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Mentre analisti, editorialisti e media occidentali continuano a definire "tribali", con un'incrinatura di sufficienza e superiorità culturale, le società del diwan, associando al tribalismo ogni sorta di nefandezza morale, nei luoghi dove il tribalismo esiste è stato possibile che una donna abbia messo fine a una faida che continuava da undici anni, senza accennare a potersi placare, almeno finché la risoluzione del conflitto era stata affidata a uomini.

“Ognuno può dire concretamente ‘no’ alla violenza per quanto dipende da lui o da lei. Perché le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie; mentre lavorare per la pace fa bene a tutti”, così dice Papa Francesco che porta l’attenzione particolarmente sulle sofferenze dimenticate e trascurate "delle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan

Salve, io sono Atalya Ben-Abba, ho 19 anni e vengo da Gerusalemme. In data 6 febbraio 2017, dichiarerò l'obiezione di coscienza al servizio nell'esercito israeliano, e sarò mandata in carcere militare per un periodo di tempo non noto. Mi prenderò consapevolmente le conseguenze di questo atto, perché credo che al fine di portare sicurezza a tutte le persone che vivono qui, dobbiamo cambiare interamente le politiche governative e terminare l'occupazione.

Ho a parlare di tante malinconie..."(Domenico Settembrini, incipit delle Ricordanze) Alcuni ottimi amici, alquanto apprensivi, avendo saputo che in questi giorni sto digiunando a sostegno della proposta di riconoscimento del diritto di voto a tutte le persone che in Italia vivono (e ve ne sono oltre cinque milioni cui tale diritto è assurdamente negato), mi hanno detto di lasciar perdere, che non ne vale la pena, che tanto non c'è nulla da fare, che è meglio tacere e far finta di niente.

Non sono ancora riuscito a dire il dolore che suscita in me la vicenda dello strazio e dell'uccisione del giovane Giulio Regeni.

Ogni volta che penso a quell'orrore (di cui i mezzi d'informazione danno notizia con toni che mi sembrano falsi, algidi ed empi), mi sento schiacciare dal peso di tanto male, di tanta violenza che quell'innocente ha schiantato.

“Siamo uomini e donne, appartenenti o no a gruppi politici ed organizzazioni pacifiste – spiega il loro comunicato - nel settembre 2001, quando ci fu l’attentato alle torri gemelle, e gli USA attaccarono l’Afghanistan con il pretesto della caccia a Bin Laden, cercammo un modo per esprimere il nostro sgomento e la nostra indignazione. Decidemmo di adottare l’”ora in silenzio”, una modalità di manifestazione già attuata diverse volte nella storia: per esempio dalle suffragiste statunitensi e dalle donne in nero di Gerusalemme”.