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Nella lettera a Danilo Dolci del 24 settembre 1968, Aldo Capitini parla della sua proposta "di presentarci alle elezioni regionali, con una lista di 'rivoluzione nonviolenta per la democrazia direttà, non tanto per essere eletti, quanto per far conoscere la nostra posizione specialmente tra i giovani" (la lettera è ora pubblicata in Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008, pp. 270-271). Capitini morì il 19 ottobre 1968 dopo un'operazione chirurgica.

Davanti alla tragedia di Haiti, l’Italia gioca la carta della portaerei Cavour.

Già nel 2001 l’allora presidente di Pax Christi Italia mons. Bona scriveva: "Ne abbiamo proprio bisogno? Certamente i tecnici della lobby industrial-militare adducono tante ragioni per giustificare l’opportunità... Salta agli occhi il collegamento tra l’enorme povertà di tanta parte dell’umanità e le spese militari". Questa grande portaerei lunga 235 metri (che è costata oltre 1200 milioni di euro pari alla somma raccolta nel mondo dopo la prima settimana dal terremoto di Haiti e che ogni ora di navigazione ad alta velocità consuma 25.000 litri di carburante) porterà aiuto alla vittime del terremoto.

Pubblichiamo la relazione di padre Angelo Cupini, della Comunità di via Gaggio a Lecco, fatta il 26 ottobre 2009 presso la Sala Ticozzi - ACLI/Bibbia.

Questa sera

Sono il prestanome per una piccola storia collettiva vissuta per molti anni, il prossimo saranno 35, che ha preso nome da uno stradario comunale, l'associazione comunità di via gaggio. Dall'impasto del tempo e delle persone raccolgo difficoltà, rischi, possibilità del territorio lecchese attorno a questa questione (il fanatismo), sottoposta oggi ad un momento di verità per l'impatto con un tempo che cambia, nel quale ci siamo ritrovati.

Quale nonviolenza

Le guerre del novecento e di questi primi anni duemila hanno a tal punto inverato i timori e gli avvertimenti dei pacifisti che sentirne ventilare di nuove suona incredibile. L'unica a conservare l'immagine del conflitto giusto e necessario è la seconda guerra mondiale. Guerra annunciata e resa difficilmente evitabile dalla politica di Germania, Italia, Giappone. Guerra a forte componente ideologica, civiltà contro barbarie, democrazie contro totalitarismi - una visione così radicata e funzionale che ancora oggi c'è chi tende a dimenticare il patto Molotov-Ribbentrop, e ad arruolare implicitamente fra le democrazie l'Urss del '41-'45.

Le date simboliche mi appassionano fino a un certo punto, anche perché ne siamo inflazionati fino a perderne il senso. Tuttavia alcuni simboli hanno un valore innegabile: ci richiamano a pensare alla necessità di portare avanti la storia anche nella fatica e nei disinganni perché non possiamo essere incoerenti se confidiamo in qualche principio. I principi non sono astrazioni che basta nominare perché qualcuno - magari non noi - li applichi. Sono mete lontane, che tuttavia motivano il vivere (che, di per sè, non sarebbe gran cosa).

L'Assemblea generale dell'Onu ha fissato al 2 ottobre di ogni anno la Giornata internazionale della nonviolenza. La data è stata scelta in quanto anniversario della nascita di Gandhi, ispiratore dei movimenti per la pace, la giustizia, la libertà di tutto il mondo. In una risoluzione approvata dai 192 Stati membri dell'Onu, su proposta del governo indiano, l'Assemblea invita tutti i paesi, organizzazioni e individui a "commemorare questo giorno per promuovere una cultura della pace, della tolleranza, della comprensione e della nonviolenza". È infatti con Gandhi che nasce la nonviolenza moderna. Certo, essa è sempre esistita, è "antica come le montagne", ma prima del Mahatma era sempre stata intesa come via personale alla salvezza, come codice individuale, come precetto valido per l'individuo. È solo con la straordinaria esperienza gandhiana, prima in Sudafrica e poi in India, che la nonviolenza diventa politica, strumento collettivo di liberazione.

Manca il dialogo. Su certi argomenti non ci si può confrontare e discutere: mutismo, silenzio pesante, ognuno con le sue idee intoccabili.
Manca l'accoglienza. C'è paura, pregiudizio, intolleranza. Muri ostili, sguardi diffidenti e cattivi. Centri di "accoglienza" come carceri, respingimenti colpevoli verso sofferenze note ma ignorate.