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Lettera dal Senato, su Afghanistan e politica estera (Lidia Menapace)

Cari pacifisti, vi spiego perché ho approvato quell’accordo Lidia Menapace

Oggi, cari amici pacifisti, devo narrarvi cose gravi e difficili e non per scarico di coscienza o per trovare giustificazioni o condivisioni da parte vostra, dato che so che la responsabilità di quello che decido è mia e intera la tengo.
Cominciano le prime decisioni del governo e la situazione non è allegra, almeno in Senato, dove -come è noto- la maggioranza è risicatissima e le imboscate possono sempre succedere. L’opposizione per ora fa una azione di disturbo regolamentare, un vero e proprio ostruzionismo, che è un diritto, ma non è una politica, se non quella di sfiancarci o trovarci sotto di uno o due senatori.
D’altra parte il governo e la maggioranza sembrano voler usare molto il voto di fiducia per compattare senatori e deputati, il che però rende sempre più impicciata e difficile l’azione politica, tutta stretta fra richieste di verifiche, dispute regolamentari ecc.
L’impressione di una sede che non ha rapporti con la realtà è sempre più forte.
Ieri 28 giugno siamo stati-state bloccati, si può dire l’intera giornata in una serie di impuntature (tutte sull’interpretazione del regolamento) che alcuni seguono con appassionato interesse e molti con atteggiamento di gioco e sfida: insomma una cosa alquanto grottesca.
A me viene sempre in mente che se gli uomini avessero dovuto occuparsi non solo di se stessi, ma anche della cura di altri, non avrebbero costruito un mondo, specialmente politico, con regole senza senso.
Un voto di fiducia siamo riusciti a darlo ma il secondo della giornata è stato bloccato dall’opposizione appunto con una sequela di trucchi regolamentari ai quali la maggioranza non sembra altrettanto attrezzata a respingere. Ero molto distratta e incapace di appassionarmi, solo dotata di pazienza, fomentata dall’aria condizionata d’aula.
Ero però molto agitata da quello che era successo il pomeriggio precedente, quando avevo ascoltato la relazione dei capigruppo del Prc di Senato e Camera sulle decisioni e dicharazioni del governo sull’Afganistan.
Il Governo era partito con dichiarazioni, sia del ministro degli Esteri che della Difesa su posizioni che non si potevano accogliere, cioè di accettazione delle richieste della Nato (che non è nemmeno abilitata a chiedere ciò che chiede) cioè di mandare altre truppe italiane e armamenti, quasi a giustificazione per essercene andati dall’Iraq.
Attraverso una trattativa non semplice perchè quasi tutto l’Ulivo è d’accordo con simili posizioni, e dall’opposizione si profila una disponibilità dichiarata da parte dell’Udc di fare da stampella al Governo su posizioni belliciste (non senza conti presentati).
Una sorta di cinismo ripugnante “scambio” Iraq con Afghanistan e un patto tra “moderati” apre alla Grande coalizione e allo “scarico” della sinistra radicale come fosse una partita a scacchi o a tombola.
Ciò che discutendo si è ottenuto è: nessun ampliamento di presenze italiane in Afganistan, nè di dispiegamento fuori dalle zone in cui sono già stanziate, il mantenimento delle stesse spese per la missione ma con una ripartizione più orientata al civile che al militare, la scrittura di una mozione di indirizzo e l’istituzione di una commissione di monitoraggio, appunto per seguire e tenere sotto controllo tutto.
Mi sembra importante che si sia riusciti a mantenere fermo il punto che nell’Unione ciò che è stato convenuto sul programma è impegnativo e ciò che nel programma non è contenuto deve essere trattato con lo stesso metodo del consenso che è servito per il programma.
E’ ciò che è stato fatto sull’Afghanistan ed è anche ciò che mi ha convinta ad approvare l’accordo, pronta a mutare opinione se i fatti del governo non fossero limpidamente ancorati ad esso.
Non è semplice ciò che è stato ottenuto ma sembra una prima forma di riduzione del danno e la convalida del metodo della decisione a consenso.
Anche l’avvio di una commissione di monitoraggio va capita bene e utilizzata il più possibile. Dire no all’accordo in questo caso accelera semplicemente lo scivolamento a destra del governo, il profilarsi di una maggioranza che raccoglie Casini e company su posizioni molto filoatlantiche e così via. Il dilemma resta drammatico.
La mia decisione resta sempre legata alla possibilità che verifiche insoddisfacenti mi inducano a mutare opinione.