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I cristiani di fronte al decreto sicurezza (Lidia Maggi)

In questi giorni l'esecutivo italiano ha approvato un decreto  sicurezza che, a giudizio mio e di molti, risulta estremamente  discriminatorio, frutto avvelenato di un'ideologia che fa leva sulla  paura e induce ad essere cattivi nei confronti degli stranieri ritenuti  tutti, senza distinzioni, minaccia per la società (pubblicato su Notizie minime della nonviolenza, n. 737 del 20 febbraio 2009).
Oltre alla denuncia  della gravità del provvedimento e alla manifestazione della propria  personale vergogna, penso sia urgente compiere dei gesti di coscienza  civile nei quali ogni singola persona si assuma la responsabilità di  dire che "obbedire a questa legge non è una virtù". Molti medici lo hanno già fatto in riferimento all'esortazione a denunciare i  clandestini che a loro si rivolgono. Come responsabile di una comunità  cristiana, mi interrogo sulle possibili forme di manifestazione di un  dissenso che non nasce tanto da un'opzione politica divergente con  l'attuale maggioranza, ma, più profondamente, dall'ascolto della  parola evangelica.
Al di là delle dichiarazioni, vorrei provare ad  offrire un contributo per un dibattito al quale partecipino altri  responsabili di chiese, di qualunque confessione, a cui sta a cuore  "abitare la terra e vivere di fede".
Per semplicità, propongo alcuni  punti sintetici, titoli di argomenti su cui aprire una discussione ed  avanzare delle proposte.
1. Ritengo prioritario promuovere una  riflessione all'interno della comunità cristiana su una lettura  evangelica della situazione presente.
Perché anche i credenti  rischiano di far proprie le affermazioni rubate ai talk show, invece di  provare a giudicare il proprio tempo a partire dall'evangelo.
2. Le  chiese, lungo la loro storia plurisecolare, sono state luoghi di asilo,  spazi di tutela per coloro che venivano ingiustamente discriminati.
Come possano svolgere anche nel presente una tale funzione andrà  discusso.
In ogni caso qui si gioca una precisa vocazione delle chiese  che rispondono ad un appello evangelico a tutelare i soggetti deboli,  in balia di una politica che persegue i propri fini anche contro le  esigenze della giustizia.
3. Le Scritture ebraico-cristiane ci  insegnano che il pensare "secondo Dio" mette in discussione il comune  pensare "secondo gli uomini". Per questo la Parola biblica prova ad  "urtare" i propri interlocutori in molteplici modi.
Una strategia  evidente nella predicazione profetica come anche nelle parabole di  Gesù: gesti e parole che vogliono provocare un salutare "effetto  d'urto". Anche noi dobbiamo osare azioni simboliche che annuncino come  si avvicina il Regno, ovvero il mondo come Dio lo vuole. Penso, soprattutto, a gesti concreti di ospitalità; all'intensificazione di  scambi di conoscenza.
4. abbracciare il lebbroso: colui che veniva  escluso perché "infettava" la società. L'andarlo a cercare,  l'abbracciarlo, il reinserirlo nel circuito delle relazioni umane, è  segno eminente dell'evangelo.
5. C'è un problema di informazione. I  mass-media danno voce alle chiese solo su alcuni argomenti. Se, però,  le chiese denunciano il discriminante trattamento delle persone  straniere, la notizia non buca lo schermo. Come far udire una voce  critica? Come farsi promotrici presso l'opinione pubblica delle ragioni  dei più deboli? 6. L'ecumenismo della carità. In nome di quella  logica di comunione inclusiva, che ha fatto incontrare le chiese dopo  secoli di inimicizia, è importante favorire interventi sociali a  favore dei "clandestini" pensati e gestiti in modo interconfessionale.
7. Non dimentichiamo, infine, che, in quanto credenti, siamo cittadini;  e in quanto cittadini abbiamo una responsabilità civile. Ed anche una responsabilità penale nei confronti delle leggi dello stato. Il nostro stato di diritto prevede la possibilità di esprimere la propria  obiezione di coscienza nei confronti di leggi ritenute ingiuste. Ma  questo non significa che, nel presente, il proprio motivato dissenso  possa essere perseguito penalmente. Cosa siamo disposti a pagare in  nome di una diversa giustizia? 8. E ancora, in quanto cittadini, ci  muoviamo in un agone pubblico che vede all'opera precisi soggetti,  portatori di diversi progetti politici. Ci sentiamo particolarmente  chiamati in causa perché tali progetti non sono avanzati unicamente in  nome del consenso politico, ma in nome di valori cristiani. Come  responsabili di chiesa, non possiamo non denunciare l'ipocrisia di chi  si appella al cristianesimo per compiere azioni contrarie al  comandamento divino.
Ho solo provato a stendere un personalissimo  ordine del giorno che preveda sia la concretezza dei gesti di  accoglienza sia l'impegno interno alle chiese nella formazione e  nell'educazione delle comunità. Quest'ultimo, a dispetto delle  apparenze, mi sembra prioritario, dal momento che prende piede una  generazione di cristiani che, pur confessando l'amore universale del  proprio Dio, soprattutto nell'attuale situazione di crisi economica, in cui prevale il panico, e si scatena la classica guerra fra poveri,  fanno affidamento alle vecchie botti incapaci di contenere il vino  nuovo dell'evangelo.