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Una femminista in Iran (Maria G. Di Rienzo)

Tratto dalla "Nonviolenza è in cammino"


Shahla Sherkat, giornalista da 26 anni, laureata anche in psicologia, edita e dirige il mensile "Zanan" (Donne) a Teheran. Lo ha fondato nel 1991, dopo essere stata licenziata dal posto di direttrice del settimanale filogovernativo "Zan-e Rouz" (Donna oggi). Shahla Sherkat fu cacciata a cause delle sue proteste sul tipo di servizi che la pubblicazione prediligeva: l'immagine delle donna che ne emergeva era esclusivamente quella di una conservatrice religiosa, un'immagine assai propagandata dal governo iraniano.
Sherkat fondò "Zanan" perché vedeva che i media "ufficiali" ignoravano sistematicamente le istanze ed i diritti delle donne. Si tratta del primo giornale indipendente a concentrarsi sulle donne dopo la rivoluzione del 1979, e lei ne parla come di un figlio: "una creatura di quasi quindici anni che ho allevato attraversando molte difficoltà". Il clima in cui Sherkat opera è in effetti difficile. Il controllo giudiziario sui media, in Iran, è molto stretto: oltre cento pubblicazioni, in maggioranza progressiste, sono state chiuse dal 2000 ad oggi. "Zanan" è l'unico giornale nel paese a parlare di femminismo, diritti delle donne, leggi sul divorzio, prostituzione, aids, violenza domestica e custodia dei minori, tutti argomenti considerati tabù.
Durante tutti gli anni '90 "Zanan" ha sofferto gli attacchi delle bande fondamentaliste. In quel periodo, la sede del mensile era nello stesso edificio di un'altra pubblicazione non allineata, "Kian".
I fondamentalisti sostenevano che i due giornali tramassero contro il governo e attaccarono entrambi: entrati negli uffici spaccarono finestre e scrivanie, distrussero materiali e attrezzatura. Sherkat li pescò con le mani nel sacco, in mezzo alle rovine, e discusse con loro per ben sei ore, prima di riuscire a convincerli ad andarsene. La sua successiva denuncia non ebbe nessun effetto, perché la polizia si rifiutò di intervenire. Per proteggere il giornale, oggi non vi è alcun segno esteriore che indichi dove si trova la sede di "Zanan".
Anche le autorità creano continui problemi alla pubblicazione, minacciando di imprigionare Shahla Sherkat e le sue giornaliste. La direttrice è continuamente convocata davanti allo speciale tribunale iraniano per il giornalismo, a rispondere di articoli specifici, inclusi uno del 2003 della premio Nobel Shirin Ebadi, e la serie di servizi sulla legge islamica in rapporto alle donne scritti dall'avvocata Mehrangiz Kar e dal teologo islamico Mohsen Saidzadeh. Nel 1987 fu chiamata davanti ai giudici per aver riportato la storia di una ragazza, picchiata sulla spiaggia dalla polizia e poi arrestata perché il velo non le copriva completamente la testa. Le accuse contro Sherkat relative agli articoli pubblicati sono finora sempre cadute.
Nel gennaio 2001, però, fu multata e condannata a quattro mesi di prigione per "attività anti-islamiche": aveva partecipato ad una conferenza promossa dall'"Heinrich Boll Institute" a Berlino, intitolata "Il futuro delle riforme in Iran". Durante l'incontro, la discussione toccò anche la possibilità di un cambiamento politico nel paese, e ciò fu sufficiente per accusare chi vi aveva partecipato di "attentato alla sicurezza nazionale".
Il contributo di Sherkat al "complotto" era stato di sostenere che "il codice d'abbigliamento islamico può essere incoraggiato, ma non può essere obbligatorio". In appello, Sherkat ottenne di non andare in galera, ma dovette pagare una multa equivalente a due mesi del suo stipendio. A volte, dello stipendio, lei e la redazione fanno a meno. Non ci sono sovvenzioni per "Zanan" e la pubblicità è l'unico introito aggiuntivo alle vendite. Ma donne come Sherkat e le sue colleghe non sono tipi da mollare l'impresa: "Zanan" è uno dei periodici maggiormente diffusi oggi in Iran.

"Ogni cosa che concerne le donne del mio paese non sfugge all'occhio d'aquila del mensile", racconta Sherkat, "Abbiamo parlato della sofferenza delle ragazzine che intrecciano tappeti e stuoie negli sweatshops. Abbiamo celebrato la donna che ha vinto il primo premio in una gara automobilistica contro dieci uomini. Abbiamo portato alla luce la storia di una donna imprigionata in casa dal marito e pubblicato gli scritti della nostra avvocata Shirin Ebadi, Nobel per la pace. Stiamo cercando di suscitare la consapevolezza delle donne rispetto ai loro bisogni ed alle loro aspettative; speriamo che la società utilizzerà le capacità e le abilità delle donne: molto di quanto una persona fa dipende da ciò che l'ambiente in cui vive si aspetta da lui o da lei. Io so che le donne in tutto il mondo hanno in comune dei problemi di base, il principale dei quali è l'essere considerate il 'secondo sessò e non avere eguaglianza di opportunità con gli uomini. Dappertutto i media ci descrivono come persone dai cervelli ristretti, che è meglio tener rinchiuse, come succede più frequentemente da noi, o come belle bambole da cinema, come succede più frequentemente in occidente. Noi donne d'oriente e d'occidente dobbiamo arrivare a conoscerci meglio e per farlo abbiamo bisogno di diventare amiche, di parlarci cuore a cuore".