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C’è una guerra sociale, culturale ma anche fisica perennemente in azione. E’ quella contro i non appartenenti al genere maschile e virile. Perché in Italia, per i detentori del potere mediatico, politico, culturale e sociale si può essere giustificati e apprezzati se bancarottiere, mafiosi, colletti bianchi, persino terroristi se animati da certe ideologie e propagande.

25 Novembre: "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le Donne."

"Non è normale che sia normale" che spesso e volentieri prima di accedere a lavoro una Donna deve sottoscrivere un foglio di dimissioni in bianco - riempito dal datore di lavoro in caso di maternità.

Un giorno, ho chiamato Rosetta Stella (se non la conoscete, chiedete di lei) e le ho detto: scendi in strada, vendi quello che hai, comprati una spada e andiamo. Era il nostro stile, un pò biblico, adesso lei è morta (era nel suo stile farci delle sorprese) ma, se fosse viva, tornerei a dirglielo.

Commemorazione. Ricordare. Allora mi vengono in mente quelle donne che vanno a lavoro fino al settimo mese di gravidanza, quelle che nei loro luoghi di lavoro non possono andare al bagno, che fanno straordinari e lavorano fino a tardi durante le festività.

Quelle che, con la scusa del progresso, non hanno nemmeno tempo per l’amore.

Quelle come me, che fanno un lavoro di cura ma non si identificano con esso. Perché non è ne per vocazione, ne per natura che svolgo questo ruolo. Ho colleghi uomini che svolgono le mie stesse mansioni con la medesima gentilezza, cura, amore. Perché gli uomini non sono tutte bestie e le donne non sono solo vittime da salvare.

Non spazziamo per terra per natura. In quale elevata teoria antropologica?

Non passa giorno senza avere notizia di donne torturate e uccise: torturate e uccise dai mariti, dai fidanzati, dagli ex-compagni, dagli acquirenti e dagli imprenditori del mercato schiavista di carne umana, dal maschilismo che è la prima radice e il primo paradigma di ogni violenza, di ogni potere criminale, di ogni relazione di dominio e di sfruttamento, di ogni barbarie, di ogni pulsione e ideologia e condotta e struttura onnidistruttiva.

Motivato, circolare, inclusivo. Competente. Attento a nominare i punti di criticità, ma senza espellerli. Un movimento globale. Dopo la grande manifestazione, che ha portato in piazza a Roma 200.000 persone contro la violenza maschile e i femminicidi, domenica le donne hanno letteralmente riempito la facoltà di psicologia. Per l’assmblea plenaria, l’aula magna non è bastata, più di 1.300. Nonostante la fatica e l’impegno di un’intera giornata di discussione, se non ci fossero state le partenze di chi veniva da fuori, si sarebbe continuato ancora: a confrontarsi, a progettare. Chi è rimasto a Roma, ha continuato a parlare nelle piazzette di San Lorenzo, intorno a una bottiglia di birra, che passava di mano in mano.

Non è stato perso nulla, di quello che è stato fatto, e tutto è nuovo. Questo l’effetto diffuso e condiviso della manifestazione NonUnaDiMeno contro la violenza maschile sulle donne del 26 novembre. Una forza viva, sfidante, immensa. Una gioia irrefrenabile.

Lo dicono le donne di tutte le età, dalle bambine alle bisnonne, almeno tre generazioni dai capelli dai tanti colori che sfilavano sorridenti, allegre, determinate, per nulla obbedienti. Donne come me, felici di vedere che il lungo cammino non si è smarrito nei mille rivoli di anni confusi e difficili. Ragazze che sono venute a Roma a manifestare per la prima volta. Da sole, in piccoli gruppi. Era giusto farlo, rispondono alle domande, non se ne può più. Sono loro che guardano al futuro, con occhi diversi, eppure legati a questa storia comune. Lo dicono gli uomini della sinistra, che per una volta sono venuti senza strumentalizzare.