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Il dominio del cuore (Silvia Vegetti Finzi)


La non violenza è in cammino, Numero 1333 del 21 giugno 2006

Dal sito www.emsf.rai.it riprendiamo il seguente colloquio tenuto da Silvia Vegetti Finzi con le studentesse e gli studenti del Liceo scientifico "Isacco Newton" di Roma e trasmesso dalla Rai il 24 novembre 1998 nel programma "Il Grillo".

- Silvia Vegetti Finzi: Non sarà semplicissimo presentarmi. Se vivessimo ancora nell'Ancien Regime, ossia in una società aristocratica, risponderei a questa domanda dicendo: "Io sono figlia di X e di Y", perché, in quel caso, sarebbe l'appartenenza sociale a determinare la mia identità. Poiché viviamo in età moderna, nell'epoca borghese, vi dirò quello che faccio perché, ormai, la nostra identità sociale è determinata dalla nostra efficienza. Vivo a Milano, insegno Psicologia dinamica all'Università di Pavia. Psicologia dinamica, così come io l'intendo, significa psicoanalisi.
Ho lavorato per molti anni come psicologa nei consultori della famiglia, occupandomi soprattutto dell'infanzia e dell'adolescenza. Ho scritto molti libri. Alcuni possono interessarvi, altri meno. Tra quelli che, oggi, potrebbero riscuotere maggiormente il vostro interesse vi è la Storia delle passioni, un libro che raccoglie dei contributi molto interessanti, che vanno dall'analisi delle passioni in età antica fino alle passioni in epoca contemporanea. Un'altra pubblicazione che potrebbe interessarvi è la Storia della psicoanalisi; e un'altra ancora, che ho scritto insieme a una collaboratrice, Marina Catinazzi, è Psicoanalisi ed educazione sessuale.
Parlando di sessualità, naturalmente, utilizzando i grandi testi di riferimento della tradizione psicologica e psicoanalitica, mi sono imbattuta nel problema dell'amore. Si tratta di un problema che ho dovuto affrontare da più versanti. Dal versante della storia delle passioni, dove l'amore, insieme all'odio, è una delle passioni fondamentali; mi sono imbattuta in questo problema nell'educazione sessuale; e nella storia della famiglia, dove l'amore nella società borghese viene ad entrare in conflitto con l'esterno e, nello stesso tempo, a perpetuarsi con il matrimonio. A questo punto io lascerei a voi la parola sperando di riuscire a toccare ancora degli altri argomenti, o di tornare a quelli da me appena accennati.
Prima di iniziare la nostra conversazione, possiamo vedere una scheda che riassume in maniera sintetica i problemi relativi al dominio dell'amore nella nostra tradizione culturale.

Scheda:
L'amore è una passione e, come tale, attraversa la storia dell'umanità come un suo tratto costante. Gli esseri umani hanno sempre amato. Si sono innamorati, hanno provato i piaceri dell'amore e i drammi e le sofferenze che esso porta con sè. Ma l'amore è anche una delle passioni che sono state maggiormente moralizzate. Le società hanno sempre costruito una fitta rete di doveri e di ruoli attorno all'amore e ne hanno dato immagini che hanno, di volta in volta, indicato alcune possibilità di amare e ne hanno oscurato altre. Le società antiche, quella greca e quella romana, mostravano di apprezzare una varietà di forme d'amore, ma avevano anch'esse i loro divieti. La passione amorosa non era fatta oggetto di obblighi morali o giuridici, ma era investita da principi di convenienza, che attenevano al ruolo ricoperto nella società. Gli uomini delle classi elevate, ad esempio, potevano amare solo come conquista e possesso e mai come debolezza o passività nei confronti della persona amata. È con il tardo Impero, tra il I e il II secolo, che si impone l'idea che nel modo di amare si mostri la virtù che è propria di tutti gli individui. Così l'amore viene a sovrapporsi con le relazioni socialmente importanti, come quella procreativa, sancita dal matrimonio e dalla trasmissione dei beni ai figli. Su questa morale tardo-pagana fiorisce il cristianesimo. Quella che nelle epoche precedenti era stata la moralità di alcuni diventa, ora, un obbligo per tutti. E così rimane, in maniera piuttosto sorprendente, per diciotto secoli, fino ad oggi, ma subendo importanti modificazioni. Viene inventata nel frattempo una categoria dell'amore in cui il piacere, da solo, deforma o persino snatura l'amore. Come possiamo vedere nell'amore cortese, nel medioevo, e poi nell'amore romantico. Ma con la nascita della società borghese, un certo tipo di amore, quello coniugale, diventa sempre più importante anche per lo sviluppo stesso della strutturazione giuridica e burocratica della società. Poi, nel secolo scorso, l'importanza della legge declina all'improvviso e le immagini dell'amore più influenti sono quelle fornite dalla medicina. Non sono più la morale o il diritto a configurare le possibilità amorose, ma la norma naturale, ciò che è normale e ciò che è patologico.

