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Abbiamo appreso con piacere che l’amministrazione di Massa ha aderito al nostro appello per il “grande Satyagraha mondiale per la pace”. Abbiamo visto sventolare la bandiera Tibetana dal palazzo del comune e dalla sede del Partito Democratico. Lo sventolio di una bandiera può sembrare poca cosa, ma è invece importante. Quando giornali e TV trovano altre notizie per imporci l’attualità, quelle bandiere servono a ricordare ai passanti che il problema esiste ancora immutato e forse aggravato dal silenzio dei media.


Grande soddisfazione quindi per questa adesione. Tutto questo però ci spinge ora ad osare, a cercare di andare oltre.
Il Satyagraha è il tentativo di concepire un percorso di pace, per scongiurare possibili sciagure. E’ stato pensato in grande e si è lavorato a questa costruzione con convegni preparatori ed incontri con autorità politiche e religiose, associazioni non governative, rappresentanti dei popoli oppressi. Giunto però al culmine di questa organizzazione Pannella deve aver pensato che non bastava, non erano sufficienti l’Asia, il medio oriente né l’Africa o l’America. Ci voleva qualcosa in più, un ulteriore passo non immaginato prima.
Così da qualche giorno sempre più spesso si parla di Satyagraha anche nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nel piccolo della quotidianità.
Ecco dunque la crescita possibile di questa iniziativa, partita dal Tibet per arrivare nelle nostre case. La nonviolenza di Capitini intende diminuire la quantità totale di violenza presente nel mondo. E’ dunque il rispetto delle persone, ma anche degli animali e certamente anche delle cose. Quest’ultimo aspetto solo ad occhi distratti può apparire secondario. A pochi giorni dalle elezioni amministrative, nel dover decidere chi governerà la nostra città, il territorio, il patrimonio, il rispetto delle cose Capitiniano assume una grande rilevanza.
Il comune ha dunque aderito al “primo grande Satyagraha mondiale per la pace” ed altrettanto ha fatto ufficialmente il Partito Democratico con l’esposizione della bandiera tibetana. Come è possibile adesso dare un seguito concreto a questa adesione di principio?

La proposta che mi permetto di avanzare è semplice e spero che non appaia a nessuno eversiva, semmai rivoluzionaria dei metodi e della normale prassi politica della nostra città.
La mia proposta cerca di andare nella direzione di estendere il Satyagraha al particolare esaltandone lo spirito e di seguire l’aspirazione capitiniana di riduzione della violenza. La vera forza non è la prepotenza né l’imporsi col ricatto o l’inganno, ma è proprio la nonviolenza, il dialogo. La nonviolenza è un metodo che si sperimenta, si pratica, si impara. La nonviolenza non è una acquisizione finita, ma uno sviluppo continuo. La mia proposta al Partito Democratico è quindi che voglia dar seguito a questa adesione ritirando la minacciata espulsione di quanti hanno compiuto in questa tornata elettorale una scelta diversa da quella ufficiale del Partito stesso. Un gesto di pace che non deve in nessun caso essere interpretato come una rinuncia alle proprie ragioni, anzi la nonviolenza richiede semmai maggior fiducia nella proprie affermazioni, ma una offerta di dialogo anche e soprattutto verso l’avversario.
Questo sarebbe in primo luogo un servizio ai cittadini che potrebbero compiere le loro scelte finalmente valutando i programmi, accantonando inutili personalismi.
Potrebbe essere l’inizio di una nuova visione della nostra città, che partendo dal rispetto dell’avversario politico, porti al rispetto di persone, animali e cose.
Sarebbe la dimostrazione che l’adesione alla causa tibetana non è formale, ma un atto consapevole che implica una riflessione ed un mutamento dei comportamenti nel nostro quotidiano.
Il Partito Democratico cerca di presentarsi come il nuovo, in realtà per il momento si configura al massimo come speranza di un “nuovo possibile” tutto da inventare; ma a Massa si è creata una profonda divisione e non vi è dubbio che oggi c’è, sul piano politico, un picco di violenza proprio intorno a questa spaccatura. Gli eventi che si scatenano intorno alla nascita di un partito ne condizionano inevitabilmente lo sviluppo. Vi è quindi una possibilità di scelta. Il nuovo partito, almeno per quanto riguarda la nostra città, può nascere da una minaccia di espulsione, da una “pulizia etnica” o da un gesto di pace nell’ambito di questo nostro piccolo Satyagraha.

Potete trovare i dettagli dell’iniziativa, sul sito
http://carlodelnero.wordpress.com alla pagina “piccolo Satyagraha”.

