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Tra un anno ricorrerà il cinquantesimo anniversario della marcia Perugia-Assisi fortemente voluta e organizzata da Aldo Capitini. L'importanza dell'evento non ci può, di certo, sfuggire e richiede una seria riflessione anche a livello organizzativo. Spostare i nostri appuntamenti congressuali da Chianciano ad Assisi, in una regione in cui la sinistra si è ormai caratterizzata come regime, avrebbe il significato di un preciso e forte segnale politico. Bisogna cominciare a preparare con un anno di anticipo un grande appuntamento che ridia finalmente a Capitini la centralità politica che gli spetta e rilanci il valore, il senso di una marcia le cui motivazioni sono state nel corso di un decennio distorte, quando non defraudate.

Se ne è andato un maestro di pace, un giusto. Né bandiere né fiori ma amicizia, a Milano, per il primo cattolico obiettore di coscienza  

di Mario Pancera  

Giuseppe Gozzini fu il primo cattolico a rifiutare il servizio militare negli anni Sessanta quando protestare civilmente contro la guerra e le armi significava finire nel carcere di Fortezza da Basso, a Firenze, subire processi e sostenere l'esecrazione non soltanto di chi pensava solo agli armamenti, ma anche di cristiani bellicosi o impauriti da propagande ed eserciti ai confini del paese.

Vorrei che queste pagine fossero lette da tutti coloro che, in Italia, hanno una cattedra o un pulpito, e se ne servono per esaltare glorie nazionali magari remote o per flagellare terribilmente i vizi dei cattivi cristiani.
Sono pagine che scuotono sia la pigra sicurezza dei ripetitori compiaciuti di formule patriottiche sia il sussiego moralistico degli accusatori secondo le leggi stabilite. Sarebbe pure da augurarsi che le leggessero gli ideologi che pretendono di conoscere, essi soli, i segreti dell' ottima repubblica.
Sono pagine che costringono a rivedere i princìpi troppo alti, le sintesi troppo ambiziose, le dichiarazioni troppo solerti. (...)

Amici miei, siamo di certo molto lieti nel vedere ciascuno di voi qui questa sera.
Siamo qui stasera per una faccenda grave. In un senso generale, siamo qui perché prima di tutto e innanzi tutto siamo cittadini americani, e siamo decisi ad esercitare la nostra cittadinanza nel suo significato più pieno. Siamo qui anche a causa del nostro amore per la democrazia, perché abbiamo la radicata convinzione che la democrazia, quando da un fragile foglio di carta si traduce nella concretezza di un atto, è la migliore forma di governo che esista sulla terra.

I. "Il ribelle obbediente Don Milani! Chi era costui?"
È il titolo dell'ottimo libro di Giorgio Pecorini (Baldini & Castoldi, 1996, pp. 420, lire 28.000), l'ultimo arrivato, per ora, ad accrescere la già copiosa messe di studi sul priore di Barbiana. L'interrogativo manzoniano è perfettamente appropriato, anche se, com'è ovvio, fra Carneade e don Abbondio, da una parte, e don Lorenzo, dall'altra, non c'è proprio nulla in comune.

Proponiamo il seguente scritto, ripreso dall'opuscolo: Martin Luther King, Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1993. Tratto dal n. 1125 del 25/11/2005 del notiziario “La nonviolenza è in cammino”.

Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 giugno 2007

Quaranta anni fa moriva don Milani. Molti ne hanno parlato in questi giorni: difficile dire se si è trattato soltanto del ricordo di un defunto lontano o di una presenza educativa e culturale ancora viva nella nostra scuola e nella nostra politica. Qualcuno ha anche ricordato che Esperienze pastorali non è stato ufficialmente riabilitato dall'autorità ecclesiastica che lo aveva condannato all'Indice dei libri proibiti.
Don Milani scriveva in una lettera alla mamma (14 luglio 1954): "Io ho la superba convinzione che le cariche di esplosivo che ho ammonticchiato in questi cinque anni non smetteranno di scoppiettare per almeno cinquanta sotto il sedere dei miei vincitori". Oggi diciamo che era troppo ottimista.

Preferiamo ricordarlo con le parole di Giorgio Pecorini, profondo conoscitore della scuola di Barbiana e ben noto ai lettori del "Manifesto": "Fin quando don Milani è stato vivo, gerarchia e integralismo, costretti dalla sua 'disobbedienza obbedientissimà a non scaricarlo, si sono rivalsi emarginandolo ed esiliandolo. Poi, dopo morto, un poco alla volta, hanno preso ad appropriarsene, via via facendosi gloria e vanto della ortodossia e del suo rigore, ma addomesticando l'una e l'altro, scegliendo fra le sue testimonianze quelle che, sapientemente o grossolanamente censurate e manipolate da capo secondo i diversi livelli di onestà e di gusto, parevano le più usabili in senso normalizzatore" ("Fà strada ai poveri senza farti strada").
Qui Pecorini cita, fra l'altro, una lettera di don Milani alla sorella Elena, che aveva temuto di dargli un dispiacere annunciandogli il proprio matrimonio civile: "Cara Elena, sono contentissimo che tu ti sposi e non ho nessun motivo di meravigliarmi o dolermi che tu lo faccia in Comune. Esser religiosi o esser cristiani è una fortuna, non un obbligo. Mi può dispiacere che tu non abbia questa fortuna, non che tu compia un atto in sintonia con quello che pensi". Posizione ancora più significativa oggi, in tempi di Dico.
Da segnalare, su "Adista", una lettera inedita a firma di "Lorenzo Milani, parroco di S. Andrea a Barbiana", diretta al professor Tommaso Fiore, dopo l'uscita di Esperienze pastorali. Don Milani si difende dalle accuse vaticane e scrive: "Dare la scuola ai poveri, tutto il resto sa di chiacchiere". Un bel compendio di una vita.