• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ricevo, lunedì 5 novembre, la notizia della morte di Pier - prevedibile a breve, ma è sempre troppo presto - mentre vedo le Alpi già tutte bianche, splendenti in un sole lucidato dal vento. Immagine dell'immensità.

Un'sms di Elena: "Pier è nella pace". Ora, invisibile, rimane con noi, amico vibratile di sentimenti fini e grandi, di ricerca inesausta e sofferta, di cammino senza posa, di sete e passione di ciò che è più vero e puro.

Oggi si scrive molto su Gandhi, non tanto e non solo perché è l’eroe nazionale indiano, ma perché sicuramente è stato una figura eccezionale del XX secolo, come poche altre.

Ma quando in Occidente si presenta Gandhi, spesso si pensa, inconsciamente, che egli viveva in un’India “arretrata”, agricola, con un popolo misterioso che ha una moltitudine di lingue, religiosità e culture; cioè, si mantiene il pregiudizio che la civiltà occidentale è di gran lunga superiore a quella delle ex-colonie; perciò si vede in Gandhi solo quello che può interessare a noi occidentali.

La perdita dell’illusione di «cambiare il mondo» e di «cambiare la vita» (Marx e Rimbaud uniti, secondo l’aspirazione del primo surrealismo, delle «avanguardie» artistiche ma anche politiche del primo dopoguerra) ci ha tolto la speranza ma non la carità né il dovere di credere nella possibilità di reagire. Il perno di tutta la concezione capitiniana dell’agire umano, la sua proposta, sta in una dichiarazione di cui abbiamo persino abusato, ma la cui chiarezza e necessità si sono fatte nel tempo sempre più evidenti.

I contrasti mi hanno sempre affascinato, come uomo ma anche come artista: nei cromatismi, nella luce, nelle idee e nelle scelte di vita. La vicenda di un settentrionale, un triestino, che nei primi anni '50 scelse di andare in Sicilia, una terra allora devastata da miseria, fame e feroce banditismo, per sperimentare attraverso la pratica quotidiana metodologie nonviolente, non poteva non catturare la mia attenzione.

Il piu' celebre dei suoi scritti, e cioe' la sua autobiografia (nota in italiano come La mia vita per la liberta'), fu iniziata da Gandhi, nel 1924, nel carcere di Yeravda, e pubblicata a puntate, fra il '25 e il '26, nel suo giornale in gujarati "Navajivan" (Vita nuova).