In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Federico Fioretto, pubblicata su "Voci e volti della nonviolenza", n. 238 del 30 settembre 2008.
Circa duemila anni fa un Maestro di nome Gesù portò al mondo un messaggio di libertà: libertà dai vincoli terreni, dalle illusioni di Mammona, dall'egoismo che porta alla Geenna, dannazione degli Epuloni.
Vestire gli ignudi, dar da mangiare agli affamati, assistere il prossimo sconosciuto e sofferente a rischio della vita, spezzare il pane con gli ultimi, rivestirsi dell'innocenza dei bimbi, dimenticare i parenti (il clan) per associarsi all'umanità, amare quanti ci odiano (perché cosa c'è di lodevole nell'amare solo quelli che ci amano?) e porgere l'altra guancia a chi ci ferisce.
Il Maestro, infine, uomo che alcuni credono addirittura Dio fatto carne, non alzò un dito per salvarsi da una morte atroce e difendere le sue buone ragioni davanti all'ingiustizia, ma portò la sua croce come testimonianza del giusto, ad onta perenne di ogni oppressore e condanna inappellabile di ogni violenza.
Oggi, nelle società cristiane si lincia un essere umano per un pacchetto di biscotti, o ci si accoltella per una questione di precedenza stradale; degli ultimi della Terra non vogliamo nemmeno che calpestino il suolo del nostro Paese, anche se ne ammazziamo a migliaia in guerre ingiuste in giro per il mondo.
Delle donne, consimili di Maria che donò al mondo il frutto prezioso del suo grembo, ed alle quali tutti dobbiamo la vita, v'è così poco rispetto che si abusa di loro, in immagine e in corpo, con una spaventosa facilità.
Se abbiamo dimenticato così facilmente Cristo e della sua nonviolenza riteniamo spesso solo le formalità, non è male che le Nazioni Unite ci ricordino ogni 2 ottobre la nascita di Gandhi, padre della nonviolenza moderna (ammesso che si possa dire moderna una cosa che, nelle stesse parole di Gandhi, è "antica come le colline").
Il Maestro, infine, uomo che alcuni credono addirittura Dio fatto carne, non alzò un dito per salvarsi da una morte atroce e difendere le sue buone ragioni davanti all'ingiustizia, ma portò la sua croce come testimonianza del giusto, ad onta perenne di ogni oppressore e condanna inappellabile di ogni violenza.
Oggi, nelle società cristiane si lincia un essere umano per un pacchetto di biscotti, o ci si accoltella per una questione di precedenza stradale; degli ultimi della Terra non vogliamo nemmeno che calpestino il suolo del nostro Paese, anche se ne ammazziamo a migliaia in guerre ingiuste in giro per il mondo.
Delle donne, consimili di Maria che donò al mondo il frutto prezioso del suo grembo, ed alle quali tutti dobbiamo la vita, v'è così poco rispetto che si abusa di loro, in immagine e in corpo, con una spaventosa facilità.
Se abbiamo dimenticato così facilmente Cristo e della sua nonviolenza riteniamo spesso solo le formalità, non è male che le Nazioni Unite ci ricordino ogni 2 ottobre la nascita di Gandhi, padre della nonviolenza moderna (ammesso che si possa dire moderna una cosa che, nelle stesse parole di Gandhi, è "antica come le colline").
Del messaggio del Mahatma, un indù che amò e praticò l'insegnamento del Sermone della Montagna, vorrei oggi ricordare le quattro "s": Swaraj, Sarvodaya, Swadeshi, Satyagraha.
Swaraj: il regno del Sè, come il regno dei Cieli del Vangelo è l'obiettivo che va perseguito per primo, affinché tutto il resto venga in sovrappiù; è la società degli esseri umani che diviene libera di autogovernarsi perché ogni membro accetta la responsabilità delle proprie azioni e costruisce la moralità collettiva con la pratica di un vivere etico.
Sarvodaya: il ben-essere di tutti, la prosperità vista senza attaccamento egoistico con il fine della condivisione di risorse e opportunità; rifiuta la ricchezza di alcuni costruita sulla povertà di altri premiando la dignità dell'essere umano rispetto alla sua ricchezza materiale.
Swadeshi: l'aiuto ai più prossimi, è l'impegno alla solidarietà silenziosa, quotidiana, prestata per cerchi concentrici, dove non vi è ascolto delle sirene che solleticano la nostra vanità ma la cura materna di quanto è posto direttamente a portata dei nostri occhi, del nostro cuore e delle nostre mani. Senza egoismo e senza esclusione di alcuno.
Satyagraha: il pilastro dell'insegnamento, l'adesione ferma e costante alla Verità; è l'onestà totale alla voce della coscienza che impedisce di collaborare a qualunque male, men che meno se nel proprio interesse mondano.
È ferma fino al sacrificio supremo e non conosce rancore verso un avversario che deve essere amato incondizionatamente perché tenuto distinto dal suo eventuale errore.
