• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 98 del 4 settembre 2007


Il potersi muovere è liberatorio; tutta la storia umana è progredita con l'aumento della possibilità di muoversi, di incontrare altri popoli e persone, di visitare altri paesi, di scambiare materie e, soprattutto, conoscenza.
Peraltro la mobilità costa; non parlo del denaro, ma di beni ambientali come l'energia, l'inquinamento e il territorio, costa in termini di violenza contro l'ambiente e la natura. Tutto comincia con il consumo di energia necessaria per spostare un corpo umano di 70 chili (o un sacco di un quintale) per un metro o un chilometro; l'energia può essere fornita dallo stesso corpo umano, se una persona va a piedi, da un'altra persona o da un animale che trascina un carro, da un animale da cavalcare. Ciascuno di questi "mezzi" richiede energia alimentare e genera rifiuti, gli escrementi
animali. Le fonti di energia rinnovabili come il vento sono stati utili per muovere le navi, a condizione di avere delle navi (di legno), delle vele (di tela), cose materiali, oggetti, quindi, e ancora una volta di avere conoscenze tecniche.

di Napoli Diana

Nel 1976 alcuni obiettori in servizio presso la sede di Brescia del Movimento internazionale della riconciliazione (in sigla: Mir) e del Movimento Nonviolento decisero di costituire un centro di ricerca nonviolenta allo scopo di raccogliere documentazione sulla nonviolenza, l'antimilitarismo, la pace e qualsiasi altro argomento fosse collegato a tali indirizzi di pensiero.
Oltre alla biblioteca e all'emeroteca, il lavoro più prezioso che mi pare rimanga di tale apprezzabile sforzo è costituito dall'archivio che ora si trova presso la sede di via Milano 65.
Rispetto ad esso c'è stato un aggiornamento costante e organizzato fino alla seconda metà degli anni '80; il seguito è stato lasciato alla buona volontà di pochi collaboratori saltuari e dunque la documentazione dell'ultimo decennio è poco rilevante, da un punto di vista strettamente quantitativo.
Eppure, nonostante questa "carenza", l'archivio merita sicuramente un posto di rilevo all'interno del patrimonio bibliografico del MovimentoNonvioento e più in generale all'interno di un circuito di documentazione sulla pace e la nonviolenza.
Diviso in settori (Militarismo, antimilitarismo, pace e disarmo; Nonviolenza e Movimento Nonviolento; Educazione alla pace; Energia, ecologia, sviluppo; Movimento internazionale della riconciliazione e Obiezione totale; Obiezione di coscienza e servizio civile, Documentazione di Brescia; Forze Armate, industria bellica e commercio delle armi; Conflitti recenti), raccoglie decine di migliaia di documenti attraverso cui è possibile leggere la storia in Italia della nonviolenza e dell'antimilitarismo, delle battaglie per il riconoscimento giuridico per l'obiezione di coscienza, i primi passi del servizio civile, così come ricostruire le prime iniziative attraverso cui l'ecologismo e la messa in discussione del modello di sviluppo dominante sono diventati temi all'ordine del giorno.
Nell'archivio si possono trovare, come in tutti gli archivi che si rispettino, documenti di tutti i tipi: articoli di giornali e riviste, volantini delle iniziative, analisi tecniche (per esempio sulle questioni legate all'energia o all'industria bellica), verbali di riunioni, semplici riflessioni, proposte di mobilitazioni, testi poetici e letterari e moltissime fotografie che oggi non sono di facile reperibilità (come in genere tutto il materiale fotografico): le foto di Comiso, delle marce antimilitariste oppure che immortalano gli arresti degli obiettori totali, quando questi si "presentavano" nelle piazze dichiarando alle forze dell'ordine la propria presenza (e questo solo per portare qualche esempio).


Cari amici,

nei giorni prossimi l'editore Liguori che ha pubblicato questo mio libro lo metterà in distribuzione in tutta Italia.
Vi accludo nel testo e in allegato la copertina e l'indice con alcuni testi di presentazione del contenuto dello stesso.
Se siete interessati a una presentazione pubblica del libro fatemelo sapere a questo indirizzo. Lo stesso Ferrarotti che ha scritto la premessa si è dichiarato disponibile a qualche incontro di presentazione e forse anche Marianella Sclavi e Salvatore Saltarelli potrebbero essere disponibili naturalmente all'interno dei loro impegni.


Cordiali saluti Alberto L'Abate

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 160 del 25 marzo 2008

Per ipotizzare una possibile trasformazione nonviolenta del conflitto tra Cina e Tibet, possiamo partire dai "cinque punti" che Galtung ha individuato come essenziali nell'esperienza delle lotte gandhiane ("Gandhi e la lotta contro l'imperialismo: cinque punti", www.cssr-pas.org/notizia.php?id_notizia=883).