Si e' tenuta a Cattolica, il 5 e 6 aprile, l'assemblea annuale degli Obiettori di coscienza alle spese militari. Pubblichiamo le mozioni, approvate all'unanimità - una politica ed una organizzativa, per una campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la Difesa popolare nonviolenta (Campagna OSM-DPN)

(Pubblicato sul blog di Carlo Del Nero)

E' impensabile un piccolo Satyagraha?
E allora perché ci penso!
Il fatto stesso che ci stia pensando da settimane, mi fa dire che non è impensabile. E' solo che non siamo abituati a "immaginare" in questi termini e quindi, quando accade, non abbiamo chiara l'idea di quello che si può fare, di quello che sapremo mettere in campo, del risultato finale.

Eppure io sono un figlio, degenere forse, del '68 (o giù di lì) e qualcosa di quegli anni ho cercato sempre di portarmelo appresso.
Ma ve li ricordate quegli anni? Senza trionfalismi, ma il mondo era davvero diverso. Quando poi sia iniziato il '68 è difficile a dirsi, io ero davvero giovane, eppure tutti ne fummo travolti. Anche quelli come me, non ancora pronti, anche quelli come me, troppo incerti, anche quelli come me, che andavano a tentoni senza sapere dove.
Ricordo il 22 novembre 1963, avevo solo 8 anni. Non potrei ricordarmelo ancora oggi se il mondo non fosse stato così diverso. Nessun genitore oggi si sognerebbe di svegliare un bambino di 8 anni per dargli la notizia e forse un bambino di 8 anni non si pianterebbe davanti ad una radio più grande di lui per ascoltarla.

Credo che il '68 sia nato da quella fotografia di mondo.

Una parte di quel mondo credette davvero all'immaginazione al potere. Alcuni fraintesero, altri usarono, altri ancora chissà! Ma molti credettero e molti finsero di credere.
A volte sì, lo ammetto, mi sembra di essere il credulone rimasto col cerino in mano.
Eppure lo so, non sono poi così sprovveduto, l'immaginazione non sarà mai al potere, ma il potere dell'immaginazione può condizionare i potenti. Bisogna provare ad immaginare qualcosa che possa scuotere, che possa avvicinarci all'obiettivo a piccoli, ma sicuri passi.
Questo almeno del sessantotto lo possiamo condannare: la fretta.
Certo si può giustificare tutto con la gioventù, ma oggi potremmo provare a ripescare quello che c'era, perché in fondo c'era, e fidarci del fatto che abbiamo imparato la pazienza.
Uno dei problemi è che per poter fare questo devi prima convincere quelli più vicini. Perché sono loro che ti mancheranno quando deciderai di partire.
Quelli lontani già lo sai che staranno a guardare, ad aspettare il tuo fallimento per sentirsi dalla parte della ragionevolezza o il tuo successo per infilarcisi, ma sono quelli vicini che costruiscono pazientemente la rassegnazione necessaria al fallimento. Perché non sempre sono come vogliono apparire o magari solo perché non sono partiti loro o infine perché semplicemente sono sfibrati dall'attesa. Perché la pazienza non è rassegnazione e l'impazienza non è volontà. La pazienza domina l'indignazione, l'impazienza la distrugge.
Eppure se quelli vicini decidessero di provare con te, quelli lontani ne avrebbero un effetto dirompente, perché non se lo aspettano, ne rimarrebbero spiazzati e non avrebbero gli strumenti per demolirti. Non avrebbero il tempo di organizzare le obiezioni, i distinguo, i se ed i ma.


Ma eravamo partiti dal '68, anzi da qualche anno prima. E se davvero dovessimo ripartire da lì?
Non io, ma molti sono partiti dal libretto di Mao, altri erano strasicuri delle meraviglie del comunismo e qualcuno anche oggi vorrebbe riportarci là dove tutto è partito. Intanto ci siamo giocati una bella fetta di sinistra.
E se provassimo a ripartire davvero da quegli anni? ma senza libretti, senza simboli, solo con quell'immaginazione che volevamo al potere.


