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Voglio tornare a parlarvi ancora un tratto, caro signor Kappus, se anche non posso dirvi quasi nulla che rechi qualche aiuto.

Voi avete avuto molte e grandi tristezze che se ne sono andate. E dite che anche quel loro andarsene fu per voi difficile e irritante.

Ma vi prego, riflettete se quelle grandi tristezze non siano piuttosto passate attraverso di voi.

Se molto in voi non si sia trasformato, se in qualche parte, in qualche punto del vostro essere non vi siate mutato, mentre eravate triste.

C’erano anche una capra, un asino, galline. Il letto era di paglia…Una sfida alla vita.

di Mario Pancera

Chi conosce la vita contadina, sa che nella stalla ci sono le bestie per lavorare i campi. Sono mucche, buoi, vitelli, cavalli, asini o muli e così via. Ognuno ha un suo posto, ed è legato alla greppia. Al mio paese (almeno ai miei tempi) le mucche avevano anche un nome. Io mi chiamo Antonio M., ho pure un fratello minore, è la verità. Mio padre era un bergamino, cioè un lavoratore a giornata: si alzava di notte per mungere le mucche nella stalla (del padrone), tornava a dormire un po’ e poi, nella bella stagione, andava nei campi: seminava, arava, raccoglieva il frumento o il granoturco, d’autunno si occupava delle viti. Voi lo chiamate bifolco. Spingendo con un lungo palo un biciclo con un bidone, io andavo a consegnare il latte in latteria.

Ailanti
O l’uomo, o l’albero. Questo il senso della storia della terra ha scritto Savinio, annotando la progressiva scomparsa di piante nella macchia di Poveromo di contro all’aumento di case.

Ma davvero è così? Davvero deve essere così?

So, invece, che le pinete del litorale sono artificio umano ed immaginare che quel luogo magico, dove pioveva sulle tamerici sparse, è dovuto all’uomo può essere dissacrante, ma solo per chi crede che la poesia sia nella natura e non nell’uomo.

Io vesto dimesso, mia moglie mi rimprovera sempre dei miei abiti modesti. Io rispondo che non conta la veste e che si tratta più propriamente di umiltà, che è una virtù. Anzi del dimesso mi avvantaggio, come il tenente Colombo col suo impermeabile. Anch’io ho avuto del resto un impermeabile simile, direi identico, beige e corto, di un tessuto che non si sporcava mai. Lo portai da 20 a 45 anni, poi mia moglie lo buttò a mia insaputa, e per il mio bene, perché era troppo sgualcito e liso. Piansi per sei mesi, di nascosto, perché non volevo far capire che piangevo per un impermeabile. Mia moglie non è cattiva, quando avvertì il mio dolore me ne regalò uno nuovo quasi identico, ma non era lui...

Nella barbarie di questi tempi, uscire da una tragedia e ritrovarsi uomo

di Mario Pancera

Nell’atrocità di questi tempi – e, per la verità, di tutti i tempi che ho visto durante la mia esistenza – ho trovato una frase come questa: «Uscire dal carcere e ritrovare gli affetti di sempre» riportata da un notiziario specializzato sui problemi dei detenuti italiani. Ne ho provato un colpo improvviso con una gioia immediata e diffusa: ritrovare gli affetti perduti.

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