- Studentessa
: L'amore, nel corso dei secoli, è rimasto sempre lo stesso ed è stato, quindi, espresso solamente in maniere diverse oppure è cambiato il modo di amare?

- Silvia Vegetti Finzi: Credo che il potenziale amoroso sia sostanzialmente stato sempre lo stesso nel tempo, nello stesso bisogno d'amore e nelle stesse aspettative. Sono, queste, forse le figure simboliche fondamentali della nostra mente. Naturalmente sono cambiati i codici, nonché i nostri modi di esprimerci, essendo cambiati anche i modelli che le società ci mettono a disposizione, assieme ai lessici che è possibile trovare nelle descrizioni dell'amore. L'approccio al problema è sicuramente cambiato nella superficie, rimanendo, però, lo stesso nel profondo.

- Studentessa: Spesso è un luogo comune pensare che l'epoca in cui viviamo sia un'epoca spassionata. Però a me vengono in mente, non so, esempi come il grande successo che ha avuto il film Titanic oppure la vicenda, che ha commosso tutto il mondo, della morte di Lady Diana. Di fronte a fatti come questi mi viene da pensare che gli uomini e le donne di oggi vogliano ancora provare forti passioni e che siano pronte a farlo ad ogni costo.

- Silvia Vegetti Finzi: Sì, anch'io credo che ci sia un grande bisogno di passioni e che, nello stesso tempo, esista una reale difficoltà ad esprimere le passioni a livello individuale. Siamo quasi impediti da un certo pudore. Troviamo che la passione sia qualcosa di indecente nell'ambito in cui viviamo, ambito contraddistinto dall'intimità, dall'autocontrollo estremo. Sono controllati i gesti, sono controllate le parole, fin dalla prima infanzia. Si dice al bambino: "Non muoverti, non dire queste cose.
Stai fermo". Manca un contesto realmente accettato della passione. Ma il bisogno è rimasto sempre lo stesso. E questi grandi miti odierni, di cui lei giustamente diceva prima, Diana d'Inghilterra, nonché Titanic, (questa passione cinematografica e travolgente che ha unito gli adolescenti di tutto il mondo), ci rivelano come appunto esista ancora un grande bisogno di grande passioni simboliche, di grandi forme di narrazione sentimentalmente condivisibile.

- Studentessa: Secondo lei attribuire un valore e un'importanza più profonde alla relazione con la propria madre, può significare una ricomposizione tra corpo e mente, ossia tra sentimenti e ragione all'interno di un'unica persona aiutando a non considerare più i sentimenti e la ragione in opposizione tra loro?

- Silvia Vegetti Finzi: Sicuramente. Noi tutti abbiamo provato una "prima passione", sia i maschi che noi femmine. Il primo oggetto d'amore, per noi tutti, è stato quello delle nostre madri e abbiamo provato, sia negli ultimi mesi di gravidanza, sia nei primi mesi di vita, un amore totale, un amore illimitato, un amore compulsivo, dove non esiste una reale differenza dinamica tra ragione e sentimento, tra corpo e anima, un amore oceanico al quale, in fondo, tendiamo tutta la vita. Tutti tendiamo a questo tipo di amore e ne abbiamo paura, perché abbiamo paura di perdere la nostra individualità, di smarrirci in questo tipo di amore. Questo spiega anche la connessione che esiste tra amore e morte, proprio perché ciò cui aneliamo nello stesso tempo ci spaventa.