Molte lacerazioni sono nate lì. Tanti antifascisti di oggi, non hanno in mente un qualche gerarca, che per altro non hanno mai conosciuto, ma dei coetanei cresciuti in quegli anni straordinari e terribili, e quando pensano "dagli al fascista!" pensano ad uno di loro, non ad un potente di un regime che non esiste più. Ad uno di loro, della loro età, della stessa scuola, delle stesse donne, della stessa musica un tempo, magari della stessa squadra di calcio oggi.
Ma quali fascisti! quali antifascisti! Manca l'immaginazione e non manca solo al potere, ormai si è offuscata anche da questa parte. Logori tutti, quelli che il potere l'hanno avuto e quelli che non l'avranno mai.
Ho visto un film del III Reich. Un film di propaganda a favore dell'eutanasia. Interessante oltre l'immaginabile. E allora?! Era un film del nazismo, eppure un film che oggi manca. Guardando il mondo da lontano ci si accorge che Hitler e Mozart sono nati a così pochi anni e così pochi chilometri di distanza e, senza voler scandalizzare nessuno, mi viene da pensare ai preti pedofili; quanta solitudine si nasconde dietro tutto questo? Non mi sogno nemmeno di cadere nel giustificazionismo di anni passati, ma neppure vorrei vedere un mondo in bianco e nero senza tonalità di grigio. Non si tratta neppure dei chilometri o degli anni, ma di quanto del bianco e del nero c'è in ognuno di noi.
Io non credo nel paradiso, ma se paradiso ha da essere, allora penso che non sia necessario essere "buoni" per esservi accolti, basta essere stati amati veramente da una persona "buona". Perché altrimenti che paradiso sarebbe per lei o lui senza di noi? E mi sembra un pensiero mite e caldo, quindi se dio esistesse non potrebbe sentirsene estraneo.
Dunque logori tutti, perché incapaci di andare a sporcarci le mani col grigio nostro e altrui.
Per questo le rivoluzioni falliscono, perché pretendono un bianco ed un nero che non corrisponde mai alla realtà.
E certo pensando a Hitler sembra che non ci sia alcuna possibilità non dico di bianco, ma neppure di grigio. Quel sistema aveva creduto nel "nero universale", ma nel campo di sterminio Viktor Ullmann scrive un'opera (che non vedrà mai - Der Kaiser von Atlantis), ma che noi possiamo sentire e vedere ricordandoci di lui e senza sapere chi fosse il suo aguzzino.
E forse il suo aguzzino era solo un ragazzo nato nel momento sbagliato. Perché non sempre l'uomo fa una scelta netta, molto spesso sono piccole scelte che si susseguono fino ad arrivare alla disperazione, senza soluzione di continuità.
Noi oggi non sappiamo in che epoca siamo, ce la appiccicheranno i posteri. Noi non sappiamo dove stiamo scivolando e stiamo dimenticando anche da dove siamo venuti. Perché non pensare con un po' più di fiducia e di immaginazione, a determinare il nostro piccolo quotidiano.
Un piccolo Satyagraha. Ero partito da lì e prima o poi ci dovrò tornare. Non voglio però chiarirmi le idee, attività molto conservatrice, voglio confondermele invece.
Per questo lascio tutto in sospeso, avremo tempo di pensarci ancora o, se dovesse presentarsi un urgenza, potremo anche continuare a pensarci strada facendo; è quello che dovremo fare comunque.


Tutto questo non ha senso? Forse. Ma io sto cercando qualcuno che ci trovi un senso. Che forse non sarà neppure il mio, meglio! Sarebbe già molto se ne giungesse una parola. Una è già aver rotto un argine. Il resto è da sperare che in parte si costruisca anche da sé.
Poi certo! Io sono radicale. Lo scrissi un tempo anche al vescovo. Gli scrissi che oggi siamo noi radicali la "spazzatura del mondo", lui mi accusò di essere intollerante, a distanza di anni ancora non ho ben capito in cosa, ma se l'ha scritto avrà avute le sue ragioni. Se mi avesse dato del presuntuoso l'avrei capito, dopotutto io sarei una "spazzatura" di lusso, ma non pensavo a me quando scrivevo, ma a tanti che ho conosciuto. Che ho conosciuto così tardi. Perché se c'è una cosa che mi rimprovero è di essermi scoperto radicale già troppo adulto. Sono passati più di 15 anni, ma se l'avessi scoperto altri 15 anni prima, sarebbe stata tutta un'altra storia, per me soprattutto.
Ma non ho ansia di recuperare, ho la pazienza giusta credo. Cerco solo una parola che con la mia facciano due parole. Niente di più. Mi sembra già così tanto per il momento.
Poi certo sono radicale dicevo. C'è diffidenza palpabile.
Sono un radicale che aspetta una parola, ma non sono certo di aspettarla in eterno, potrei alla fine decidere di non aspettarla più, dipende tutto dalla mia immaginazione, se riuscirà a immaginarsi anche da sola.
Sono un radicale che aspetta una parola per il piccolo Satyagraha.

