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Una premessa

La scoperta dello strumento di analisi dello stile linguistico battezzato con il nome di “Dignity Index” è avvenuta per me in maniera fortuita mentre seguivo una tavola rotonda tra personalità varie riunitesi in videoconferenza per discutere il tema: <Come rispondere al periodo che ci è dato di vivere? – How do we respond to the time We are living through?>, un webinar della serie <Aspen Chapel Initiatives>. Non so per quanto ancora, ma è stato reso disponibile in versione originale Inglese al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=OWW9onPmBns.

Come noto ho scelto di non partecipare alla manifestazione del 15 marzo a Roma in piazza del Popolo, lanciata da Michele Serra.

Ho fatto questa scelta perché non condividevo la piattaforma vuota che c'era nella convocazione di quella manifestazione, che, proprio perché indecifrabile, poteva essere riempita da qualunque posizione.

Al tempo stesso non ho condiviso l'idea di lanciare una contromanifestazione, lo stesso giorno, perché questa voleva semplicemente significare una ulteriore divisione tra “noi e voi”, tra noi “pacifisti puri” e voi indecifrabili.

Una contrapposizione assurda che è funzionale solo a indebolire il variegato e plurale mondo che vorrebbe un'idea altra.

“Quando si osserva il nostro pianeta dallo spazio, alcune cose diventano innegabilmente chiare. Continuiamo ad affrontare tematiche come il riscaldamento globale, la deforestazione, la perdita di biodiversità come questioni isolate, quando in realtà non sono altro che sintomi di un unico problema radicale di fondo. Questo problema è la nostra incapacità o assenza di volontà di riconoscerci come parte di un complesso planetario. Quando me ne stavo ad osservare il mondo da una finestra della Stazione Spaziale Internazionale potevo ammirare le rapide successioni dei lampi delle tempeste, come fossero i flash di tanti paparazzi, e anche gli arazzi di luce delle aurore polari come fossero quasi a portata di mano.

L’Assemblea generale dell’ONU ha indetto la Giornata Internazionale della Nonviolenza nel giorno della nascita del Mahatma Gandhi, il profeta della nonviolenza moderna.

Ma che senso ha, in tempo di guerre feroci, celebrare la Giornata della Nonviolenza?

Forse lo stesso Gandhi sarebbe stato contrario a questa ricorrenza, refrattario com’era a cerimonie rituali e formalità. Tutta la sua vita è stata una sperimentazione delle tecniche della nonviolenza, per la giustizia, per il disarmo, per la pace, per cercare la Verità (che per lui era Dio stesso).

La guerra oggi ha ucciso anche le Parole, e dunque la Verità (Dio è morto?).

Ciò che è accaduto ieri (attentato a D. Trump, 14 Luglio 2024, ndr) non deve dividerci (come popolo); può al contrario essere un’occasione per riunirci. In un certo senso, non è stata colpa di una sola persona, ma un po’ di tutti; e tutti noi siamo adesso chiamati in causa come parti responsabili.

In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Annamaria Rivera, pubblicata su "Voci e volti della nonviolenza", n. 239 del 1 ottobre 2008.

Non so definire la nonviolenza né spiegare ad altri come vada intesa e praticata. È faccenda troppo complicata e scivolosa, intrico che alimenta paradossi. Ci sono guerrafondai che si proclamano nonviolenti. Veterani e neofiti della nonviolenza che votano i crediti di guerra.  Nonviolenti da sempre che son soliti cibarsi di creature torturate e uccise atrocemente.

Fonte: newsletter "Ecumenici"
Il cielo a sud si accende, e noi andiamo verso sud; andiamo in Kossovo e guardando dalla grande finestra del pullman sembra che gli occhi volino oltre l’orizzonte per incontrare quei paesaggi tormentati che per ora sono solo nella nostra fantasia.