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Bellissimo l’ultimo Monti contro la monotonia del nostro sistema di vita, riprende il Calindri che era contro il logorio della vita moderna e quasi richiama il buon Tony Negri. Era un po’ la parola d’ordine dei giovani che volevano fare la rivoluzione e provoca quindi in generazioni come la mia anche un po’ di nostalgia. Ma ormai mi sono fatto esperto di cattivi maestri che lanciano sogni e poi lasciano i discepoli persi nelle fredde campagne russe senza nemmeno essersi avvicinati a Mosca.

Attenzione, ora, a sottovalutare i casi della sedicenne che indica i rom come stupratori per essere più credibile nella propria versione, del ragioniere vicino a Casa Pound che spara sulla folla mirando agli immigrati, dei camerati di Militia che vengono arrestati a Roma, dell’insegnante di Caserta che davanti a due compiti uguali a uno mette 9 e all’altro 7 perché, spiega all’alunna, «tu non sei come gli altri, tu sei nera».
Attenzione, perché sono storie già viste, sentite e passate nel dimenticatoio generale… ricordiamo il caso di Ponticelli? Con una ragazza che accusa una rom di aver tentato di rapire una neonata e il conseguente raid nel campo nomadi? Ricordiamo l’accusa della ragazzina di Novi Ligure prima di essere scoperta? Su chi cadono i primi sospetti della strage di Erba?

L’antifascismo è un valore, rappresenta il richiamo ad una democrazia fatta di responsabilità di scelte, di dialogo, di confronto, tra uguali. Questa sua sostanza vede nel razzismo il fondamento del suo opposto, la concezione della disuguaglianza assoluta.
Quando i ragazzi vengono all’ANPI o all’Istituto Storico della Resistenza ci chiedono sempre di intervenire su problemi che attanagliano la nostra vita sociale quali il lavoro, gli immigrati, il futuro. Ci chiedono di rispettare i valori che diciamo di rappresentare, ed hanno ragione. Il farlo è un dovere per ogni antifascista ed è chiaramente un intervento civile e culturale, ma anche politico.

Un neofascista simpatizzante di Casa Pound uccide due senegalesi e ne ferisce altri tre a Firenze, la città di Balducci e di La Pira, per poi suicidarsi.

Un gruppo di torinesi da fuoco ad un campo rom per vendicare una inventata violenza sessuale.

Parlare di follia, individuale e collettiva, è sicuramente improprio.

Esiste qualcosa di profondo, di malato, nella nostra società, nella nostra cultura: non è semplicemente follia, è come se in questo ultimo ventennio berlusconiano avessimo fatto tabula rasa di paletti e punti di riferimento.

Piscine sugli scogli, case coi piedi nei torrenti: lo scatenamento degli speculatori è la terribile metafora della crisi economica che fa tremare l'Europa, soprattutto il nostro paese sgovernato e abbandonato da politci preoccupati dei loro affari.

In questi ultimi anni abbiamo più volte indicato non solo l’afonia dei cattolici in politica – la debolezza di rilevanza nella progettazione e nella costruzione della polis – ma anche le cause che l’hanno prodotta, tra cui l’intervento diretto in politica di alcuni ecclesiastici e la scelta di agire come un gruppo di pressione. La diaspora dei cattolici in politica agli inizi degli anni ’90 appariva non solo come una necessità motivata, ma anche come una preziosa “opportunità”, una “benedizione”: rendeva infatti evidente che la comunità cristiana vive di fede e di coerente comportamento etico, ma non di soluzioni tecniche nella politica e nell’economia.

E' successo così. Hanno catturato Gheddafi, lo hanno preso a schiaffi, insultato, e poi, non si sa come né perché, gli hanno sparato un colpo in testa. Un avvenimento di cui si discuterà, anche animatamente, per qualche giorno; poi se ne parlerà sempre meno; e più avanti ogni tanto spunterà fuori una novità, un filmato o una foto inediti, le rivelazioni di chi c'era, una riflessione più sicura sui perché e, soprattutto, sul mandato di chi è accaduta una cosa del genere. Questa è la premessa.