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Correva l’anno 2012 e il mese di aprile quando, per la prima volta, scrivemmo un pezzo su Combonifem magazine, sottolineando la necessità di un linguaggio che declinasse alcune parole al femminile, riconoscendo un cambiamento dei tempi certo, ma, ancora di più, il fatto che diverse cariche istituzionali e professioni lavorative venivano ricoperte da donne. Da qui, commentavamo, la necessità di avere termini rispondenti alla realtà. Perché chiamare le persone per nome significa riconoscerle.

La vicenda che ha visto coinvolte la Filcams Cgil e la Camera del Lavoro di Milano, a proposito dell'iniziativa della Coin di mettere in vetrina ragazzi e ragazze per pubblicizzare prodotti da spiaggia, si può considerare emblematica delle implicazioni ambigue, contraddittorie, che si porta dietro, con evidente esitazione a nominarle, il movimento che da alcuni anni si batte contro la mercificazione del corpo delle donne.

Chi non riesce, nemmeno a immaginare, quanta forza innovatrice ci sia nella vita delle donne italiane, nelle nostre vite, è immerso in un autismo politico. E questo incontro dimostra una realtà cristallina nella società, ma opaca nei  palazzi del potere: l’Italia è in crisi perché non ha dato risposta alla libertà delle donne, libertà  che ha cambiato tutto: vite, lavoro, relazioni, saperi.

Inclusione.

Di tutte le parole dette nella due giorni di Siena (bellissimo appassionante appuntamento, generosamente organizzato) questa è certamente la più condivisibile eppure la più ambigua, per come è stata affermata e ripresa, dopo che qualcuna, poche oltre a Lidia Menapace, ha nominato alcuni contenuti come l'antifascismo, il patriarcato, il capitalismo, sui quali è quantomeno necessario aprire il dibattito.

Dopo il 13 febbraio il comitato "Se non ora quando", che aveva lanciato l'appello e il logo, e coordinato le parole d'ordine e le modalità della mobilitazione (cui hanno risposto oltre 250 piazze in Italia e perfino 36 fuori dai confini) ha dovuto far i conti con tale risposta, di una qualità straordinaria, ben al di là di ogni possibile aspettativa o immaginazione.

Sembra un destino dei movimenti rendersi "visibili" solo quando scuotono la compagine istituzionale, le sue chiusure, i suoi modelli, la sua cecità rispetto a tutto ciò che si muove intorno e al suo interno. La divisione tradizionale tra politica e società è ancora così salda che è bastata l'imprevista partecipazione alle elezioni amministrative e al referendum per qualificare come "nuovi" protagonisti che sono da decenni tutt'altro che assenti dalla scena pubblica e dai suoi conflitti. I cortei degli studenti e dei precari, le occupazioni delle università, le singolari forme di lotta adottate negli ultimi tempi dagli operai, le grandi manifestazioni delle donne, dal 2006 al 13 febbraio, appaiono nonostante tutto "carsici" finché non producono cambiamenti riconoscibili nei luoghi deputati della politica.