realtà dei "delitti d'onore" in Afghanistan, dove la regista è cresciuta prima di fuggire con la sua famiglia nel 1989. - Gisele Nyembwe: Raccontaci del film, e perché l'hai girato.
- Nelofer Pazira: "Atto di disonore" parla dei delitti d'onore. È basato sulla storia vera di una donna che ha recitato in un cortometraggio che una delle mie amiche ha girato a Kabul. Suo marito era in Pakistan quando lei partecipò al film, ma tornò a Kabul mentre lo staff festeggiava la fine delle riprese. Sparò a sua moglie e la uccise, perché aveva recitato in un film.
Marina Golbahari, che ha il ruolo della protagonista in "Atto di disonore" fronteggia pressioni simili nella sua stessa vita. È fra il gruppo crescente di donne afgane che restano testardamente impegnate nel cinema, nonostante le minacce che vengono loro fatte. Durante la mia ricerca e poi durante la stesura della sceneggiatura, queste donne mi hanno ripetuto ad oltranza che speravano che il mondo vedesse la realtà delle loro esistenze attraverso questo film.
Ma la storia si apre con un giovane che spara ad un uomo anziano. È un omicidio per vendetta. Ho aggiunto questa storia perché la questione dei delitti d'onore non riguarda solo le donne. Onore e vendetta sono le priorità assolute di questa cultura. Pure, il film tratta anche del perdono. Il giovane autista di autobus che ha vendicato la morte del padre vuole salvare la vita alla sua fidanzata, alla donna che lui crede lo abbia tradito. E c'è anche la vicenda di una famiglia di rifugiati che torna al proprio villaggio solo per scoprire che la loro casa è stata occupata da altri.

- Gisele Nyembwe: Che messaggio vuoi mandare agli spettatori?  
- Nelofer Pazira: Essendo cresciuta a Kabul e poi emigrata in Canada, io vivo sul confine di due culture diverse, l'afgana e la canadese, e sono un prodotto di entrambe. Perciò, oltre a condannare i delitti d'onore, volevo esplorare l'idea stessa di onore. Originariamente avevo deciso di scrivere un libro, ma nel 2003 ho pensato che un film era il mezzo migliore per raccontare questa storia. Le immagini viaggiano più velocemente della parola scritta, e attraversano confini geografici, tribali e culturali.
Per me era importante non solo condannare i delitti d'onore e la sofferenza inflitta alle donne, volevo capire la psicologia che ci stava dietro, capire gli uomini forzati dalle tradizioni delle loro comunità - e dai loro stessi fallimenti - ad uccidere coloro che amano.

- Gisele Nyembwe: Ci sono rifugiati nel film?  
- Nelofer Pazira: La maggior parte del cast non è composta da attori professionisti. Ho amato molto la sfida che comportava il lavorare con loro. Ho cercato persone le cui reali storie di vita riflettessero i tratti dei miei personaggi. Non solo ho basato i personaggi su individui reali, ma volevo trovare persone che potessero portare le loro proprie storie nella sceneggiatura. Uno degli attori, ad esempio, è un ex rifugiato che è tornato dall'Iran dopo 26 anni di esilio. Ha scoperto sulla propria pelle quanto difficile è tornare. Un pò di rifugiati che vivono nel Tajikistan, accanto al confine afgano ed in altre aree, hanno dato una mano di fronte alla cinepresa o dietro di essa.
Io ho recitato il ruolo di Mejgan, basandomi sull'esperienza del girare filmati in Afghanistan che ho fatto negli ultimi dieci anni. Intrappolata fra la vergogna e l'idealismo, lottavo per mostrare che gli afgani potevano essere progressisti. Durante le riprese di "Kandahar", abbiamo scoperto la difficoltà di trovare donne disposte a prendervi parte. Io ero costantemente imbarazzata dall'arretratezza della mia stessa cultura. Allora, tentavo di persuadere le donne afgane dei villaggi ad aiutarmi, per provare a me stessa che gli afgani potevano essere persone aperte come chiunque altro.
Fortunatamente, non abbiamo avuto fini tragiche come il fato di Mena in "Atto di disonore", ma abbiamo sperimentato situazioni terribilmente tristi, in cui giovani donne non tornavano sul set a causa della paura. Gradualmente, ho cominciato a capire ed ho sviluppato più empatia per gli uomini e le donne dell'Afghanistan. Il lavorare solitamente con operatori stranieri mi ha permesso anche di vedere l'ingenuità ed il modo unidimensionale con cui l'Occidente guarda al mondo musulmano.

- Gisele Nyembwe: Pensi che gli spettatori saranno toccati dalla storia?  
- Nelofer Pazira: "Kandahar" I delitti d'onore sono diventati assai comuni. Ricordo un altro incidente, nel 2001, quando tornai nella regione per recitare in "Kandahar", che fu girato sul confine fra Iran ed Afghanistan. Lavoravamo per lo più nei villaggi dei rifugiati. Una ragazza adolescente adorava essere sul set. Abbiamo girato alcune scene con lei, aveva la parte di una delle quattro mogli di un personaggio del film. Ma un giorno fuggì per il terrore di essere vista da sua padre e dai suoi due fratelli minori. Fu pesantamente picchiata dal padre, perché aveva "disonorato" il suo nome. Dovemmo gettar via tutte le sequenze in cui lei compariva e ricominciare daccapo.
Oggi, in varie parti del mondo, le donne devono affrontare ogni sorta di violenze: i delitti d'onore sono solo una di esse, e non sono confinati al mondo musulmano. Un certo numero di delitti d'onore è stato perpetrato, in anni recenti, nel mondo occidentale: tristemente, in maggioranza, da parte di famiglie di rifugiati. Sono scampati alla guerra e alle atrocità: pure, dopo che hanno raggiunto un ambiente sicuro, il divario fra le loro pratiche e quelle delle loro nuova casa diviene ovvio, ed il fardello della salvaguardia dell'"onore" e del "nome" della famiglia viene spesso posto sulle donne.


Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo
Traduzione: Maria G. Di Rienzo