“Il nigeriano di Macerata fu ospite in provincia” questo lo “strillo” de “La Nazione” di domenica 11 febbraio: entrambi i quotidiani cartacei della nostra provincia hanno poi dedicato una pagina per riprendere alcuni commenti e hanno dato spazio ad un comunicato di un esponente di “Fratelli d'Italia”.
Qual è la notizia? Quale la ricaduta sui cittadini che vedono lo strillo, che scorrono i titoli dei giornali che leggono -spesso distrattamente- l'articolo?
Le “cose” che ho trovato scritte, mi risulta difficile chiamarle notizie, poiché riportano frasi non verificate di cittadini anonimi o solo una parte delle dichiarazioni del Presidente Provinciale dell'ARCI, responsabile del centro di Accoglienza Straordinario (CAS) dove fu ospite Innocent Oseghale, tagliate (opportunamente?) o meglio dire “amputate”, o opinioni (non solo discutibili ma anche illogiche) del politico che spaccia per dati di realtà.
Due le risposte per spiegare quello che ormai conosciamo del giornalismo nazionale e locale: 1) vendere di più, e quindi proporre notizie che toccano facilmente le emozioni, le migliori quelle di nera con particolari da film horror ; 2) Supportare, in modo ideologico e quindi fanatico, qualche potente o qualche partito politico.
Proprio il giorno precedente un interessante dibattito su “TV TALK”, tra i conduttori e i giornalisti Franco Di Mare (RAI 1) e Serena Bortone (Agorà RAI 3) ha fatto emergere le responsabilità dei giornalisti nel far crescere atteggiamenti generalizzanti, stereotipati, aggressivi, razzisti, sessisti. Il dibattito partito dai fatti di Macerata ha allargato lo sguardo non solo sul crescente razzismo nella nostra cara Patria, ma anche sull'alimentare il crescente senso di insicurezza, la corsa ad armarsi, e anche il sostenere certe distinzioni di genere e logiche maschiliste.
Non ho la pretesa di scardinare, né tanto meno di proporre un cambiamento alle modalità internazionali e nazionali di gestire il “Quinto Potere”, ma di chiedere ai giornalisti che lavorano a livello locale di essere professionalmente più impegnati, faticare di più nel ricercare la verità e proporla con quel “beneficio di inventario” che è sempre doveroso.
Sulle vicende dei richiedenti asilo – che mi hanno visto coinvolto negli ultimi anni- mi sono trovato più volte a vedere stravolte le notizie. Il momento più eclatante nel giugno del 2015 quando i dati dell'ASL sulla TBC dei profughi sono stati letti “alla rovescia” da un giornale locale; ma anche quando è stato dato ampio risalto alle affermazioni di due poliziotti su come loro avevano contratto effettivamente la TBC, attribuendole falsamente ai profughi. Non parliamo poi della pubblicazione costante di affermazioni di esponenti di destra (e non solo estrema) chiaramente inesatte (ad esempio la quantità di denaro consegnata giornalmente a ciascun richiedente asilo), senza verificarle e quindi pubblicandole senza specificare che erano scorrette.
Ed ancora, accettare che la comunicazione tra persone, gruppi organizzazioni ed enti passi prima , o solamente, dalle pagine dei giornali e non dalle relazioni dirette: faccio riferimento ad una manifestazione di protesta perché in una struttura di Caritas non dovessero essere ospiti profughi, quando questa non è mai stata né una possibilità né tanto meno un'idea; solo una protesta pubblica, nessun contatto dei manifestanti con Caritas prima (ma neanche dopo) e insistenza dei giornalisti perché Caritas desse risposta sui giornali, avvallando quindi il metodo della rilevanza mediatica piuttosto che quello della civile e diretta comunicazione.
Rispondere alle tante affermazioni o chiedere di apportare precisazioni o correzioni spesso sembra essere ciò che le notizie imperfette pretendono per poter essere replicate e amplificate, quasi sempre è preferibile il silenzio.
Di fronte a questo modo di esercitare il giornalismo forse non rimane che il boicottaggio, rifiutarsi di compare il quotidiano per qualche giorno...se l'interesse è quello, forse il portafoglio potrebbe chiedere maggiore attenzione.
A chiosa dello strillo del giornale: molti amici neri, stranieri e italiani, mi avevano confidato la loro preoccupazione e la paura dopo i fatti di Macerata...e nella nostra zona dopo lo strillo?
Almo Puntoni
Direttore di Caritas diocesana