XXVII Assemblea obiettori di coscienza alle spese militari
per la Difesa popolare nonviolenta


Si è riunito a Bologna ieri, 11 maggio, il Coordinamento politico degli obiettori di coscienza alle spese militari per la Difesa popolare nonviolenta.
E' stato approvato il verbale (vedi file allegato) dell'assemblea di Cattolica (5-6 aprile 2008) che ha focalizzato la centralità del rapporto con le lotte territoriali di base per rilanciare la difesa nonviolenta, anche come condizione per riempire di contenuti seri gli spazi istituzionali già conquistati.

Nella mozione politica di Cattolica infatti si sottolinea che:
" nell'attuale momento politico, la forma principale di costruzione della DPN (Difesa popolare nonviolenta) deve riguardare l'opposizione chiara e decisa alla deriva militarista ed autoritaria dello Stato italiano, che partecipa in modo subalterno alla "guerra contro il terrore" e aggredisce, per esigenze di business antipopolare, le comunità locali tentando di imporre con la forza poliziesca, a danno di vitali equilibri sociali ed ambientali, speculazioni immobiliari, grandi opere infrastrutturali e basi militari"; la DPN cresce dal basso diventando componente della resistenza popolare alla violenza "interna" dello Stato burocratico";
Si è formalizzato a Bologna un primo nucleo di "Osservatorio per la DPN", aperto a tutte le collaborazioni, con referenti (Massimo Aliprandini, Tiziano Cardosi, Alfonso Navarra, Vittorio Pallotti, Luciano Zambelli) che presenteranno degli itinerari di lavoro percorribili.
Il verbale del Coordinamento Politico di Bologna, per quanto riguarda quest'ultima decisione, è in via di stesura.

Campagna OSM/DPN, via M. Pichi, 1 - 20143 Milano - tel. 02/58101226
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In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Antonino Drago, pubblicata su "Voci e volti della nonviolenza", n. 239 del 1 ottobre 2008.

Questa celebrazione della nonviolenza avviene dopo un pò più di cent'anni dalla sua nascita.
La celebrazione la trova che nella politica ha dimostrato tutta la propria forza rivoluzionaria: non solo Gandhi e la liberazione dell'India, ma poi le varie rivoluzioni prima del 1989, le liberazioni dei popoli del 1989 (che ancora passano ebetemente come un inspiegato crollo di un muro a Berlino; detto apposta per non dire nonviolenza!) e le tante rivoluzioni degli ultimi decenni che, per lo più nonviolentemente, hanno cambiato regime in almeno un terzo dei Paesi nel mondo: quest'ultima è un'ondata di rivoluzioni più grande di quella delle rivoluzioni di liberazione coloniale, che pure già la nonviolenza degli indiani aveva iniziato contro il più grande impero coloniale della storia umana.

In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Maria G. Di Rienzo, pubblicata su "Voci e volti della nonviolenza", n. 236 del 28 settembre 2008.
"Se puoi chiudere la mano a pugno, significa che la mano è vuota" (La tigre e il dragone, film di Ang Lee, 2000)
A volte, i miei seminari cominciano così: chiedo alle persone di mettersi in coppia, preferibilmente con qualcuno che non conoscono, e di chiudere una mano a pugno. L'altra persona ha il compito di tentare di aprire quella mano.

Ci crediate o no, fino ad ora tutti quelli che ignoravano l'esercizio (chi lo conosce ha l'incarico di chiudere il pugno e di non svelare il segreto per i venti secondi di durata), comprese le persone con alle spalle training ed approfondimenti vari, hanno tentato di aprire la mano dell'altra persona con la forza. Che ci riescano o meno, questa è la domanda che faccio al termine della prova: come vi siete sentiti, cosa provavate? Rabbia, angoscia, disagio sono le risposte più comuni sia che si stesse resistendo con il pugno chiuso, sia che si stesse forzando la sua apertura.
A questo punto, invito qualcuno a rifare la cosa con me, ovvero a tendermi il suo pugno, e gli chiedo gentilmente di tenermi le chiavi, oppure gli offro una caramella, o ancora domando con un sorriso: potresti aprire la mano, per favore? E la mano, invariabilmente, si apre.
Questa minuscola faccenda mi conferma di continuo che riceviamo un intenso addestramento alla violenza, e che esso è talmente profondo e radicato da indurci a ritenerla il primo e il più efficace mezzo per ottenere ciò che vogliamo; mi conferma anche, naturalmente, che è possibile ottenere ciò che vogliamo con metodi creativi, senza ferire altri e senza ferire noi stessi.

