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Riflessioni sul 15 ottobre e sulla nonviolenza

Caro Gino,
nella tua replica, così come nell’articolo di Gianmaria, ho trovato affinità e distanze dal mio pensiero. Provo a buttar giù qualche riga, sperando di riuscire a spiegare le mie perplessità soprattutto. La mia non vuole però essere una critica, solo l’esternazione di dubbi che forse appartengono solo a me e semmai facilmente cestinabili. Non è neppure una analisi di tutto quanto avete espresso, ma solo delle riflessioni provocate dagli scritti, dai quali ricavo sensazioni, anche oltre la volontà di chi li ha prodotti. Mi perdonerete per questo!!

Nella tua riflessione (certo articolata e non semplificabile così brutalmente come sto facendo) tu metti la nonviolenza in contrapposizione alla guerra. Nel suo Gianmaria tenta di dare alla violenza una base, in un certo senso a “nobilitarla”, anche se questo termine forse non corrisponde puntualmente al suo pensiero.

In un certo senso tu metti a confronto nonviolenza e violenza. Gianmaria mette a confronto invece, violenza ed indifferenza.Forse contesterai questa mia interpretazione, ma ho chiarito che si tratta di sensazioni che ricavo e probabilmente non volute.

Nonviolenza-violenza-indifferenza.

Forse dovremmo provare a mettere a confronto partecipazione attiva con indifferenza e solo dopo aver risolto questo aspetto, confrontare violenza e nonviolenza come forme di partecipazione attiva. Cioè, rispetto all’indifferenza, violenza e nonviolenza stanno dalla stessa parte, anche se noi riteniamo la scelta fra le due opzioni determinante e discriminante. Ed anche su questa discriminante fra il tuo ed il mio pensiero, probabilmente ci sono differenze che non sono solo sfumature.

Quello che a me pare debole, nel discorso di Gianmaria, è l’analisi della realtà della violenza di questi gruppi (di 100 o 1000 persone fa poca differenza).

Nei tragici anni di piombo un piccolo, ma dirompente, gruppo di giovani ha aderito alla lotta armata. Le conseguenze sono state drammatiche e fallimentari, però quei giovani avevano per lo più una forte spinta ideale e ideologica, una forte voglia di cambiare, rivoltare, “smontare” un sistema. Non avevano probabilmente le idee chiare sul dopo, ma erano convinti che per loro e per tutti ci sarebbe stato un dopo.

I giovani che ho visto in quelle immagini, francamente mi sembrano di un altro tipo. Sono giovani arrabbiati e frustrati, mi sembrano votati alla distruzione senza una reale prospettiva, per quanto “farneticante” (così si diceva un tempo). In questo senso il discorso di Gianmaria mi sembra fragile.

Del resto anche quella parte maggioritaria e pacifica della manifestazione, mi sembrava incapace di un ragionamento che non fosse mutuato dai mezzi di informazione “governati” da chi detiene il potere.

Detto questo, mi sento però di non poter condividere il tuo ragionamento fino in fondo. Certo per le nostre rassicuranti vite quotidiane, la violenza di qualunque tipo è deprecabile, ma se vogliamo vedere fino in fondo, il problema dell’indifferenza è subdolamente ancora più determinante per la vita ed il futuro di tutti. Dunque io mi pongo il problema se quella violenza è, come sembra sostenere Gianmaria, figlia della partecipazione o se non è invece l’opposto, con il suo carico di necessità di non essere esclusi da un gruppo, ed al contempo individualismo; sfogare le proprie rabbie spalleggiati da “simili”, per poi tornare nella mediocrità del quotidiano borghese.

A mio parere si tratta dunque di capire quanto, tanto nei violenti quanto nei nonviolenti o semplicemente pacifici, ci sia di “imposto” dal regime ed accettato senza capacità critica. Forse sbaglio, ma penso che dopo le esperienze degli anni passati e con tutto ciò che stiamo attraversando, la scelta nonviolenta potrebbe derivare in modo quasi naturale, se alla base ci fosse una consapevolezza, una autonomia di giudizio rispetto a tutto ciò che il regime ci butta addosso. Ma perché questo sia possibile è necessario togliere il freno della pigrizia mentale che ci imbambola con la sirena della risposta facile. In effetti viviamo tutti come in un eterno tzunami di informazioni, ma ancora il discernimento è dettato dal potere che costruisce gli strumenti con i quali non possiamo che decifrare il linguaggio a piacer suo.

Scusa Gino, volevo spiegare qualcosa, ma forse ho fatto solo della gran confusione. Spero almeno di non aver dato troppo motivi di fraintendimento.