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Sono indignato per il comportamento dell’Italia nei confronti dell’Egitto, un paese che geme sotto la spietata dittatura di Al-Sisi. Quell’orribile morte di Giulio Regeni per mano di torturatori egiziani e l’imprigionamento, da quasi un anno, senza ragione se non quella di difendere i diritti umani, di Patrick Zaki, studente dell’Università di Bologna, sono due vicende note al pubblico italiano, che rivelano il vero volto del governo egiziano. Sotto pretesto della lotta al terrorismo è in atto in Egitto una spaventosa repressione. Ci sono ora ben 60.000 prigionieri politici nelle carceri e dal 2016 al 2019, 2.400 sono stati condannati a morte.

Le Chiese cattoliche e protestanti della Germania, che partecipano al “Sanctuary Movement” offrendo asilo nelle proprie chiese ai rifugiati, ricercati dalla polizia per essere deportati nell’inferno da cui sono fuggiti, stanno dando una bella testimonianza di Umanità a tutta l’Europa.

Condanno fermamente l’atto malvagio  commesso oggi vicino alla cattedrale di Nizza.

Tre vittime e un ferito grave è il bilancio della crudeltà del terrorista di turno. Il terzo attentato dopo la decisione presa all’inizio di settembre scorso da Charlie Hebdo di ripubblicare le vignette sul profeta dell’Islam.

Come musulmano esprimo la mia solidarietà e la mia vicinanza ai cristiani e al popolo francese oltre ai musulmani attivi nella lotta contro la radicalizzazione.

Di fronte a questa nuova onda di odio ricordo di non stigmatizzare la religione islamica e nello stesso momento non banalizzare questo fenomeno.

Siamo di fronte a una problematica complessa e articolata e qualsiasi tentativo di semplificarla non fa che distorcerla ancora di più.

#restiamouniti

[Segnalato da Giulia Severi (Casa Betania)]

E' una lettera sconcertante e potente questa enciclica “Fratelli tutti” che papa Francesco, facendosi “trasformare” dal dolore del mondo nei lunghi giorni della pandemia, ha scritto a una società che invece mira a costruirsi “voltando le spalle al dolore”. Per questo la figura emblematica che fa l’identità di questa enciclica, prima ancora che quella di Francesco d’Assisi, è quella del Samaritano, che ci pone di fronte a una scelta stringente: davanti all’uomo ferito (e oggi sempre di più ci sono persone ferite,tutti i popoli sono feriti)ci sono solo tre possibilità: o noi siamo i briganti, e come tali armiamo la società dell’esclusione e dell’inequità, o siamo quelli dell’indifferenza che passano oltre immersi nelle loro faccende e nelle loro religioni, o riconosciamo l’uomo caduto e ci facciamo carico del suo dolore: e dobbiamo farlo non solo con il nostro amore privato, ma col nostro amore politico, perché dobbiamo pure far sì che ci sia una locanda a cui affidare la vittima, e istituzioni che giungano là dove il denaro non compra e il mercato non arriva.

“Caro Faber,

da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.

Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch'io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell'esclusione.

"Forse Silvia si è convertita, forse per necessità, forse per sopravvivenza nel tempo della prigionia, forse per intima convinzione. Non credo per la "Sindrome di Stoccolma", tipica di chi prova un sentimento per il proprio sequestratore, che si alimenta per tutto il periodo della prigionia fino a tradursi in un rapporto d'amore e di sottomissione volontaria, perché in questo caso Silvia, appena liberata, non avrebbe detto orgogliosamente: «Sono stata forte». E al suo ritorno non avrebbe abbracciato con gioia i suoi familiari, dopo essersi separata per sempre dal suo amore.