Abbiamo appreso con piacere che l’amministrazione di Massa ha aderito al nostro appello per il “grande Satyagraha mondiale per la pace”. Abbiamo visto sventolare la bandiera Tibetana dal palazzo del comune e dalla sede del Partito Democratico. Lo sventolio di una bandiera può sembrare poca cosa, ma è invece importante. Quando giornali e TV trovano altre notizie per imporci l’attualità, quelle bandiere servono a ricordare ai passanti che il problema esiste ancora immutato e forse aggravato dal silenzio dei media.


Grande soddisfazione quindi per questa adesione. Tutto questo però ci spinge ora ad osare, a cercare di andare oltre.
Il Satyagraha è il tentativo di concepire un percorso di pace, per scongiurare possibili sciagure. E’ stato pensato in grande e si è lavorato a questa costruzione con convegni preparatori ed incontri con autorità politiche e religiose, associazioni non governative, rappresentanti dei popoli oppressi. Giunto però al culmine di questa organizzazione Pannella deve aver pensato che non bastava, non erano sufficienti l’Asia, il medio oriente né l’Africa o l’America. Ci voleva qualcosa in più, un ulteriore passo non immaginato prima.
Così da qualche giorno sempre più spesso si parla di Satyagraha anche nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nel piccolo della quotidianità.
Ecco dunque la crescita possibile di questa iniziativa, partita dal Tibet per arrivare nelle nostre case. La nonviolenza di Capitini intende diminuire la quantità totale di violenza presente nel mondo. E’ dunque il rispetto delle persone, ma anche degli animali e certamente anche delle cose. Quest’ultimo aspetto solo ad occhi distratti può apparire secondario. A pochi giorni dalle elezioni amministrative, nel dover decidere chi governerà la nostra città, il territorio, il patrimonio, il rispetto delle cose Capitiniano assume una grande rilevanza.
Il comune ha dunque aderito al “primo grande Satyagraha mondiale per la pace” ed altrettanto ha fatto ufficialmente il Partito Democratico con l’esposizione della bandiera tibetana. Come è possibile adesso dare un seguito concreto a questa adesione di principio?

La proposta che mi permetto di avanzare è semplice e spero che non appaia a nessuno eversiva, semmai rivoluzionaria dei metodi e della normale prassi politica della nostra città.
La mia proposta cerca di andare nella direzione di estendere il Satyagraha al particolare esaltandone lo spirito e di seguire l’aspirazione capitiniana di riduzione della violenza. La vera forza non è la prepotenza né l’imporsi col ricatto o l’inganno, ma è proprio la nonviolenza, il dialogo. La nonviolenza è un metodo che si sperimenta, si pratica, si impara. La nonviolenza non è una acquisizione finita, ma uno sviluppo continuo. La mia proposta al Partito Democratico è quindi che voglia dar seguito a questa adesione ritirando la minacciata espulsione di quanti hanno compiuto in questa tornata elettorale una scelta diversa da quella ufficiale del Partito stesso. Un gesto di pace che non deve in nessun caso essere interpretato come una rinuncia alle proprie ragioni, anzi la nonviolenza richiede semmai maggior fiducia nella proprie affermazioni, ma una offerta di dialogo anche e soprattutto verso l’avversario.
Questo sarebbe in primo luogo un servizio ai cittadini che potrebbero compiere le loro scelte finalmente valutando i programmi, accantonando inutili personalismi.
Potrebbe essere l’inizio di una nuova visione della nostra città, che partendo dal rispetto dell’avversario politico, porti al rispetto di persone, animali e cose.
Sarebbe la dimostrazione che l’adesione alla causa tibetana non è formale, ma un atto consapevole che implica una riflessione ed un mutamento dei comportamenti nel nostro quotidiano.
Il Partito Democratico cerca di presentarsi come il nuovo, in realtà per il momento si configura al massimo come speranza di un “nuovo possibile” tutto da inventare; ma a Massa si è creata una profonda divisione e non vi è dubbio che oggi c’è, sul piano politico, un picco di violenza proprio intorno a questa spaccatura. Gli eventi che si scatenano intorno alla nascita di un partito ne condizionano inevitabilmente lo sviluppo. Vi è quindi una possibilità di scelta. Il nuovo partito, almeno per quanto riguarda la nostra città, può nascere da una minaccia di espulsione, da una “pulizia etnica” o da un gesto di pace nell’ambito di questo nostro piccolo Satyagraha.

