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La crisi del Pdl e la separazione tra Fini e Berlusconi sono solo l'epilogo, certamente cruciale, della crisi di sistema che da anni affligge la democrazia italiana. Ma guai a farsi illusioni. Ciò che è accaduto in queste settimane non ci dice che tale crisi sia avviata a soluzione e che la leadership di Berlusconi sia ormai un residuo del passato. Anzi tutto lascia presumere che ci aspettano sviluppi ben più drammatici di quelli cui abbiamo assistito.

Riflettendo amaramente sui tragici eventi della seconda guerra mondiale, Martin Niemöller (Lippstadt, 14 gennaio 1892 - Wiesbaden, 6 marzo 1984)  scrisse un testo poetico di grande amarezza che ancora oggi dovrebbe servirci per guidare i nostri pensieri e le nostre azioni di fronte all’arroganza, alla follia e alla mancanza di dignità che in questi tempi caratterizzano gran parte degli uomini politici, dell’industria e della finanza ovunque nel mondo: forti coi deboli, deboli coi forti.

Credo che la recente scomparsa dell'ex Presidente Francesco Cossiga aiuti a richiamarci, nei tratti salienti, le radici lontane ed essenziali della politica italiana.

Si tratta di prendere spunti di riflessione dalla parabola di uno dei politici, depositario sicuramente di grandi segreti che si è portato nella tomba, che hanno sicuramente segnato la storia politica del dopoguerra, sollecitati dal dibattito giornalistico sulla sua figura ed il suo ruolo, cruciali durante la repressione del "Movimento del '77" (ricordiamo l'assassinio di Giorgiana Masi!), durante la vicenda Moro, ma anche, nella qualità di "Picconatore", durante la fase di passaggio dalla Prima alla cosiddetta Seconda Repubblica.

Il principio-base di questa politica potremmo individuarlo nel ribaltamento della massima di Von Clausewitz: la continuazione della guerra con altri mezzi; e, specificatamente, della storica "guerra fredda" combattuta nelle forme di un conflitto politico (e sociale) incalanato, moderato e regolato, dalle istituzioni repubblicane nate dalla "resistenza antifascista".

Ordinamento organizzato, come la "narrazione" di Cossiga emblematicamente ci rammenta, con il corollario materiale di un "retro-Stato" nel sottofondo, palesemente emergente, di tanto in tanto, con la teoria, a volte letteralmente "esplosiva", di trame, misteri, stragi impunite, servizi "deviati", gruppi terroristici neri, organizzazioni criminali più o meno arruolate come parti irregolari dell'esercito del "mondo libero".

Appare utile menzionare per questo aspetto il clamoroso caso della Sicilia, nella quale gli americani, dopo aver preparato lo sbarco nel 1943 ricorrendo ai servigi della mafia, con la mediazione di Salvatore Lucania (detto "Lucky Luciano"), insediarono alla guida di molti municipi dell'Isola boss mafiosi. E' anche importante ricordare Portella della Ginestra come prima "strage di Stato"; massacro attuato, sparando (11 morti e 27 feriti) contro i contadini radunatisi per il Comizio del 1° Maggio, dal bandito Salvatore Giuliano, ma ordinato, probabilmente, dallo stesso ministro degli interni, il democristiano Mario Scelba, che strumentalizzava, per difendere i latifondi agrari, il movimento separatista siciliano, infiltrato oltretutto dalla mafia. Almeno stando alla vulgata "progressista" di cui è, ad esempio, espressione il lavoro dello storico Giuseppe Casarrubea dal titolo: "Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato".

Ma, dall'altra parte della barricata, con l'appendice della "doppiezza togliattiana" rispetto alla lealtà parlamentare, tollerante la presenza sia di un'ala autonoma tendenzialmente insurrezionalista nel PCI, a imitazione di quanto accadeva nei Paesi dell'Europa Orientale (Piero Secchia, come responsabile dell’organizzazione interna teneva in piedi il cosiddetto "parapartito", una struttura clandestina fondata su cellule attive e armate di ex partigiani), sia di un'ala di stretta emanazione moscovita, di cui Armando Cossutta, ad esempio, è stato notorio esponente. Le schede che si riferiscono a Cossutta, nel dossier Mitrokhin, divulgate dalla Commissione parlamentare stragi, lo definiscono "contatto confidenziale del KGB", terminale dei finanziamenti del PCUS (decine di milionate di dollari, mica noccioline!); e gli attribuiscono addirittura una collaborazione in un piano per fare fuori politicamente Enrico Berlinguer.

