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Io non credo alle "donne" come soggetto unico. Siamo differenti l'una dall'altra: i nostri interessi, le nostre speranze, i nostri desideri differiscono. Le circostanze in cui ci troviamo, le nostre prospettive, le risorse che abbiamo a disposizione, sono diverse. Non ho mai pensato di parlare in nome e per conto delle donne: le domande che faccio alle strutture di potere le faccio come femminista, e cioè sapendo che per quanto noi si parli con voci differenti, si abbiano esperienze differenti e si viva in condizioni differenti, tutte dobbiamo confrontarci con ingiustizie e violenze di genere.

Pubblicato su "Nonviolenza. Femminile plurale", n. 118 del 19 luglio 2007 e tratto dal sito Giuriste d'Italia riprendiamo la seguente relazione tenuta a un seminario sul tema "Donne, diritto, uguaglianza, guerra, multiculturalismo" svoltosi a Bologna il primo marzo 2002.

1. I diritti delle donne afghane

Una ragione essenziale del nostro essere qui, e dell'aver dato vita a "Giudit - Giuriste d'Italia" è l'interesse profondo nutrito per il tema dei diritti delle donne, cioè della libertà, ad esse garantita dal diritto, di scegliere individualmente e coltivare il proprio modo di essere. Perciò ogni volta che questo interesse nella società si approfondisce, e si esprime, non possiamo che essere liete, e fiere.
Ebbene, ci sono alcuni diritti di alcune donne, nei confronti dei quali, di recente, l'interesse si è indubbiamente approfondito, è stato ripetutamente, e con compiacimento, espresso, e poi si è di nuovo prontamente assopito, quando le tremende vicende che lo hanno occasionato non hanno più goduto degli onori delle prime pagine della stampa.
Sono i diritti delle donne afgane, di cui sarebbe stato impossibile, oppure imperdonabile, non parlare in questa sede. Sono i diritti al femminile che, a livello planetario, negli anni recenti (esattamente a partire dal 1996), sono stati calpestati con la maggiore determinazione, intransigenza e violenza. Ma questa tragedia, al di fuori di circoli ristretti e appassionati (circoli di donne, appunto), non ha riscosso nessun interesse.
Nemmeno quel moderato interessamento che la distruzione di alcune statue del Budda ha suscitato a livello tanto dei governi quanto dell'opinione pubblica internazionale. Oggi poi (ma è un oggi che in questa società dell'effimero è già ieri) sono stati issati su equivoche bandiere. Infatti la loro rivendicazione è stata prodotta, se non a motivazione, almeno a parziale giustificazione di un intervento armato di un furore difficilmente digeribile. Un furore che non si esaurisce nelle azioni belliche, che perdurano anche se a video spenti; ma che va oltre, e si esprime contro gli individui catturati nel corso delle suddette azioni.
Gioia e fierezza, dunque, dovrebbero accompagnare ogni progresso sul terreno dei diritti delle donne e della relativa consapevolezza. Ma questa volta invece nutriamo un senso forte di disagio, che non è dovuto solo alla evidente precarietà dei progressi compiuti.

Pubblicato su "Nonviolenza. Femminile plurale", n. 119 del 26 luglio 2007, tratto dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo l'intervento di Laura Colombo al seminario su Carla Lonzi "Ti darei un bacio", svolto in occasione della prima edizione delle Giornate di studio dedicate a Gina Guietti, Ferrara, 20-21 aprile 2007.


Quello che dirò oggi - voglio precisarlo subito - è il risultato di scambi in libreria e riflessioni condivise con altre donne e alcuni uomini, ma soprattutto è frutto del confronto stretto e costante con Sara Gandini, una mia coetanea che fa politica con me alla Libreria delle donne di Milano.

L'origine non è l'inizio Io appartengo a una generazione che è venuta dopo le lotte femministe degli anni Settanta e Ottanta. Se c'è una cosa alla quale le donne della mia generazione non possono rinunciare è proprio la forza femminile messa al mondo dal movimento delle donne. Questa forza ha origine dal lavoro politico dei primi gruppi di autocoscienza, caratterizzati dalla ricerca di un'autonomia dallo sguardo maschile e dal tentativo di trovare un senso libero di sè e della propria posizione nel mondo ("Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell'uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell'esistenza" Manifesto di Rivolta Femminile).
Leggendo Carla Lonzi si vede chiaramente come la consapevolezza della mancanza di uno spazio politico per una rappresentazione libera di sè e la necessità di creare uno spazio simbolico per una narrazione autentica sono elementi essenziali che hanno portato all'invenzione di pratiche politiche ancora oggi essenziali. La prima scoperta è stata la pratica di una parola scambiata tra donne a partire da sè, senza astrazioni e nel tentativo di restare fedeli a sè, di non alienarsi, partendo dai propri scacchi, dalle proprie contraddizioni, cosa che implica il mettersi in gioco con i propri desideri, la propria sessualità, le fantasie, le paure, l'inconscio, il rimosso che normalmente non trova parola. (Carla Lonzi parlava di "Far esistere ciò di cui si aveva bisogno").

Pubblicato su “notizie minime della nonviolenza in cammino” – n. 373 del 22 febbraio 2008

Una rete per salvare le donne dalla violenza sessuale e dai maltrattamenti in famiglia. Una rete di associazioni, di comunità, di centri specialistici, perché Milano e la Lombardia sono tristemente in vetta a tutte le classifiche dei delitti "passionali", degli stupri, delle aggressioni, delle minacce e di quella moderna e sottile forma di persecuzione psicologica esercitata dagli uomini sulle loro ex compagne che si chiama "stalking".

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 152 del 27 febbraio 2008

Partirei da  una proposta semplice, che sembra ovvia ma non lo é: l'idea che vorrei  mettere in pratica nelle liste è l'idea che le donne hanno valore, e che le differenze fra esseri umani, fra uomini e donne, siano esse biologiche o derivazioni culturali, non costituiscono scusante o giustificazione per la discriminazione rivolta contro le donne.

Pubblicata sulla lettera di marzo del circolo ACLi di Cernusco sul Naviglio (Mi)

In questi tempi in cui si parla a proposito e a sproposito dell’aborto e della legge 194, ho sentito l’esigenza di condividere con voi alcune riflessioni. Io credo che tutto il dibattito sia stato affrontato in modo sbagliato. Sono cattolica e, personalmente, non avrei mai abortito. Da giovane ho avuto dei figli e diversi aborti spontanei, che sono stati per me una fonte di sofferenza. Tanto più penso sia molto difficile per una donna decidere di non portare avanti una gravidanza non voluta.

Gli stupratori non nascono tali. Vengono "costruiti", addestrati, come si addestrano i soldati ad uccidere. E la cultura che fa di un uomo uno stupratore è la stessa che "fa" noi tutti/e. Non è una questione femminile, è una questione condivisa, e come tale va affrontata. Molti uomini pensano, e sono sinceri, che la violenza sessuale, quella domestica ed il sessismo siano problemi altrui: segnatamente oggi, dopo gli ultimi fatti di cronaca, è problema/responsabilità dei barbari invasori stranieri.