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Donne come me

Onyama, Uganda. A migliaia di miglia di distanza da qui, a Ginevra, ufficiali governativi - rappresentanti delle agenzie delle Nazioni Unite e membri della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine - si incontreranno dal 29 novembre al 3 dicembre per discutere dei loro sforzi e piani per implementare il Trattato di bando delle mine del 1997. Stanno scambiando informazioni sui progressi fatti nel mantenere le date di scadenza per la ripulitura dei terreni minati. Stanno parlando dei piani nazionali di assistenza alle vittime delle mine, inclusi i modi in cui i sopravvissuti sono coinvolti nel disegnare, portare avanti e monitorare tale lavoro. Stanno parlando di questioni che trattano delle donne come me. Per la maggior parte noi, donne disabili, siamo state lasciate fuori da queste importanti conversazioni per tutto il decennio passato, proprio come siamo state lasciate fuori dai programmi di sviluppo e rifiutate dalle nostre stesse comunita'. Chi decide le politiche deve tenere in conto i nostri bisogni, di modo che noi si possa condividere i benefici di ogni programma ideato.

Le donne disabili sono troppo spesso isolate nelle loro comunita', ignorate dai soccorsi e vittime di violenza sessuale. Abuso ed abbandono sono comuni, e la mancanza di accesso alle cure sanitarie, all'istruzione e ad opportunita' di impiego sono la realta' per la maggioranza di noi. Persino nelle relazioni umane, vi e' spesso vergogna e paura. Non e' insolito che gli uomini si facciano vedere di notte e ripartano al mattino, perche' non vogliono essere visti con una moglie disabile.

Io so tutto questo per esperienza personale, quell'esperienza che ebbe inizio una notte del 1996, quando i ribelli del Lord's Resistance Army entrarono ad Onyama, il mio villaggio nell'Uganda del nord. Bruciarono e saccheggiarono le case dei miei vicini. Io vidi la distruzione il mattino seguente, mentre andavo a prendere acqua e a comprare cibo al mercato, portando il mio figlio piu' piccolo sulla schiena. Mentre tornavo a casa, per evitare un uomo che la percorreva in senso inverso in bicicletta, mi sono spostata di lato. Ho udito lo scoppio di un tuono e tutto e' diventato buio attorno a me.

Ho passato tre mesi in ospedale: ho perso una gamba e mio figlio. Avevo messo il piede su una mina, ed il mondo che avevo conosciuto divenne un vicolo cieco. La vita con mio marito cambio' completamente. Subivo di continuo il suo abuso verbale; mi diceva che ero inutile, che ero senza speranza. I miei suoceri gli dicevano: "Monica e' disabile, prenditi un'altra donna".

Dopo un anno, mio marito mi lascio'. Io allora ero incinta di quattro mesi e lottavo per riuscire a prendermi cura del mio primogenito. Mi vergognavo di essere mutilata. Avevo paura di quel che la gente poteva dire. Con il tempo mi isolavo sempre di piu'. Sono stati i miei bambini ad impedirmi di suicidarmi. Cosa sarebbe accaduto loro, se io morivo? E quando scoppiavo in lacrime, anche loro si mettevano a piangere, cosi' io smettevo e li consolavo.

Infine decisi di unirmi all'associazione locale dei sopravvissuti alle mine, e la' trovai speranza, amicizia e coraggio. Lentamente ho ricostruito la mia vita. Adesso ho un piccolo commercio, vendo pesce al mercato, e sono la leader di un'organizzazione di sopravvissuti dell'Uganda del nord.

Migliaia di donne disabili, in Uganda e ovunque, che hanno perso membra del loro corpo, familiari, e dignita' a causa della guerra, continuano a sperimentare barriere in troppi aspetti delle loro vite. I paesi di piu' di meta' del mondo, Uganda incluso, hanno ratificato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilita', e piu' di 150 paesi hanno firmato il Trattato di bando alle mine. Questi sono impegni importanti presi dai governi, ma in che modo aiutano le donne come me nella vita quotidiana? Se veramente contiamo qualcosa c'e' bisogno di contare sul serio, o continueremo a vivere come ombre. In Uganda non sappiamo quante siamo, quante beneficiano dei programmi governativi e quante subiscono violenze sessuali. Siamo invisibili.

Spero che le Nazioni Unite, i volontari dell'aiuto umanitario ed altri che lavorano in situazioni di conflitto vorranno gettare luce sugli ostacoli che le donne con disabilita' devono affrontare, spero che ascolteranno quel che abbiamo da dire, e che lavoreranno con noi per fare qualcosa.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo
Traduzione G. Maria Di rienzo