Da questo "album di famiglia" avvezzo alla lotta armata, come lo ha chiamato Rossana Rossanda, fondatrice del "Manifesto", non è escludibile il fenomeno del terrorismo rosso che ha poi caratterizzato i cosiddetti "anni di piombo", culminati nella vicenda Moro.

Per controbilanciare, Cossiga stesso, con il quale abbiamo iniziato il discorso, si è dichiarato, papale papale (o dovremmo dire: massone massone?), il capo di "Gladio", struttura della rete atlantica "Stay Behind", che in caso di "pericoloso rosso" (una vittoria elettorale delle sinistre) avrebbe dovuto organizzare la "contras" interna includendo l'assassinio dei dirigenti della parte avversa.

Dall'altro versante della barriera non incontravamo però, già lo si diceva, mammolette "pacifiste", pur se travestite da "partigiani della pace".

L'antifascismo serio farebbe bene ad ammettere che esecuzioni e crimini da parte "comunista" furono compiuti anche dopo il 25 aprile 1945, a Liberazione ormai compiuta, e non solo nel "triangolo rosso" dell'Emilia, e non solo a danno di "carogne fasciste", ma persino contro civili, giornalisti e partigiani non comunisti (ad es. il fratello di Pasolini, nel massacro di Porzus, questo però del febbraio 1945).

Gli stalinisti sono sempre stati gente che te la raccomando, come ad esempio mi raccontava il nonno materno di mio figlio Enrico, Vincenzo Piatti, volontario aviatore di "Giustizia e Libertà", nella guerra di Spagna, a fianco della Repubblica. "Se ho veramente rischiato di morire allora non è stato per mano franchista, ma per i servi di Mosca che presero la guida del governo repubblicano. Iniziò l'annientamento politico e fisico dei non allineati: combattenti anarchici e troskisti, ma anche gli antifascisti delle Brigate internazionali che potevano testimoniare le fucilazioni di massa". Il racconto di questa drammatica repressione "comunista lo fa il film "Terra e Libertà", di Ken Loach, che segnalo in quanto la posizione ultra-sinistrorsa del regista non lo rende certamente sospettabile di intenti "anti-rivoluzionari".

Il mondo emerso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, chiusa la fase collaborativa tra gli "Alleati" in funzione anti-Asse, è universalmente noto che si era diviso in due "campi" contrapposti (di qua della "cortina di ferro" il "mondo libero", di la il "mondo socialista") e di conseguenza, essendo l'Italia collocata sulla faglia più pericolosa della frattura geopolitica ed ideologica, anche la politica italiana lo era, sostanzialmente "militarizzata" nell'inquadramento delle fazioni l'un contro l'altra armate, e, come si è accennato, non in modo metaforico (anche se le armi i combattenti le tenevano da parte in depositi nascosti).

La particolarità italiana stava nella presenza di un forte partito comunista con una ideologia - "togliattiana" - non beceramente "stalinista", ma comprendente, forse anche per il recupero - con stravolgimento - di Gramsci da parte di Togliatti, alcuni aspetti del liberalismo nella strategia proclamata della "democrazia progressiva", che avrebbe conseguito il "socialismo" mediante le "riforme di struttura" nel quadro del sistema parlamentare.

L'"antifascismo" insieme sosteneva e complessificava il quadro, perchè, in quanto partito protagonista della redazione e dell'approvazione della Costituzione del 1948, inseriva il Partito Comunista Italiano (PCI) nel cosiddetto "arco costituzionale", insieme alla Democrazia Cristiana (DC), alle forze "socialiste", al PLI ed al PRI; e dal quale il Movimento Sociale Italiano (MSI) era invece escluso poiché era stato fondato da reduci della Repubblica Sociale Italiana ed ex esponenti del regime fascista.