Il prossimo 2 ottobre è la "Giornata internazionale della nonviolenza".
Spesso le ricorrenze ufficiali sembrano non dire nulla: per esempio, ho perso il conto delle donne che in occasione dell'8 marzo mi chiedono sconsolate "C'è forse qualcosa da celebrare?". A questo punto, prima di imbarcarmi nella lista (composta da fatti per cui gioire, e da circostanze ove vi è da lottare per un cambiamento), replico: "Sì, personalmente comincio dal celebrare te, una donna intelligente e sensibile che può studiare, votare e amare se stessa grazie al lavoro e all'impegno di centinaia e centinaia di altre donne venute prima di lei". Se quindi volete sapere cosa c'è da celebrare il 2 ottobre, eccovi un suggerimento: un terzo del nostro pianeta è composto da paesi in cui movimenti sociali hanno apportato grandi cambiamenti tramite azioni nonviolente. Questi movimenti hanno avuto successo in situazioni assai difficili, sfidando alcuni dei peggiori regimi del XX secolo: Marcos nelle Filippine, Ceausescu in Romania, l'apartheid in Sudafrica, il dominio sovietico in Latvia, Lituania ed Estonia. Se nel conto mettiamo, saltando indietro di cinquant'anni, la liberazione dell'India, la resistenza al nazismo in Danimarca e Norvegia, e il movimento per i diritti civili negli Usa, le persone che hanno sperimentato la forza della nonviolenza salgono a due terzi nel mondo. Se consideriamo che i movimenti femministi hanno alle spalle, globalmente, circa due secoli di vittorie ottenute con mezzi nonviolenti, lo spettro è ancora più ampio. Direi che di storie da raccontare, per cui festeggiare e da cui imparare ne abbiamo parecchie.
Nonostante ciò, la percezione comune è che la nonviolenza sia inefficace: continuiamo a presumere, con Mao, che "il potere nasce dalla canna del fucile", e ciò non è sorprendente se si pensa alla tradizionale associazione degli uomini con il possesso e l'uso delle armi. Che uccidere sia l'essenza del "vero" uomo è un costrutto di propaganda che conta qualche migliaio di anni ed il sostegno di parecchie argomentazioni pseudo-scientifiche: su tutte, quella che la violenza sia il principale motore delle civiltà umane. Naturalmente è un falso, come le ricerche storiche, antropologiche ed archeologiche degli ultimi quarant'anni hanno ormai dimostrato: l'umanità è sopravvissuta ed ha prosperato perché i suoi membri hanno saputo condividere le risorse, essere solidali, cooperare, trattarsi l'un l'altro con considerazione per un lunghissimo periodo di tempo.
Le ricorrenze servono anche a questo, a non perdere la memoria: guardare indietro ci dà le radici necessarie affinché lo slancio in avanti non sia un salto nel vuoto. E non ha importanza da che parte si arrivi alla nonviolenza, se a suggerirla è una fede religiosa, una disamina laica della storia, o semplicemente un empito umano. È davvero importante, invece, capire bene cosa la nonviolenza è, come può trasformare la nostra vita e la sorte di questo pianeta in pericolo; è davvero importante sapere che non si tratta del "karatè dei quaccheri" o di una semplice tecnica che possiamo prendere e lasciare a nostro piacimento alternandola con la "violenza purtroppo necessaria": in questo caso anche se la userete non funzionerà, perché ci avrete messo il cervello e non il cuore. Allo stesso modo non funzionerà se pensate sia solo un percorso individuale dello spirito, qualcosa che vi serve a meditare in mezzo ai fiori e a sentirvi in pace con voi stessi: perché ci avrete messo il cuore e non il cervello.
Ogni volta in cui pensiamo di poter separare con un taglio d'accetta la razionalità dalle emozioni dimentichiamo che esse sono strettamente connesse, che le nostre vite sono connesse, e che tutto ciò che è vivo sulla Terra è in relazione. La relazione ci permette non solo di sopravvivere, ma di vivere bene, di esercitare i nostri talenti, di amare. E ci permette di condurre lotte nonviolente sopportandone fatiche e sofferenze e godendone tutti i momenti di gioia.

Questo direi, se dovessi parlare a qualcuno per celebrare la Giornata internazionale il 2 ottobre: non mi sono mai pentita di aver scelto la nonviolenza, e nei momenti bui è stata la mia ancora di salvezza, perciò mi auguro, e vi auguro, di avervi presto con me sulla medesima via.

In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Sergio Paronetto, pubblicata su "Voci e volti della nonviolenza", n. 237 del 29 settembre 2008.
Per me quest'anno la giornata della nonviolenza vede al centro Martin Luther King, di cui abbiamo ricordato il quarantesimo anniversario dell'uccisione.