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(Tratto da “La nonviolenza è in cammino, n. 1361 del 18 luglio 2006)

Il documento della Rete Lilliput - una delle maggiori e migliori esperienze di accostamento alla nonviolenza oggi attive in Italia - che sopra presentiamo contiene molte utili riflessioni e proposte; contiene altresì alcune gravi ambiguità, e contiene infine alcune tesi decisamente non sufficientemente meditate e da chi scrive queste righe ritenute del tutto inaccettabili. Le principali e più flagranti di esse vorremmo qui segnalare.

Tratto da "La nonviolenza è in cammino" n. 1374 (31 luglio 2006) e 1375 (1 agosto 2006)


[Riproduciamo ancora una volta la prima parte (pp. 1-15) dell'opuscolo che riporta alcuni testi di Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione nonviolenta", e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., sito: www.nonviolenti.org)]

Principi di nonviolenza

La nonviolenza risulta dall'insoddisfazione verso ciò che, nella natura, nella società, nell'umanità, si costituisce o si è costituito con la violenza; e dall'impegno a stabilire dal nostro intimo, unità amore con gli esseri umani e non umani, vicini e lontani. La manifestazione più concreta ed anche più evidente di questa unità amore è l'atto di non uccidere questi esseri e di non operare su di loro mediante l'oppressione e la tortura. Questo impegno non è che un punto di partenza (come nessuno nella poesia, nella musica, può pretendere di esaurirle), e le imperfezioni del nostro atto di unità amore non possono essere compensate che dal proposito di essere attivissimi in essa, nel tu che diciamo agli esseri nella loro singola individualità, mai dicendo che basta. La nonviolenza non è l'esecuzione di un ordine, ma è una persuasione che pervade mente, cuore ed agire, ed è un centro aperto: il che significa che ognuno prende l'iniziativa di unità amore senza aspettare che prima tutti si innamorino, e la concreta in modi particolari che egli decide con sincerità, e con dolore per ogni limite e impedimento che lo stato attuale della realtà-società-umanità ancora mette a sviluppare pienamente questa unità con tutti.
Vi sono, dunque, tanti gradi e tante espressioni della nonviolenza, ma, al punto in cui siamo, esse si concentrano in un modo fondamentale, che è di non uccidere esseri umani. Mentre si sta stabilendo, oggi più che mai, anche economicamente politicamente culturalmente, l'unità mondiale dell'umanità, l'atto di affetto all'esistenza di ogni essere umano ci porta al punto di questa unità umana. Verso gli altri esseri viventi ma non umani, come gli animali e le piante, tutto ciò che è fatto nell'affetto e rispetto alla loro esistenza, apre l'unità amore anche a loro e abitua a sentire, di riflesso, il valore del non uccidere esseri più complessi e più simili a noi, come sono gli uomini. La prassi del vegetarianesimo ha perciò grande importanza.
La nonviolenza non è soltanto contro la violenza del presente, ma anche contro quelle del passato; e perciò tende a un rinnovamento della realtà dove il pesce grande mangia il pesce piccolo, della società dove esiste l'oppressione e lo sfruttamento, dell'umanità nella sua chiusura egoistica e nelle sue abitudini conformistiche e gusto della potenza. Ma finché diamo col pensiero e con l'atto la morte, non possiamo protestare contro la realtà che dà la morte. E perché la società non torni sempre oppressiva sotto un nome od un altro, deve cambiare l'uomo e il suo modo di sentire il rapporto con gli altri: la nonviolenza è impegno alla trasformazione più profonda, dalla quale derivano tutte le altre; e perciò non si colloca nella realtà pensando che tutto resti com'è, ma sentendo che tutto può cambiare, e che com'è stata finora la realtà società umanità non era che un tentativo secondo i modi della potenza e della distruzione, e che vien dato un nuovo corso alla vita con i modi dell'unità amore e della compresenza di tutti.
La nonviolenza è in una continua lotta, con le tendenze dell'animo e del corpo e dell'istinto e la paura e la difesa, con la realtà dura, insensibile, crudele, con la società, con l'umanità nelle sue attuali abitudini psichiche: non può fare compromessi con questo mondo cosi com'è, e perciò il suo amore è profondo, ma severo; ama svegliando alla liberazione e sveglia alla liberazione amando; quindi distingue nettamente tra le persone e gli esseri tutti che unisce nell'amore, tutti avviati alla liberazione, e le loro azioni, delitti, peccati, stoltezze, assumendo il compito di aiutare questi esseri ad accorgersi del male, e, se proprio non è possibile altro, contribuendo a liberarli dando, più che è possibile, il bene.

Tratto da “La domenica della nonviolenza”, n. 91 del 17 settembre 2006

Presento qui una serie di scritti brevi che raccolgono alcune mie riflessioni sulla pratica del metodo del consenso. Li ho usati in forme diverse nei mie ultimi lavori formativi sui processi decisionali consensuali. Il fine è la comprensione del metodo stesso, cosa che credo potrebbe favorirne la diffusione.
C'è una domanda al fondo della mia ricerca: giacché è impossibile non comunicare, non decidere, non gestire i conflitti, come posso farlo in modo nonviolento? E c'è una domanda fondamentale che rivolgo ad ogni gruppo: conosce il metodo che usa per decidere?


Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati dall’altro.

Don Lorenzo Milani in Lettera ai Cappellani Militari toscani, 1965


La nonviolenza non può non essere all’opposizione della società esistente che pratica
scopertamente la violenza oppure si basa sulla violenza (oppressione e sfruttamento)
cristallizzata nel tempo, e solo apparentemente estranea alla violenza

Aldo Capitini


Credete di vivere in un paese, in una città, pacifica e tranquilla? Pensate che le minacce al vostro benessere siano immigrazione e criminalità?
Imparate allora ad uscire dal guscio dell’ottusità e dell’egoismo per cercare di capire cosa vuol dire umanità!

Come si può parlare di pace e non impegnarsi per la giustizia, per la difesa dei diritti? Come si può amare la vita senza lottare quotidianamente contro ingiustizie e soprusi?
Come possiamo pensare di costruire un futuro senza l’impegno costante per la giustizia sociale, ambientale ed economica?
Non basta dire no alla guerra per costruire la pace, occorre mettersi in gioco, giorno dopo giorno, per costruire l’unico futuro possibile, per noi e per le future generazioni.

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 ottobre 2006]


Il paradosso della tolleranza torna in campo ormai ogni settimana nell'Europa alle prese con l'incontro-scontro con altre culture, altre religioni e altre storie. Ne avevo parlato la settimana scorsa, a proposito dei propositi di impedire o limitare l'uso del burka e del velo in Olanda e in Gran Bretagna, nonché a proposito del caso Redeker in Francia.

Tratto da "La nonviolenza è in cammino" - n. 1179 di mercoledì 18 gennaio 2006, il testo seguente è quello del discorso pronunciato a conclusione del dibattito sull'omonimo film di Claude Autant-Lara (Torino, 4 dicembre 1961), pubblicato in "Resistenza", XV, n. 12, dicembre 1961, p. 4; successivamente ristampato in Norberto Bobbio, Il terzo assente, Edizioni Sonda, Milano-Torino 1989, pp. 139-142.
Una riflessione sulla guerra partendo dall'obiezione di coscienza.