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Piccolo Satyagraha (Carlo Del Nero)

(Pubblicato sul blog di Carlo Del Nero)

E' impensabile un piccolo Satyagraha?
E allora perché ci penso!
Il fatto stesso che ci stia pensando da settimane, mi fa dire che non è impensabile. E' solo che non siamo abituati a "immaginare" in questi termini e quindi, quando accade, non abbiamo chiara l'idea di quello che si può fare, di quello che sapremo mettere in campo, del risultato finale.

Eppure io sono un figlio, degenere forse, del '68 (o giù di lì) e qualcosa di quegli anni ho cercato sempre di portarmelo appresso.
Ma ve li ricordate quegli anni? Senza trionfalismi, ma il mondo era davvero diverso. Quando poi sia iniziato il '68 è difficile a dirsi, io ero davvero giovane, eppure tutti ne fummo travolti. Anche quelli come me, non ancora pronti, anche quelli come me, troppo incerti, anche quelli come me, che andavano a tentoni senza sapere dove.
Ricordo il 22 novembre 1963, avevo solo 8 anni. Non potrei ricordarmelo ancora oggi se il mondo non fosse stato così diverso. Nessun genitore oggi si sognerebbe di svegliare un bambino di 8 anni per dargli la notizia e forse un bambino di 8 anni non si pianterebbe davanti ad una radio più grande di lui per ascoltarla.

Credo che il '68 sia nato da quella fotografia di mondo.

Una parte di quel mondo credette davvero all'immaginazione al potere. Alcuni fraintesero, altri usarono, altri ancora chissà! Ma molti credettero e molti finsero di credere.
A volte sì, lo ammetto, mi sembra di essere il credulone rimasto col cerino in mano.
Eppure lo so, non sono poi così sprovveduto, l'immaginazione non sarà mai al potere, ma il potere dell'immaginazione può condizionare i potenti. Bisogna provare ad immaginare qualcosa che possa scuotere, che possa avvicinarci all'obiettivo a piccoli, ma sicuri passi.
Questo almeno del sessantotto lo possiamo condannare: la fretta.
Certo si può giustificare tutto con la gioventù, ma oggi potremmo provare a ripescare quello che c'era, perché in fondo c'era, e fidarci del fatto che abbiamo imparato la pazienza.
Uno dei problemi è che per poter fare questo devi prima convincere quelli più vicini. Perché sono loro che ti mancheranno quando deciderai di partire.
Quelli lontani già lo sai che staranno a guardare, ad aspettare il tuo fallimento per sentirsi dalla parte della ragionevolezza o il tuo successo per infilarcisi, ma sono quelli vicini che costruiscono pazientemente la rassegnazione necessaria al fallimento. Perché non sempre sono come vogliono apparire o magari solo perché non sono partiti loro o infine perché semplicemente sono sfibrati dall'attesa. Perché la pazienza non è rassegnazione e l'impazienza non è volontà. La pazienza domina l'indignazione, l'impazienza la distrugge.
Eppure se quelli vicini decidessero di provare con te, quelli lontani ne avrebbero un effetto dirompente, perché non se lo aspettano, ne rimarrebbero spiazzati e non avrebbero gli strumenti per demolirti. Non avrebbero il tempo di organizzare le obiezioni, i distinguo, i se ed i ma.


Ma eravamo partiti dal '68, anzi da qualche anno prima. E se davvero dovessimo ripartire da lì?
Non io, ma molti sono partiti dal libretto di Mao, altri erano strasicuri delle meraviglie del comunismo e qualcuno anche oggi vorrebbe riportarci là dove tutto è partito. Intanto ci siamo giocati una bella fetta di sinistra.
E se provassimo a ripartire davvero da quegli anni? ma senza libretti, senza simboli, solo con quell'immaginazione che volevamo al potere.