Potete trovare i dettagli dell’iniziativa, sul sito
http://carlodelnero.wordpress.com alla pagina “piccolo Satyagraha”.

Si e' tenuta a Cattolica, il 5 e 6 aprile, l'assemblea annuale degli Obiettori di coscienza alle spese militari. Pubblichiamo le mozioni, approvate all'unanimità - una politica ed una organizzativa, per una campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la Difesa popolare nonviolenta (Campagna OSM-DPN)

(Pubblicato sul blog di Carlo Del Nero)

E' impensabile un piccolo Satyagraha?
E allora perché ci penso!
Il fatto stesso che ci stia pensando da settimane, mi fa dire che non è impensabile. E' solo che non siamo abituati a "immaginare" in questi termini e quindi, quando accade, non abbiamo chiara l'idea di quello che si può fare, di quello che sapremo mettere in campo, del risultato finale.

Eppure io sono un figlio, degenere forse, del '68 (o giù di lì) e qualcosa di quegli anni ho cercato sempre di portarmelo appresso.
Ma ve li ricordate quegli anni? Senza trionfalismi, ma il mondo era davvero diverso. Quando poi sia iniziato il '68 è difficile a dirsi, io ero davvero giovane, eppure tutti ne fummo travolti. Anche quelli come me, non ancora pronti, anche quelli come me, troppo incerti, anche quelli come me, che andavano a tentoni senza sapere dove.
Ricordo il 22 novembre 1963, avevo solo 8 anni. Non potrei ricordarmelo ancora oggi se il mondo non fosse stato così diverso. Nessun genitore oggi si sognerebbe di svegliare un bambino di 8 anni per dargli la notizia e forse un bambino di 8 anni non si pianterebbe davanti ad una radio più grande di lui per ascoltarla.

Credo che il '68 sia nato da quella fotografia di mondo.

Una parte di quel mondo credette davvero all'immaginazione al potere. Alcuni fraintesero, altri usarono, altri ancora chissà! Ma molti credettero e molti finsero di credere.
A volte sì, lo ammetto, mi sembra di essere il credulone rimasto col cerino in mano.
Eppure lo so, non sono poi così sprovveduto, l'immaginazione non sarà mai al potere, ma il potere dell'immaginazione può condizionare i potenti. Bisogna provare ad immaginare qualcosa che possa scuotere, che possa avvicinarci all'obiettivo a piccoli, ma sicuri passi.
Questo almeno del sessantotto lo possiamo condannare: la fretta.
Certo si può giustificare tutto con la gioventù, ma oggi potremmo provare a ripescare quello che c'era, perché in fondo c'era, e fidarci del fatto che abbiamo imparato la pazienza.
Uno dei problemi è che per poter fare questo devi prima convincere quelli più vicini. Perché sono loro che ti mancheranno quando deciderai di partire.
Quelli lontani già lo sai che staranno a guardare, ad aspettare il tuo fallimento per sentirsi dalla parte della ragionevolezza o il tuo successo per infilarcisi, ma sono quelli vicini che costruiscono pazientemente la rassegnazione necessaria al fallimento. Perché non sempre sono come vogliono apparire o magari solo perché non sono partiti loro o infine perché semplicemente sono sfibrati dall'attesa. Perché la pazienza non è rassegnazione e l'impazienza non è volontà. La pazienza domina l'indignazione, l'impazienza la distrugge.
Eppure se quelli vicini decidessero di provare con te, quelli lontani ne avrebbero un effetto dirompente, perché non se lo aspettano, ne rimarrebbero spiazzati e non avrebbero gli strumenti per demolirti. Non avrebbero il tempo di organizzare le obiezioni, i distinguo, i se ed i ma.


Ma eravamo partiti dal '68, anzi da qualche anno prima. E se davvero dovessimo ripartire da lì?
Non io, ma molti sono partiti dal libretto di Mao, altri erano strasicuri delle meraviglie del comunismo e qualcuno anche oggi vorrebbe riportarci là dove tutto è partito. Intanto ci siamo giocati una bella fetta di sinistra.
E se provassimo a ripartire davvero da quegli anni? ma senza libretti, senza simboli, solo con quell'immaginazione che volevamo al potere.


