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E’ il primo novembre, due Rom in un bus di linea, sono soli in mezzo ai "normali. Stanno andando alla fiera di Camaiore. Nessuno sembra badare alla coppia "diversa" come normalmente dovrebbe essere ma non è così, sono in realtà osservati, con ipocrito disinteresse, proprio perché Rom. Poco dopo sono per strada in compagnia di una bambina che ha la pelle troppo chiara per essere una di loro.

Cinque navi, ciascuna con un equipaggio che varia da 80 a 250 uomini. Elicotteri a lungo raggio. Una decina di aerei. Radar e droni. L’hanno chiamata “Mare nostrum” e servirà per «il rafforzamento del dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare». Sarà (parola d’onore dei ministri dell’Interno Alfano e della Difesa Mauro) «una missione umanitaria e di soccorso»… attraverso la quale «l’Italia rafforza la protezione della frontiera» e «controlla i flussi migratori».

Gli unici confini sono quelli del corpo, limiti invalicabili dell'epidermide, armatura sottile che, a volte, riesce anche a proteggerci. A volte no. Questa pelle che ci permette di propendere la mano nell'intenzione desiderante di indicare. Ed è proprio il desiderio, la speranza, che ha spinto 266 profughi a lasciare il loro paese e con esso le loro radici. Muniti solo delle foto dei loro cari si sono affidati al mare, lasciando dietro le spalle la triste realtà della guerra, della povertà, dell'annullamento dell'Io. Sono sopravvissuti solo in 155 a Lampedusa e tutto per la generosità di chi non si ricopre di medaglie, di chi non appare in televisione, ma solo si veste dell'umanità necessaria per vivere in questo mondo sempre più egoista e narcisista.

A pochi giorni dalla strage di Lampedusa, mentre e’ in corso il recupero delle salme, ancora in fondo al mare e con negli occhi le immagini di decine delle bare allineate delle vittime, l’ASGI esprime grandissime perplessità di fronte al comportamento della procura di Agrigento che ha iscritto nel registro degli indagati tutti i sopravvissuti per il reato di ingresso irregolare di cui all’art. 10 bis del Testo Unico Immigrazione.

Emilio Di Biase, dal 1992 al 2009 è stato insegnante tra Etiopia ed Eritrea, e ad ogni tragedia di migranti teme sempre che tra i morti ci possa essere qualcuno dei suoi studenti in fuga dagli orrori di quella terra dove una bomba a mano o un kalashnikov costa meno di un pranzo.

Davanti alla tragedia di oggi, 3 ottobre a Lampedusa, con centinaia di morti, ti vengono in mente le parole di Francesco, pronunciate là, a Lampedusa: "Chi ha pianto per quanti sono morti in mare?" E ti chiedi se sei proprio tu interpellato. Con tutte le cose da fare, come ogni giorno. Cose anche serie, importanti. E non trovi lo spazio, il tempo per piangere, per sentirti umano e lasciarti andare. E devi incontrare le persone, fare delle cose con loro.

Ogni giorno incontrando uomini e donne, cittadini del nostro Paese, subito dopo il saluto accolgo le manifestazioni di sofferenza e di fatica nel loro mestiere di vivere quotidiano. Questo malessere e questa sofferenza si sono accentuati vertiginosamente negli ultimi anni, e di volta in volta emergono quale indignazione, protesta, rabbia, domanda su come e dove siamo finiti.