La Costituzione italiana è un documento importante e, tutto sommato, avanzato e moderno, più che condivisibile da un'ottica liberale e libertaria (anche se non liberista), perchè nasce, da parte delle famose "componenti popolari" della nuova democrazia italiana (cattolici, comunisti, socialisti... e laici radicali!), come reazione comune al totalitarismo fascista ed alla tragedia della guerra in cui le ambizioni imperialistiche del Duce avevano precipitato la Nazione italiana.

La prima parte della Carta, che raggruppa i diritti e i doveri, è infarcita di bei principi, ma senza indicare norme precise.

Noi ecopacifisti, obiettori alle spese militari e nucleari, ad esempio, apprezziamo in modo particolare l'art. 11 sul "ripudio della guerra".

La seconda parte, sui meccanismi di organizzazione del potere, ricalca da vicino la Costituzione francese del 1947, ma con una sottolineatura del ruolo centrale attribuito al Parlamento: e voglio vedere che i costituenti non fossero preoccupati, dopo aver sperimentato Mussolini, di evitare in ogni modo che un singolo uomo avesse un potere troppo grande!

Le ipotesi di Repubblica presidenziale all'americana, oggi tanto in auge, e sostenute allora da parte del Partito d'Azione, vennero pertanto respinte - e secondo me opportunamente - senza tentennamenti dalla stragrande maggioranza dei deputati.

Punti deboli della Carta, dal mio punto di vista, con il senno di poi: la non regolamentazione giuridica di obblighi delmocratici per partiti e sindacati e l'accoglimento, nell'art. 7, dei Patti lateranensi del 1929, che danno alla Chiesa cattolica una posizione contraddittoria rispetto all'eguaglianza tra le varie confessioni religiose.

Sono questi i punti che poi hanno aperto il varco alla successiva degenerazione partitocratica ed alla asfissiante invadenza politica del Vaticano.

Ma, nonostante il back-ground costituzionale condiviso (e con un senso di responsabilità istituzionale che oggi ci sognamo!), invece nella amministrazione del governo funzionava nei confronti del PCI il cosiddetto "fattore K", espressione del giornalista Alberto Ronchey che divenne celeberrima, ad indicare una "conventio ad escludendum" dalla "stanza dei bottoni" anche per la necessità di rispettare gli equilibri internazionali (sintetizzati come "accordi di Yalta"): la sinistra italiana, appesantita dalla presenza del Partito comunista più forte dell’Occidente, non poteva presentarsi come una credibile e praticabile alternativa al predominio democristiano.

Il "caso Moro", vale a dire la vicenda relativa all'agguato, al sequestro, alla prigionia e all'uccisione di Aldo Moro (il cui cadavere venne ritrovato in via Caetani il 9 maggio 1978, lo stesso giorno in cui fu assassinato dalla mafia Peppino Impastato), è stato interpretato come la "punizione" del politico democristiano che più si era dato da fare per inserire il PCI nell'area di governo, contando sulla sua fuoriuscita dall'orbita sovietica ( Enrico Berlinguer aveva varato nel 1976 il progetto "eurocomunista" accettando l'"ombrello NATO") e sulla sua "socialdemocratizzazione".

Il futuro "picconatore" Francesco Cossiga, durante la vicenda, è ministro degli Interni, e fu gestore della cosiddetta "linea della fermezza" cui si opposero socialisti e radicali. La stampa unanime nei "coccodrilli" ha ricordato, senza scandalizzarsi più di tanto, che Cossiga creò a tempo di record ben due “comitati di crisi”, ai quali, tuttavia, presero parte persone che poi si rivelarono iscritte alla P2 (lo stesso Licio Gelli era membro di tale comitato sotto il falso nome di “ingegner Luciani”).

Su "Lo Specchio", blog di informazione politica (http://lospecchioblog.altervista.org), trovo questo "inquietante" pezzo di Carmine Gazzanni: "Cossiga richiese ed ottenne l’intervento di uno specialista americano, il professor Steve Pieczenik, ex membro del Dipartimento di Stato statunitense, inviato da Jimmy Carter come consulente psicologico durante il rapimento. E Pieczenik stesso rimase sorpreso proprio dalla fuga di notizie per la quale le Br parevano a conoscenza di quanto si discutesse nelle stanze riservate dei comitati. L’americano, infatti, riuscì a far ridurre progressivamente il numero dei partecipanti alle riunioni. Fino a rimanere solo in due: lo stesso Pieczenik e Cossiga. Il commento dello statunitense a questo punto è profondamente eloquente: nonostante nessuno più partecipasse alle riunioni “la falla non accennò a richiudersi”. Domanda: come facevano le Brigate Rosse ad essere informate?"