Molte lacerazioni sono nate lì. Tanti antifascisti di oggi, non hanno in mente un qualche gerarca, che per altro non hanno mai conosciuto, ma dei coetanei cresciuti in quegli anni straordinari e terribili, e quando pensano "dagli al fascista!" pensano ad uno di loro, non ad un potente di un regime che non esiste più. Ad uno di loro, della loro età, della stessa scuola, delle stesse donne, della stessa musica un tempo, magari della stessa squadra di calcio oggi.
Ma quali fascisti! quali antifascisti! Manca l'immaginazione e non manca solo al potere, ormai si è offuscata anche da questa parte. Logori tutti, quelli che il potere l'hanno avuto e quelli che non l'avranno mai.
Ho visto un film del III Reich. Un film di propaganda a favore dell'eutanasia. Interessante oltre l'immaginabile. E allora?! Era un film del nazismo, eppure un film che oggi manca. Guardando il mondo da lontano ci si accorge che Hitler e Mozart sono nati a così pochi anni e così pochi chilometri di distanza e, senza voler scandalizzare nessuno, mi viene da pensare ai preti pedofili; quanta solitudine si nasconde dietro tutto questo? Non mi sogno nemmeno di cadere nel giustificazionismo di anni passati, ma neppure vorrei vedere un mondo in bianco e nero senza tonalità di grigio. Non si tratta neppure dei chilometri o degli anni, ma di quanto del bianco e del nero c'è in ognuno di noi.
Io non credo nel paradiso, ma se paradiso ha da essere, allora penso che non sia necessario essere "buoni" per esservi accolti, basta essere stati amati veramente da una persona "buona". Perché altrimenti che paradiso sarebbe per lei o lui senza di noi? E mi sembra un pensiero mite e caldo, quindi se dio esistesse non potrebbe sentirsene estraneo.
Dunque logori tutti, perché incapaci di andare a sporcarci le mani col grigio nostro e altrui.
Per questo le rivoluzioni falliscono, perché pretendono un bianco ed un nero che non corrisponde mai alla realtà.
E certo pensando a Hitler sembra che non ci sia alcuna possibilità non dico di bianco, ma neppure di grigio. Quel sistema aveva creduto nel "nero universale", ma nel campo di sterminio Viktor Ullmann scrive un'opera (che non vedrà mai - Der Kaiser von Atlantis), ma che noi possiamo sentire e vedere ricordandoci di lui e senza sapere chi fosse il suo aguzzino.
E forse il suo aguzzino era solo un ragazzo nato nel momento sbagliato. Perché non sempre l'uomo fa una scelta netta, molto spesso sono piccole scelte che si susseguono fino ad arrivare alla disperazione, senza soluzione di continuità.
Noi oggi non sappiamo in che epoca siamo, ce la appiccicheranno i posteri. Noi non sappiamo dove stiamo scivolando e stiamo dimenticando anche da dove siamo venuti. Perché non pensare con un po' più di fiducia e di immaginazione, a determinare il nostro piccolo quotidiano.
Un piccolo Satyagraha. Ero partito da lì e prima o poi ci dovrò tornare. Non voglio però chiarirmi le idee, attività molto conservatrice, voglio confondermele invece.
Per questo lascio tutto in sospeso, avremo tempo di pensarci ancora o, se dovesse presentarsi un urgenza, potremo anche continuare a pensarci strada facendo; è quello che dovremo fare comunque.


Tutto questo non ha senso? Forse. Ma io sto cercando qualcuno che ci trovi un senso. Che forse non sarà neppure il mio, meglio! Sarebbe già molto se ne giungesse una parola. Una è già aver rotto un argine. Il resto è da sperare che in parte si costruisca anche da sé.
Poi certo! Io sono radicale. Lo scrissi un tempo anche al vescovo. Gli scrissi che oggi siamo noi radicali la "spazzatura del mondo", lui mi accusò di essere intollerante, a distanza di anni ancora non ho ben capito in cosa, ma se l'ha scritto avrà avute le sue ragioni. Se mi avesse dato del presuntuoso l'avrei capito, dopotutto io sarei una "spazzatura" di lusso, ma non pensavo a me quando scrivevo, ma a tanti che ho conosciuto. Che ho conosciuto così tardi. Perché se c'è una cosa che mi rimprovero è di essermi scoperto radicale già troppo adulto. Sono passati più di 15 anni, ma se l'avessi scoperto altri 15 anni prima, sarebbe stata tutta un'altra storia, per me soprattutto.
Ma non ho ansia di recuperare, ho la pazienza giusta credo. Cerco solo una parola che con la mia facciano due parole. Niente di più. Mi sembra già così tanto per il momento.
Poi certo sono radicale dicevo. C'è diffidenza palpabile.
Sono un radicale che aspetta una parola, ma non sono certo di aspettarla in eterno, potrei alla fine decidere di non aspettarla più, dipende tutto dalla mia immaginazione, se riuscirà a immaginarsi anche da sola.
Sono un radicale che aspetta una parola per il piccolo Satyagraha.