Senza paura, ovviamente, di quanto può uccidere il corpo, bensì di quanto lo può fare dell'anima, cioè l'azione non veritiera.
Swaraj: il regno del Sè, come il regno dei Cieli del Vangelo è l'obiettivo che va perseguito per primo, affinché tutto il resto venga in sovrappiù; è la società degli esseri umani che diviene libera di autogovernarsi perché ogni membro accetta la responsabilità delle proprie azioni e costruisce la moralità collettiva con la pratica di un vivere etico.
Sarvodaya: il ben-essere di tutti, la prosperità vista senza attaccamento egoistico con il fine della condivisione di risorse e opportunità; rifiuta la ricchezza di alcuni costruita sulla povertà di altri premiando la dignità dell'essere umano rispetto alla sua ricchezza materiale.
Swadeshi: l'aiuto ai più prossimi, è l'impegno alla solidarietà silenziosa, quotidiana, prestata per cerchi concentrici, dove non vi è ascolto delle sirene che solleticano la nostra vanità ma la cura materna di quanto è posto direttamente a portata dei nostri occhi, del nostro cuore e delle nostre mani. Senza egoismo e senza esclusione di alcuno.
Satyagraha: il pilastro dell'insegnamento, l'adesione ferma e costante alla Verità; è l'onestà totale alla voce della coscienza che impedisce di collaborare a qualunque male, men che meno se nel proprio interesse mondano.
È ferma fino al sacrificio supremo e non conosce rancore verso un avversario che deve essere amato incondizionatamente perché tenuto distinto dal suo eventuale errore.
Senza paura, ovviamente, di quanto può uccidere il corpo, bensì di quanto lo può fare dell'anima, cioè l'azione non veritiera.
Sgombriamo il campo dagli equivoci generati da chi ha irresponsabilmente svilito il messaggio gandhiano: la nonviolenza di Gandhi è, come diceva Martin Luther King, un metodo per vivere e testimoniare quotidianamente il messaggio di Cristo.
Essa è, dunque, buona guida per questi giorni nostri persi e bui, nei quali il mondo sta scivolando nemmeno tanto lentamente verso il baratro della violenza totale, della contrapposizione assoluta degli egoismi.
È tempo di tornare al silenzio interiore nel quale ascoltare la voce silenziosa della coscienza e confrontare le nostre scelte quotidiane, parole e azioni con l'insegnamento del Maestro cui ci richiamiamo, ognuno il proprio.
È tempo di rifiutare il canto delle sirene dell'egoismo e del materialismo e pensare alla salute della casa comune nella quale viviamo, la Terra, e della famiglia cui apparteniamo, quella umana nella sua interezza; altrimenti, in breve, non avremo più nè casa nè famiglia.
È tempo, se ci sembra troppo lontano dalla pratica un Sermone pronunciato duemila anni fa su una montagna in Palestina, di affidarci al "talismano" che Gandhi ha insegnato mezzo secolo fa: quando dobbiamo prendere una decisione, richiamiamo alla mente l'immagine dell'essere umano più derelitto che possiamo ricordare e chiediamoci se l'azione che stiamo contemplando gli porterebbe un beneficio o meno.
A quel punto, Gandhi promette, ogni dubbio scomparirà dalla nostra mente e avremo cristallina chiarezza sulla scelta giusta da compiere.
E il regno del Sè, la società nonviolenta, sarà più vicino di un passo.
Essa è, dunque, buona guida per questi giorni nostri persi e bui, nei quali il mondo sta scivolando nemmeno tanto lentamente verso il baratro della violenza totale, della contrapposizione assoluta degli egoismi.
È tempo di tornare al silenzio interiore nel quale ascoltare la voce silenziosa della coscienza e confrontare le nostre scelte quotidiane, parole e azioni con l'insegnamento del Maestro cui ci richiamiamo, ognuno il proprio.
È tempo di rifiutare il canto delle sirene dell'egoismo e del materialismo e pensare alla salute della casa comune nella quale viviamo, la Terra, e della famiglia cui apparteniamo, quella umana nella sua interezza; altrimenti, in breve, non avremo più nè casa nè famiglia.
È tempo, se ci sembra troppo lontano dalla pratica un Sermone pronunciato duemila anni fa su una montagna in Palestina, di affidarci al "talismano" che Gandhi ha insegnato mezzo secolo fa: quando dobbiamo prendere una decisione, richiamiamo alla mente l'immagine dell'essere umano più derelitto che possiamo ricordare e chiediamoci se l'azione che stiamo contemplando gli porterebbe un beneficio o meno.
A quel punto, Gandhi promette, ogni dubbio scomparirà dalla nostra mente e avremo cristallina chiarezza sulla scelta giusta da compiere.
E il regno del Sè, la società nonviolenta, sarà più vicino di un passo.