Personalmente sono propenso ad interpretatare la "fermezza" come intervento del retro-Stato sullo Stato: bisogna "stabilizzare" la situazione politica garantendo gli equilibri utili al partito occulto della guerra fredda da parte americana e NATO: il prezzo per conseguire questa stabilizzazione è l'uccisione di Aldo Moro, gestita di fatto da Cossiga. Quando dico "America" mi riferisco ai circoli legati al complesso militare-industriale-energetico, che non coincidono con tutti i "poteri forti" USA (ad es. Wall Street, la grande finanza) né tantomeno con tutta la politica istituzionale e governativa "a stelle e strisce".

Credo proprio che sulla pelle di Moro si sia consumato, con Cossiga come mediatore, l'inizio del traghettamento di una parte del PCI nel "partito americano": non a caso oggi i "nipotini di Togliatti" sono passati da uno Stato-guida all'alto. Educati a prendere ordini da Mosca si sono abituati facilmente e subito a prendere ordini da Washington (ovviamente nel suo lato peggiore). Anticipando quello che dovrebbe essere raccontato dopo, mi sembra importante sottolineare che fu lo stesso Cossiga, per sua esplicita ammissione, a mandare in porto l'operazione che - facendo le scarpe a Romano Prodi - portò Massimo D'Alema a diventare presidente del Consiglio affinchè il primo post-comunista potesse guidare la partecipazione italiana alla guerra NATO nella ex Jugoslavia! E, sempre per riferirsi a D'Alema, non si diventa certamente per caso presidente del Copasir - il comitato parlamentare per il controllo dei servizi segreti, senza i requisiti e i contatti "giusti", che offrano le garanzie "giuste". Berlusconi, ricordati degli amici!

Riprendendo il filo cronologico del discorso, leggiamo su Wikipedia: "Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono da un lato l'esclusione del PCI da ogni ipotesi di governo per gli anni successivi, e dall'altro un ridisegno del cosiddetto "regime democristiano": la DC di Andreotti rimase partito di governo fino al 1992, anno di Tangentopoli, partecipando sempre a maggioranze che lasciarono il PCI all'opposizione, ma queste politiche tuttavia portarono dal 1981, col primo Governo Spadolini ad avere alternanze di presidenti del consiglio democristiani con altri "laici", rompendo quindi il monopolio democristiano. All'interno del Partito socialista italiano (PSI), che aveva sostenuto la possibilità di uno scambio di prigionieri per liberare Moro, vinse la linea di Bettino Craxi per l'esclusione del PCI dal governo, e iniziò una lotta politica con lo stesso per tentare di superarlo nelle elezioni".

L'opposizione del PCI, in questa fase politica, è pura facciata perchè sempre di più il potere politico è, di fatto, cogestito, all'insegna del "compromesso storico" di berlingueriana memoria. Bisogna riconoscere a Marco Pannella la fondatezza della sua denuncia del "regime unico della partitocrazia", del fatto vero che "il 95% delle leggi in Parlamento vengono votate all'unanimità". La "lottizzazione" si fa ovunque e comunque, a tutti i livelli. Basti pensare alla spartizione della RAI: prima rete ai democristiani, seconda rete ai socialisti e laici, terza rete al PCI (sotto la supervisione di Walter Veltroni). La "partitocrazia" si divide alla maniera dei proverbiali ladri di Pisa, che litigano di giorno per meglio spartirsi il bottino di notte.

Quando, il 9 maggio 1978, Peppino Impastato venne trovato "a pezzettini" sui binari della Palermo-Trapani, il PCI locale - ben me ne rammento - non prese le sue difese, avallò l'ipotesi - costruita dai depistatori su libro paga del boss Tano Badalamenti - che il giovane eroe "demoproletario", fustigatore per radio delle malefatte mafiose, fosse un "terrorista suicida".

