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(sermone pronunciato nella chiesa battista di Ebenezer, ad Atlanta, il 3 marzo 1968)

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 76 del 6 luglio 2007


Immagino che uno dei grandi tormenti della vita sia che non smettiamo mai di cercare di terminare quel che non può essere terminato. Ci viene imposto di farlo. E così anche noi, come Davide, in tante circostanze della vita dobbiamo arrenderci ai fatti: i nostri sogni non si sono realizzati.
La vita è una serie continua di sogni infranti. Il Mahatma Gandhi si è adoperato per anni e anni per l'indipendenza del suo popolo. Ma Gandhi ha dovuto arrendersi al fatto di essere stato assassinato e di morire con il cuore spezzato, perché il paese che voleva unificare alla fine è stato diviso fra India e Pakistan, in conseguenza del conflitto fra indù e musulmani.
Woodrow Wilson sognava una Lega delle Nazioni, ma è morto prima che la promessa fosse esaudita.

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 76 del 6 luglio 2007
Di Martin Luther King, come di Gandhi, sono note al largo pubblico più che altro le "immaginette" che ne dipingono un profilo a dir poco agiografico.
Non ci dobbiamo stancare di promuovere una conoscenza più autentica di queste persone che hanno cercato nella loro vita e nel loro pensiero la nonviolenza, sperimentando le modalità creative dell'azione nonviolenta.
Un esempio per comprendere quanto Martin Luther King sia assente da una comprensione diffusa lo si può ottenere semplicemente guardando a quanto delle sue opere è mantenuto in circolazione dagli editori nel nostro paese.
Si trova facilmente il celeberrimo La forza di amare, ma, a chi volesse andare un pò oltre, non risulta altrettanto semplice l'impresa di documentarsi: ad esempio riprendendo l'interesse che una parte dell'editoria italiana manifestò alla fine degli anni sessanta mettendo in circolazione altre traduzioni, di opere di sicuro interesse, come Marcia verso la libertà (Andò, Palermo 1968) - che è il resoconto che egli pubblicò agli inizi del 1959 sull'esperienza di lotta a Montgomery -; Lettera dal carcere (La locusta, Vicenza 1968); Il fronte della coscienza (Sei, Torino 1968), Perché non possiamo aspettare (Andò, Palermo 1970), Dove stiamo andando, verso il caos o la comunità? (Sei, Torino 1970).
Negli Stati Uniti centinaia di articoli, libri e dissertazioni continuano ad essere prodotti su King e il movimento per i diritti civili. Da noi non giunge nemmeno l'eco di questo fermento, come che sia. È necessario che anche in Italia giovani studiosi e persone interessate progettino ricerca attorno alla raccolta dei suoi scritti.

Pubblicato su “La domenica della nonviolenza”, n. 120 del 15 luglio 2007 (dal sito Danilo Dolci nell'Accademia del Villaggio Globale - teso disponibile anche nel sito Laboratorio maieutico toscano), riprendiamo il seguente intervento di Lamberto Borghi dal titolo "Un insulto alla coscienza pubblica" del 1956, di solidarieta' con Danilo Dolci.

Danilo Dolci è chiuso nella famigerata prigione palermitana dell'Ucciardone dal 2 febbraio. Vi è chiuso con cinque compagni che presero parte la mattina di quel giorno insieme con alcune centinaia di braccianti di Partinico al tentativo di aggiustare una quasi impraticabile strada di campagna nell'immediata periferia di quel comune. Le autorità di polizia hanno accusato Dolci e i compagni di avere effettuato una "manifestazione sediziosa", di essersi resi colpevoli di "reati di resistenza e di oltraggio alla forza pubblica", di "abusiva conduzione di lavori sul suolo pubblico", di "rifiuto all'ordine di scioglimento", e altre simili gravi infrazioni alla legge.
L'arresto di Dolci è stato un insulto alla coscienza pubblica e ha sollevato in tutto il Paese una vera ondata di indignazione e di protesta.
Ha suscitato la "questione morale" contro i metodi impiegati dal governo per far fronte alla implacabile inquietudine delle classi contadine meridionali causata da una intollerabile situazione di miseria e di abbandono.
Con la sua azione, assecondata involontariamente dalla polizia e dal governo, Danilo Dolci è riuscito a far convergere gli occhi di tutta Italia su Partinico, sulle Spine Sante, sul Vallone di Trappeto.
La sconfitta della polizia e del governo è resa evidente dal fatto di avere voluto fare apparire come un "agitatore" e come un violente Danilo Dolci che, con mezzi nonviolenti, metteva in rilievo la violenza della situazione esistente non soltanto a Partinico, ma in gran parte del Mezzogiorno.

La proposta gandhiana della nonviolenza di tipo satyagraha costituisce una rottura, una novità storica e culturale, perché è una proposta politica.
Nel corso della storia dell'umanità molte altre e molti altri avevano proposto con maggior o minore chiarezza la nonviolenza come scelta esistenziale, morale, sociale, giuridica: Gandhi ne ha fatto un progetto politico rivoluzionario adeguato alle condizioni del mondo contemporaneo.

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 ottobre 2006]

Nel 1969, mentre preparavo la tesi di laurea sul pensiero politico di Gramsci, il relatore mi suggerì di "dare un'occhiata" ai libri di Hannah Arendt, usciti negli anni precedenti. Capii ben poco di Vita activa, fui moderatamente interessato da Eichmann a Gerusalemme e liquidai come propaganda Le origini del totalitarismo. Lessi le tre opere come manifestazioni, qua e là interessanti, di un pensiero sostanzialmente conservatore.
Questo era il clima prevalente nella sinistra dell'epoca. Come è noto, in meno di vent'anni il giudizio cambiò. Il tentativo di omologare Hannah Arendt a una riscoperta del platonismo conservatore (Leo Strass, Eric Voegelin) durò lo spazio di qualche convegno accademico. Venne invece alla luce una stratificazione filosofica complessa - un pensiero che partiva da Heidegger per superare l'impoliticità di Sein und Zeit - e soprattutto si scoprì una lucida teoria dell'agire politico che suscitò un certo entusiasmo perfino nel marxismo più innovativo. Prima che sensibilità diverse (letterarie, femministe) accrescessero la varietà delle letture, Vita activa fu per molto tempo il testo centrale per l'interpretazione di quella che era ormai considerata figura centrale del pensiero politico novecentesco.
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