- Studente: Ripensando alle storie di Paolo e Francesca, di Romeo e Giulietta, abbiamo visto come lo sbocciare delle forti passioni sia, spesso, anche legato a un divieto, a una prescrizione proibitiva. Lei pensa che il divieto possa essere una condizione per cui le passioni possano sbocciare più impetuosamente o la loro irruenza può aver luogo anche nella quotidianità?

- Silvia Vegetti Finzi: Il filosofo idealista Friedrich Schelling scrisse: "la passione amorosa nasce dalla contrapposizione tra la libertà individuale e gli impedimenti sociali". Io non credo che l'amore nasca da questo, ma, sicuramente, è una passione che può essere rinfocolata dai divieti. La mancanza di impedimenti fa sì che la passione amorosa sia gestita attualmente solo dall'individuo, il quale deve confrontarsi con dei limiti, che, molte volte, sono dei limiti interni, dei limiti psicologici, per cui troviamo delle inibizioni ad amare, alle quali non corrisponde un'autentica realtà sociale. Molte volte ci inibiamo, da soli, come se fossimo spaventati dell'eccesso amoroso, perché la passione è sempre eccessiva, e, come ci rivela Dante Alighieri nel contrappasso subito da Paolo e Francesca nel girone dei lussuriosi, esso può essere travolgente come una bufera. Non lascia nulla di immodificato. Con esso cambiano i rapporti esterni, cambia l'equilibrio interno e quindi vi è al tempo stesso desiderio e timore della passione.

- Studente: Abbiamo portato l'esempio di Titanic e del cordoglio per Lady Diana. Però a me sembra che queste due passioni, questi due grandi affetti che si sono sviluppati per queste figure, per la figura di questi due personaggi del film di James Cameron e per questa donna, siano delle passioni un pò fittizie. Mi sembra che non rappresentino un amore vero, quasi che in queste immagini esista soprattutto una ricerca di spettacolarità nell'amore. Un qualcosa di molto finto. Non come nell'amore vero che, secondo me, può davvero instaurarsi tra due persone dotate di reali e reciproci contatti, così diverse dai personaggi di un film, o dall'immagine di una donna come la principessa Diana!

- Silvia Vegetti Finzi: Certo. Direi che siamo di fronte a dei simboli.
Questi, di cui lei stava parlando, sono simboli dell'amore che appartengono a tutti e a nessuno. Nessuno vi si può realmente immedesimare, grazie proprio alle loro figure quasi di stampo universale, ma, nello stesso tempo, sono simboli che devono, comunque, aver parlato al cuore di molti individui, perché l'adesione da essi goduta non è facile da ottenere. Un messaggio devono averlo mandato. Penso, ad esempio, come siano importanti in Titanic le immagini in cui la realtà vissuta dalla giovane coppia di protagonisti si svolge su di un piano inclinato, che diviene sempre più inclinato, e in cui loro vengono sempre più trascinati nel fondo della nave, là, dove ribolle proprio l'acqua che ha rotto le paratie stagne dello scafo, che ricorda, non a caso, il ribollire della passione non elaborata in cui veniamo tutti trascinati dalla rimozione della passione stessa. È come se esistesse una impossibilità di vivere nella realtà la passione autentica, in quanto questa è trascinata inesorabilmente verso il fondo che è un'immagine inconfondibile dell'inconscio. Non a caso nell'inconscio sono precipitate gran parte delle formazioni, appunto, passionali. Si tratta di amori resi impossibili da una realtà psicologica. In un certo senso il film di Cameron parla, contemporaneamente, di un fatto esterno, un fatto storico, il naufragio del Titanic, e di un fatto interno, ossia di come noi esseri umani ci siamo impossibilitati a vivere fino in fondo la passione dell'amore.

- Studente: Le vorrei chiedere: si può, contemporaneamente, odiare una persona amata o che è stata amata, con un odio non momentaneo o istintivo, bensì realmente profondo?