Ricordo bene cosa significava il "compromesso storico" in Sicilia: l'accordo con la parte propriamente mafiosa della DC, con la corrente andreottiana di Salvo Lima, la cui esecuzione, nel 1992, ha forse inaugurato la "strategia del terrore e del ricatto" di Totò Riina (e contro cui il Centro Impastato, con il contributo determinante di Umberto Santino, preparò uno storico dossier presentato al Parlamento Europeo da Democrazia Proletaria). Questo accordo voleva dire una quota degli appalti per le opere pubbliche (il 20%) riservata alle cooperative rosse. Voleva dire che uno dei quattro mandamenti per il risanamento del centro storico di Palermo (quello attorno a Piazza Marina) era di competenza PCI.

Io, Peppino, diciamo la "generazione (politica) del '68", col senno di poi ci giudico così: eravamo, da una parte, i pasdaran di una "guerra sbagliata", gli ultimi giapponesi della "Resistenza come rivoluzione comunista tradita"; dall'altra parte, credo, i primi portatori di contenuti nuovi, di istanze sociali, ecologiste e libertarie nuove, pur se ingabbiate in vecchi schemi culturali (che hanno condotto molti alla deriva della lotta armata nei gruppi terroristici "rossi"). In ogni guerra esistono gli "idealisti", quelli che veramente ci credono, quelli che partono volontari per gli assalti in prima fila, mentre dietro le loro spalle i "realisti" della parte "amica" sanno approfittare del clima e delle condizioni belliche per portare avanti i loro affari e accumulare ricchezza e potere, di solito in combutta con gli altri realisti della parte "nemica".

Il bipolarismo italiano oggi, su cui è fondata la cosiddetta "Seconda Repubblica", nella sua spinta di fondo nasce dal grande evento realmente terremotante la scena politica internazionale, e quindi quella italiana: il crollo - anticipato dalla caduta, nel 1989, del Muro di Berlino - del centro guida statale del comunismo internazionale: l'URSS, che viene sciolta nel 1991; ed emerge, come causa più prossima, dalla tempesta di "Mani Pulite". E' l'indagine giudiziaria condotta dal "pool di Milano" - per la cronaca i magistrati Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Ilda Boccassini, guidati dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo vice Gerardo D'Ambrosio - che portò alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano, noto come "Tangentopoli".

Le conseguenze politiche degli arresti e degli scandali furono, anche questo è universalmente conosciuto, la sparizione di Partiti storici come la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il PSDI, il PLI, il PRI.

La "Seconda Repubblica" possiamo considerarla veramente inaugurata quando la nuova legge elettorale maggioritaria entra in vigore, nel 1994, ed il nuovo parlamento vede l'assenza dei gruppi politici storici italiani, sopra citati, che avevano governato il paese dalla nascita della Repubblica italiana.

I referendum elettorali (ah, se Mariotto Segni si fosse dato all'ippica!) segnano la fine di un'era e di una classe dirigente, giustificata dall'alternativa "democrazia" del "Mondo libero" versus "giustizia" del "Mondo Socalista", con la comparsa sulla scena di nuovi partiti (Forza Italia, i Democratici di Sinistra, la Lega Nord, Alleanza Nazionale...) e di un nuovo sistema elettorale, basato sulle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra, le quali però non riescono a liberarsi della anacronistica dicotomia comunismo-anticomunismo.

Il cambiamento principale venne accentuato nel 1993 con il passaggio da un sistema elettorale proporzionale, a un sistema maggioritario, almeno tendenzialmente (al 75%), che avrebbe dovuto favorire il bipolarismo, se non anche il bipartitismo in modo da assicurare l'alternanza al governo, fra due partiti o coalizioni. Tale alternanza, lo ripeto ancora, era mancata dalla nascita della repubblica italiana, poiché la DC, il partito italiano che otteneva sempre maggioranza relativa, stringeva di volta in volta alleanze vittoriose, tali da porla nel governo, con un peso preminente (pur non avendo sempre un suo uomo come presidente del consiglio), per tutte le legislature consecutive dalla nascita della repubblica italiana (1946), bloccando così ogni possibile alternanza politica.

La riforma della legge elettorale, varata dal governo Berlusconi III (2005 - 2006), ha ripristinato in seguito, con il cosiddetto "porcellum" di Calderoli, un sistema elettorale proporzionale, ma con sostanziali differenze: su liste bloccate, cioè decise di fatto dai partiti, con premio di maggioranza (introdotto per la terza volta in Italia dopo l'esperienza della Legge Acerbo e della, non molto fortunata per la verità, cosiddetta "legge truffa" degli anni cinquanta), valutato su base nazionale per la Camera dei deputati e su basi regionali per il Senato.

