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Una famiglia modello (Antonio Mazzei)

Pubblicato su Voci e Volti della nonviolenza, n. 266 del 25 novembre 2008.

Una famiglia modello, con ascendenze nobiliari legate alla storia risorgimentale; un amore modello, nato durante una gita di classe allo "Scipione Maffei" (il liceo classico della Verona che conta, frequentato pure dall'attuale sindaco Flavio Tosi), dove entrambi si erano diplomati nel 1984; uno studio modello, lo stesso per entrambi, in pieno centro. Avvocato lei, commercialista lui che, rimasto orfano di entrambi i genitori morti in un incidente stradale, era stato costretto a trasferirsi dalla natia Piacenza a Verona, dove abitava la nonna. Aveva otto anni ed otto erano le pistole detenute in casa, tutte regolarmente denunciate. I tre figli li ha freddati con un solo colpo, mentre due sono occorsi per la moglie che, forse, ha provato a schivare il primo. Uno solo per se stesso, davanti allo specchio.
I criminologi parlano di "suicidio allargato", che può essere causato da un attacco di depressione o di paranoia persecutoria: ci si uccide portandosi appresso i propri cari, in modo che la famiglia modello resti tale anche dopo. Gli addetti ai lavori, però, forniscono dei dati inquietanti.
Secondo il personale del Dipartimento della Pubblica sicurezza, nei cassetti o nelle cantine delle case degli italiani c'erano, al 31 dicembre 2005, almeno 13 milioni di armi detenute legalmente da 3.853.655 privati, cioè da non appartenenti alle forze dell'ordine.
Le autorizzazioni al porto d'armi vengono rilasciate per difesa personale, per l'esercizio della caccia, per uso sportivo. Queste ultime, dopo l'approvazione della legge 59 che nel 2006 ha modificato l'art. 52 del codice penale in tema di legittima difesa, paiono esser diventate lo stratagemma più diffuso per tenere in casa una pistola o un fucile.
Le città più armate sono Milano (4.438 porti d'arma), Torino (3.976), Reggio Calabria (2.128), Bari (1.488) e Roma (1.348), emblema di quella risposta all'"insicurezza percepita" nella quale non c'entrano nè la depressione, nè la paranoia, così come non c'entrano con la proliferazione dei campi da tiro privati, fuori dal controllo dell'Unione italiana tiro a segno che gestisce 289 poligoni (di cui 25 nel Veneto ed 8 nella provincia scaligera), gli unici autorizzati a certificare l'idoneità all'uso delle armi. Armi detenute e maneggiate da circa 28.000 veronesi, anche se nel periodo 2002/2007 sono state appena 142 le autorizzazioni di porto di pistola per difesa personale rilasciate dalla prefettura di Verona.
Ma accanto a queste cifre che danno il quadro di un'Italia pericolosamente armata (nel 2005 si contavano in Veneto 207.679 privati con fucili e pistole, oltre a 147 armerie), ci sono i dati delle stragi familiari.
Secondo il rapporto Eures 2007, presentato a Roma lo scorso 14 gennaio, i delitti compiuti nel 2006 tra le mura domestiche ed all'interno dello stesso nucleo familiare sono stati 195 su un totale di 621, cioè più di quelli attribuiti alla criminalità organizzata (146). Il fenomeno è in aumento (174 casi nel 2005, 187 nel 2004 e 201 nel 2003) e continua a caratterizzare prevalentemente il Nord (94 vittime, pari al 48,2%). In questa macabra classifica il Veneto, con 51 omicidi nel quadriennio 2003/2006, si piazza al quarto posto dopo la Lombardia, il Lazio e la Toscana.
Per quanto riguarda Verona, su un totale di 177.467 reati commessi nel lustro 2003/2007 contro la persona, la famiglia ed il patrimonio, quelli verso i familiari sono stati 1.384. Tralasciando i casi Maso (1991) e Frigerio (1994), in questo periodo le stragi maturate in ambito domestico sono state 7, con 10 morti e due feriti. 6 le donne vittime, in tre occasioni uccise dal compagno (o ex convivente), in due dal marito, in una dal figlio.
Nei tre casi più gravi avvenuti in Italia prima di quello di giovedì 18 novembre (i cinque morti del 2000 a Palma di Montechiaro ed a Bolzaneto e gli otto di Chieri nell'ottobre del 2002), sono state usate armi da fuoco, ma nel 32% di tutti gli episodi sono stati utilizzati anche più caserecci coltelli o martelli. E il movente? Problemi tra i coniugi, malattie incurabili, rovesci finanziari, incomprensioni con i figli, a volte dichiarati in un biglietto, a volte no, come nel caso di Alessandro Mariacci, marito, padre e commercialista modello in una città modello del civilissimo Nord Est, al quinto posto nella classifica nazionale delle province più colpite dalle stragi familiari, con buona pace dell'immagine, tanto cara al suo sindaco, di città resa sicura da forze dell'ordine, militari dell'esercito e volontari delle ronde civiche.