- Silvia Vegetti Finzi: Le risponderò con Freud: "L'odio è l'ombra di ogni amore". Quando noi amiamo, ci sentiamo assolutamente dipendenti dalla persona amata e questa dipendenza, che è inevitabile nell'amore, al tempo stesso ci rende unico, desiderabile, e in fondo anche detestabile, l'oggetto amato, perché la dipendenza è sempre in un certo senso dolorosa. Il fatto di ritrovarsi a dire: "Non posso vivere senza di lui" è già una dichiarazione molto ambivalente. Quindi direi che, come in tutte le passioni, anche nell'amore coesistono i due poli contrari dell'attrazione e della repulsione. Il problema è di riuscire ad amalgamarli e di non farli, invece, esplodere o entrano in conflitto tra loro.

- Studentessa: Si dice sempre che ragione e sentimenti non vadano d'accordo, che la ragione tenda, spesso, a svalutare tutte le azioni che siano state frutto di uno slancio passionale. Secondo lei esiste realmente questo dualismo oppure, come io credo, la ragione tenda a rielaborare le esperienze e che poi le traduca in passioni e sentimenti?

- Silvia Vegetti Finzi: Direi che nella passione vi è, comunque, una sconfitta della ragione, o per lo meno una sconfitta momentanea. Come dice Dante: "La passione è fuori dall'orto della ragione". I sentimenti, invece, rispetto alle passioni, sono più "ragionevoli". Essi, infatti, sono più adatti alla nostra vita, così regolata, così finalizzata all'efficienza, alla produttività, perché possono essere meglio modulati, non ci travolgono mai del tutto, ma, al tempo stesso non sono del tutto razionali.
Possiamo esprimere i nostri sentimenti in modo debito, nelle situazioni opportune, mentre la passione, come dicono le metafore, è un vento. Si pensi all'espressione: "Sono stato travolto dal vento della passione". Non possiamo dire: "Sono stato travolto dal vento dei sentimenti", perché i sentimenti sono qualche cosa di più interiorizzato, e quindi già in un certo senso di più addomesticato.

- Studente: Ma non può darsi, invece, che la ragione, a volte, riesca a dominare i sentimenti, e quindi a volte si tenti, tramite essa, di essere meno egoisti, perché si può fare anche questo parallelismo di ragione ed egoismo?

- Silvia Vegetti Finzi: È sempre stato un problema di equilibrio perché la passione non corrisponde certamente alla follia tout court, ma nel contempo non rientra nelle occupazioni dirette della ragione. Il che vuol dire che è sempre indispensabile una forma di controllo equilibrato. Inoltre, un tempo, nel gioco delle passioni, era molto importante il controllo collettivo.
Pensate nel teatro tragico greco, che è la forma principale tramandataci dalla tradizione di espressione passionale; in essa vi è sempre il coro.
Chi parla è sempre ascoltato e commentato dal coro. Quindi la ragione non è riposta soltanto nell'individuo, ma è una forma di ragione condivisa. È una ragione che proviene dall'esterno, è un contenimento che viene imposto o consigliato dall'esterno a degli individui, spesso rappresentati nella loro completa solitudine. Se siamo travolti dalla passione abbiamo ben poca possibilità di gestirla. Possono esserci, in alternativa, come sostegno, le famose telefonate all'amico del cuore, che, magari, durano anche due ore.
Ma, anche in quel caso, non c'è quell'interesse, quell'ascolto, che invece conviene alla passione. Per cui la ragione ci spinge, nello stesso tempo, a trasformare l'impeto passionale nella corrente più moderata dei sentimenti.

- Studentessa: Erich Fromm sostenne, ne L'arte di amare, che l'uomo moderno giunga sempre a porre davanti all'amore il prestigio, il denaro, il successo, in una parola: il potere.

- Silvia Vegetti Finzi: Certo.

- Studentessa: Quindi si può pensare che per l'uomo l'amore sia una cosa inutile? Ma, se così fosse, perché, appena le persone possono, corrono a vedere film d'amore come Titanic oppure restano ad ascoltare canzoni d'amore? Si può dire che l'uomo cerchi di vivere l'amore in modo indiretto per una forma di paura o per pigrizia?