Molte lacerazioni sono nate lì. Tanti antifascisti di oggi, non hanno in mente un qualche gerarca, che per altro non hanno mai conosciuto, ma dei coetanei cresciuti in quegli anni straordinari e terribili, e quando pensano "dagli al fascista!" pensano ad uno di loro, non ad un potente di un regime che non esiste più. Ad uno di loro, della loro età, della stessa scuola, delle stesse donne, della stessa musica un tempo, magari della stessa squadra di calcio oggi.
Ma quali fascisti! quali antifascisti! Manca l'immaginazione e non manca solo al potere, ormai si è offuscata anche da questa parte. Logori tutti, quelli che il potere l'hanno avuto e quelli che non l'avranno mai.
Ho visto un film del III Reich. Un film di propaganda a favore dell'eutanasia. Interessante oltre l'immaginabile. E allora?! Era un film del nazismo, eppure un film che oggi manca. Guardando il mondo da lontano ci si accorge che Hitler e Mozart sono nati a così pochi anni e così pochi chilometri di distanza e, senza voler scandalizzare nessuno, mi viene da pensare ai preti pedofili; quanta solitudine si nasconde dietro tutto questo? Non mi sogno nemmeno di cadere nel giustificazionismo di anni passati, ma neppure vorrei vedere un mondo in bianco e nero senza tonalità di grigio. Non si tratta neppure dei chilometri o degli anni, ma di quanto del bianco e del nero c'è in ognuno di noi.
Io non credo nel paradiso, ma se paradiso ha da essere, allora penso che non sia necessario essere "buoni" per esservi accolti, basta essere stati amati veramente da una persona "buona". Perché altrimenti che paradiso sarebbe per lei o lui senza di noi? E mi sembra un pensiero mite e caldo, quindi se dio esistesse non potrebbe sentirsene estraneo.
Dunque logori tutti, perché incapaci di andare a sporcarci le mani col grigio nostro e altrui.
Per questo le rivoluzioni falliscono, perché pretendono un bianco ed un nero che non corrisponde mai alla realtà.
E certo pensando a Hitler sembra che non ci sia alcuna possibilità non dico di bianco, ma neppure di grigio. Quel sistema aveva creduto nel "nero universale", ma nel campo di sterminio Viktor Ullmann scrive un'opera (che non vedrà mai - Der Kaiser von Atlantis), ma che noi possiamo sentire e vedere ricordandoci di lui e senza sapere chi fosse il suo aguzzino.
E forse il suo aguzzino era solo un ragazzo nato nel momento sbagliato. Perché non sempre l'uomo fa una scelta netta, molto spesso sono piccole scelte che si susseguono fino ad arrivare alla disperazione, senza soluzione di continuità.
Noi oggi non sappiamo in che epoca siamo, ce la appiccicheranno i posteri. Noi non sappiamo dove stiamo scivolando e stiamo dimenticando anche da dove siamo venuti. Perché non pensare con un po' più di fiducia e di immaginazione, a determinare il nostro piccolo quotidiano.
Un piccolo Satyagraha. Ero partito da lì e prima o poi ci dovrò tornare. Non voglio però chiarirmi le idee, attività molto conservatrice, voglio confondermele invece.
Per questo lascio tutto in sospeso, avremo tempo di pensarci ancora o, se dovesse presentarsi un urgenza, potremo anche continuare a pensarci strada facendo; è quello che dovremo fare comunque.


Tutto questo non ha senso? Forse. Ma io sto cercando qualcuno che ci trovi un senso. Che forse non sarà neppure il mio, meglio! Sarebbe già molto se ne giungesse una parola. Una è già aver rotto un argine. Il resto è da sperare che in parte si costruisca anche da sé.
Poi certo! Io sono radicale. Lo scrissi un tempo anche al vescovo. Gli scrissi che oggi siamo noi radicali la "spazzatura del mondo", lui mi accusò di essere intollerante, a distanza di anni ancora non ho ben capito in cosa, ma se l'ha scritto avrà avute le sue ragioni. Se mi avesse dato del presuntuoso l'avrei capito, dopotutto io sarei una "spazzatura" di lusso, ma non pensavo a me quando scrivevo, ma a tanti che ho conosciuto. Che ho conosciuto così tardi. Perché se c'è una cosa che mi rimprovero è di essermi scoperto radicale già troppo adulto. Sono passati più di 15 anni, ma se l'avessi scoperto altri 15 anni prima, sarebbe stata tutta un'altra storia, per me soprattutto.
Ma non ho ansia di recuperare, ho la pazienza giusta credo. Cerco solo una parola che con la mia facciano due parole. Niente di più. Mi sembra già così tanto per il momento.
Poi certo sono radicale dicevo. C'è diffidenza palpabile.
Sono un radicale che aspetta una parola, ma non sono certo di aspettarla in eterno, potrei alla fine decidere di non aspettarla più, dipende tutto dalla mia immaginazione, se riuscirà a immaginarsi anche da sola.
Sono un radicale che aspetta una parola per il piccolo Satyagraha.