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Inclusione.

Di tutte le parole dette nella due giorni di Siena (bellissimo appassionante appuntamento, generosamente organizzato) questa è certamente la più condivisibile eppure la più ambigua, per come è stata affermata e ripresa, dopo che qualcuna, poche oltre a Lidia Menapace, ha nominato alcuni contenuti come l'antifascismo, il patriarcato, il capitalismo, sui quali è quantomeno necessario aprire il dibattito.

Dopo il 13 febbraio il comitato "Se non ora quando", che aveva lanciato l'appello e il logo, e coordinato le parole d'ordine e le modalità della mobilitazione (cui hanno risposto oltre 250 piazze in Italia e perfino 36 fuori dai confini) ha dovuto far i conti con tale risposta, di una qualità straordinaria, ben al di là di ogni possibile aspettativa o immaginazione.

Sembra un destino dei movimenti rendersi "visibili" solo quando scuotono la compagine istituzionale, le sue chiusure, i suoi modelli, la sua cecità rispetto a tutto ciò che si muove intorno e al suo interno. La divisione tradizionale tra politica e società è ancora così salda che è bastata l'imprevista partecipazione alle elezioni amministrative e al referendum per qualificare come "nuovi" protagonisti che sono da decenni tutt'altro che assenti dalla scena pubblica e dai suoi conflitti. I cortei degli studenti e dei precari, le occupazioni delle università, le singolari forme di lotta adottate negli ultimi tempi dagli operai, le grandi manifestazioni delle donne, dal 2006 al 13 febbraio, appaiono nonostante tutto "carsici" finché non producono cambiamenti riconoscibili nei luoghi deputati della politica.

Giacomo Leopardi, per le nozze della sorella Paolina, da patriota consapevole che in Italia "tra fortuna e valor dissidio pose il corrotto costume", raccomandava: "donne, da voi non poco la patria aspetta". Diciamo che le donne ci hanno provato, ci provano; ma al "corrotto costume", che nella storia patria ogni tanto umilia valori che pur si pensano universali, vorrebbero contribuire con maggior riconoscimento.

Per il 150mo anniversario dell'Unità d'Italia e per far sì che le celebrazioni non siano vuote e formali, bisogna dar seguito, come bene sottolinea il Presidente della Repubblica, a riflessioni storiografiche capaci di far rivivere il senso della storia italiana, tenendo conto delle persone in carne e ossa, del loro vissuto, soprattutto quando, come nel caso della partecipazione femminile, è rimasto come silente.

Il vento del cambiamento ha cominciato a soffiare in Tunisia, ma poi si è diffuso in Egitto, Libia, Yemen, Algeria, Sudan, Bahrain, Siria... e voci di donne cantano nel vento.

"Le donne tunisine hanno partecipato ad ogni singola manifestazione prima e dopo la caduta del regime di Ben Ali, cercando un ruolo nuovo per il futuro e tentando di ottenere che le loro voci fossero ascoltate", dice Hedia, quarant'anni, responsabile della raccolta dati per il Centro di istruzione e ricerca delle donne arabe in Tunisia. "Rappresentano generazioni diverse ed hanno retroterra molto differenti, ma c'erano tutte, quelle con l'hijab e quelle con la minigonna. C'è una consapevolezza molto alta fra le donne del fatto che dovremmo muoverci per non essere escluse o marginalizzate. Nonostante l'intensa partecipazione alle proteste, la presenza delle donne nel primo e nel secondo governo provvisorio che si sono formati non la riflette".

Per il 150mo anniversario dell'Unità d'Italia e per far sì che le celebrazioni non siano vuote e formali, bisogna dar seguito, come bene sottolinea il Presidente della Repubblica, a riflessioni storiografiche capaci di far rivivere il senso della storia italiana, tenendo conto delle persone in carne e ossa, del loro vissuto, soprattutto quando, come nel caso della partecipazione femminile, è rimasto come silente.