Vediamo quindi di riassumere e di portare a conclusione quanto finora esposto, si spera non in modo troppo confuso: la Seconda Repubblica dovrebbe distinguersi dalla Prima in quanto maggioritaria bipolare (tendenzialmente bipartitica); ma i due poli che si impongono non sono, come nel resto dell'Occidente, da una parte, uno schieramento centrista-moderato di destra, dall'altra, uno schieramento centrista-moderato di sinistra: sono le posizioni estreme a tenere banco perchè i leaders ed il personale dei partiti oggi nell'agone proviene, per semplificare, dritto dritto dalle forze che erano più coinvolte nello scontro frontale del dopoguerra.

Diciamola in modo ancor più schematico: l'Italia come Nazione durante la Guerra Fredda non era interamente schierata in un campo contro l'altro, era divisa al suo interno da forze rappresentanti i due fronti; la Guerra Fredda si svolgeva sul suo stesso territorio come Guerra Civile Fredda (anche se, lo abbiamo visto, tenuta sotto controllo dalla comune matrice "antifascista"). Questa era la vera costante della Prima Repubblica. Poi succede che crolla il "comunismo" (almeno quello russo, che interessa più direttamente l'Europa), la Guerra Fredda si chiude ufficialmente a livello mondiale... ma in Italia invece continua!

Grazie anche alle (non volute) conseguenze di Mani Pulite, le fazioni (esteriormente, come ho spiegato) più estreme, più conflittuali, più combattenti, vanno di fatto ad occupare lo spazio che, nella Seconda Repubblica, avrebbe dovuto essere proprio di componenti più moderate, meno ideologiche e bellicose. Che so, il nobile ed idealistico Partito d'Azione, ad esempio.

Le retrovie "civili" del conflitto si liquefano, e vengono invece fuori i (presunti, perchè già adusi ad inciuci e spartizioni) commandos, i pasdaran, gli arditi incursori, dall'una e dall'altra parte! I lupi, di qui e di la, si travestono da agnelli e proclamano il "bipolarismo", che difatti, con queste premesse, non funziona come dialettica civile e democratica, alla maniera del resto d'Europa, ma degrada in rissa faziosa (sullo sfondo c'è sempre lo scontro tra post-comunisti e post-fascisti!). Il clima di guerra, anche solo mimata, è sempre stato ideale per favorire l'accentramento dei poteri e la selezione dei peggiori, i più aggressivi e meno dotati di scrupoli morali. E la recita dei "ladri di Pisa" è sempre sullo sfondo. L'emblema di questo finto - e fallito - bipolarismo all'italiana è proprio la figura anomala, rispetto agli standard delle democrazie cosiddette "avanzate", di Silvio Berlusconi, il Cavaliere Nero che, da imprenditore che si butta in politica, concentra su di sè un conflitto di interessi altrove inconcepibile: il quasi assoluto monopolio televisivo.

Sono stato invitato a Castelbuono, 100 chilometri circa a sud-est di Palermo, al campo estivo «Cittadini del villaggio Globale, cantiere di educazione alla pace e alla mondialità» per un seminario sul tema «La Pace della Giustizia». In una giornata si è cominciato e finito di parlare di tutto: di Politica, di Chiesa, di Religione, di Fede, di Pace, di Giustizia e di Progetti. Ho avuto l’onore di conoscere una trentina di persone che partecipavano al campo tra cui dodici giovani, sette uomini e cinque donne che mi hanno sconvolto.

Ho letto con grande attenzione l'intervento di Giorgio Ruffolo pubblicato dal manifesto (mercoledì 26 maggio) sotto il titolo «Federalismo, un patto tra Nord e Sud» e desidero, per quel poco che possano valere le mie parole, spenderne un po' a favore dell'ipotesi avanzata dall'illustre economista e uomo politico a giudizio del quale il futuro dell'Italia potrebb'essere anche, o meglio forse, quello di suddividersi in alcune (poche) macro-regioni federate tra loro ma dotate di grande autonomia.