Ma mettiamo pure che le richieste di un rafforzamento delle forze dell'ordine sul territorio trevigiano vengano esaudite. Non riesco comunque a capire come, ad esempio, avere un maggior numero di "volanti" per strada possa impedire la degenerazione di un conflitto familiare, o indurci a non aprire la porta se colui che bussa lo conosciamo bene. Capite perfettamente che sarebbe inutile, oltre che impossibile, avere un'auto della polizia parcheggiata ogni cento metri (o meno, perché una voce umana può urlare raggiungendo un numero limite di decibel, ed anche l'udito umano ha un raggio limitato).
Nè comprendo quale effetto deterrente sull'uso della violenza per risolvere i conflitti possa avere la proposta di trasformare Treviso in un "Grande Fratello", con telecamere ad ogni angolo di strada: a meno di non creare un'enorme rete di controllo con una telecamera in ogni stanza di ogni appartamento, e beninteso collegata con la questura.
Questo aumenterebbe la nostra sicurezza? Ho sentito anche la proposta di fornire aiuti economici a chi acquista armi.
Miei cari concittadini e concittadine, ditemelo: se aveste un'arma in casa vi sentireste davvero "più sicuri"? È dall'altro giorno la notizia dell'uomo (italiano) che ha ucciso la propria moglie scambiandola per un ladro. Nel paese in cui è più facile in assoluto nel mondo acquistare armi, e cioè gli Stati Uniti, gli "incidenti" di questo tipo sono tra le prime cause di mortalità: negli Usa ci sono, secondo l'ultimo censimento, 90 pistole ogni 100 cittadini ed il problema della violenza non l'hanno risolto.
Vi sentireste meglio se, com'è stato anche suggerito, udiste ogni notte "i passi cadenzati delle pattuglie armate"? I più anziani tremeranno al ricordo, credo, ma anch'io che la Gestapo non l'ho mai vista sento qualche brivido nella schiena. Chi controllerebbe le pattuglie, con quali fini, e a chi dovrebbero rispondere del loro operato? Se nella notte sentiste lo schianto della porta del vicino, e le sue grida, e le "pattuglie" che lo portano via, il vostro senso di sicurezza aumenterebbe o diminuirebbe? *
E allora va bene lo sfogo, va bene anche riflettere sull'indulto (che per inciso ha tutelato parecchi politici) e cercare di rendere questi provvedimenti meno indiscriminati, e quindi capire quali misure possano con umanità bilanciare pena e rieducazione, ma non va bene pensare che così risolveremo il problema. C'è un'unica cosa che dà davvero sicurezza ad una comunità umana: il potersi fidare degli altri. E ci si fida degli altri, in un gruppo sociale, solo se ognuno e ognuna ha pari dignità, pari diritti, e pari doveri, e magari (non guasta) il comune orgoglio di ciò che viene pacificamente condiviso.
Desmond Tutu suggerì (1999) il concetto africano di "ubuntu" (costruzione di comunità) come valore chiave: "Una persona con ubuntu è aperta e disponibile agli altri, alla loro affermazione come individui. Non si sente minacciato dalle abilità altrui, perché lui o lei ha la propria assicurazione di autostima, che viene dal sapere di essere parte di un tutto più grande, che soffre di diminuzione quando gli altri sono umiliati o spossessati, quando gli altri sono torturati o oppressi, o trattati come se fossero meno di quel che sono". In questo concetto l'autostima (vostra, mia) si crea attraverso i modi in cui l'Altro è trattato. Lo sviluppo positivo del Sè è collegato al relazionarsi con l'Altro in modo rispettoso ed affermativo per entrambi, un modo libero dall'abuso, dallo sfruttamento, dall'umiliazione. Quando si danno tali condizioni, se io sono in pericolo e chiamo aiuto qualcuno accorrerà, e se sono in difficoltà qualcuno mi darà sicuramente una mano.
Vogliamo cominciare a buttar via, tanto per fare un esempio, l'ideale della competizione, ed i comportamenti ad esso correlati, il mito del "farsi da soli", la vita vissuta come una corsa in cui bisogna arrivare primi (e ogni mezzo è lecito, se legittimato dalla vittoria)? Tutto questo distrugge la cooperazione di cui abbiamo disperatamente bisogno, ci rende disumani e spietati, ci suggerisce che la vita di una persona vale meno dei venti euro che possiamo rubare dalla sua borsetta.
Cominciamo da noi, a trovare alternative alla violenza. Cominciamo a capire che la violenza non risolve i conflitti, ma li aggrava. E quando un bimbo ne picchia un altro, smettiamo di biasimare la vittima, o di dire a sua madre che "gli insegni a difendersi". Diciamo piuttosto al nostro piccolo: gli altri bambini non sono fatti per essere picchiati, proprio come te.
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Pubblicato su "Nonviolenza. Femminile Plurale", n. 128 del 27 settembre 2007