- Silvia Vegetti Finzi: Sicuramente. Il parlar d'amore è sempre la cosa più difficile da farsi e quindi si va a fruire passivamente l'amore altrove. Parlare d'amore in prima persona è molto difficile, proprio perché non ci sono più le parole per dirlo. Vi è stato un tale discredito dell'amore dopo il Romanticismo, e abbiamo visto come questa passione sia stata investita da tanta ironia, dal sarcasmo più generale. La persona si sente a disagio nel parlare d'amore. Pensate che una volta, per esempio, la lettera d'amore era una modalità comunicativa per tutti gli strati sociali.
C'era persino chi vendeva lettere d'amore, o chi scriveva lettere d'amore su richiesta. Vi erano i libri di lettere d'amore, gli epistolari sentimentali.
Ora la lettera d'amore è una forma letteraria definitivamente decaduta e con essa è finita tutta un'esperienza culturale ed umana, venuta meno a causa della frammentazione in cui noi viviamo, attualmente, i discorsi amorosi, e anche per via del conflitto continuo dei discorsi fatti per sopravanzare gli altri. Quindi il discorso amoroso che è così erratico, così debole, così infantile, in un certo senso è rimasto un discorso perdente nell'agone delle produzioni discorsive umane.

- Studentessa: Ultimamente ho visto il film Elizabeth, e ho potuto notare che questa donna, questa regina, ha dovuto rinunciare, per affermare la propria autonomia politica e l'autonomia del suo regno, alla famiglia, al matrimonio, ai figli, e quindi anche all'amore. Se fosse stata un uomo, nella sua vita si sarebbe posta di fronte a questa scelta? Possiamo dire che la contrapposizione ragione/sentimento stia a significare un prevalere del mondo emotivo maschile su quello femminile?

- Silvia Vegetti Finzi: Direi che la passione più ricorrente negli uomini sia il potere, quindi, forse, Elizabeth Tudor avrebbe avuto meno dubbi da porsi di fronte a questa scelta, se fosse stata un uomo. Esistono però delle importanti, e pur sempre regali, eccezioni. Abbiamo visto Edoardo d'Inghilterra rinunciare al trono per amore di Wally Simpson. Non sono sempre state delle contrapposizioni così forti. Sicuramente esiste un polo maschile che privilegia il potere e l'autorità e, tradizionalmente, un polo femminile che è portatore dei sentimenti come l'amore. È anche vero, però, che sempre meno le donne riescono a sfuggire ad una loro trasformazione passionale, perché le passioni si possono trasformare.
Possiamo sostituire una passione con un'altra. Io credo, ad esempio, che una delle passioni dominanti di questa nostra epoca sia la passione del sapere, la passione della conoscenza, a cui molte persone riescono a sacrificare altre soddisfazioni passionali e pulsionali.

- Studentessa: Molto spesso la letteratura ci ha fornito dei modelli di amore, che quasi sempre erano o impossibili da realizzare o nei quali l'uomo e la donna si fondevano completamente nella passione. Modelli che poco spesso si riscontrano nella quotidianità. Lei pensa che l'amore possa essere concepito come una forma più alta di amicizia? - Silvia Vegetti Finzi: Direi che l'amicizia possa sostenere, o sostituire, il rapporto amoroso quando il rapporto amoroso sia finito, proprio perché l'amicizia è un rapporto erotico privo di sessualità, in cui è stata scotomizzata la sessualità. Quindi rimane solo un amore, direi disincarnato, tra amici. Mentre io non sarei d'accordo che la passione amorosa, in senso forte, debba essere direttamente disincarnata. Anzi in fondo la sua peculiarità è proprio questa: di mettere in gioco il corpo.
L'esigenza passionale è un'esigenza del corpo ed è anche un sapere del corpo, perché tramite la passione vi è una conoscenza corporea e una corporeità dei pensieri, che si rivela, appunto, proprio nel vivere le passioni. Tutte le contraddizioni corporee entrano in conflitto nella passione. Noi non potremmo provare una passione che fosse del tutto priva di corporeità, perché, come ci rivela il teatro tragico greco la persona "in passione" è una persona che "patisce", e che quindi nello stesso tempo gode, perché ha l'impressione di vivere il momento più alto delle sue potenzialità vitali e nello stesso tempo soffre sentendo l'impossibilità di esprimerle. Quindi è un momento di forte contraddizione, cosa che non trovo invece nell'amicizia che mi sembra un amore sublimato.

- Studente: Si dice che tra due amici non possa nascere un amore passionale.
Ma se noi diciamo che l'amicizia sia una forma di amore, non è possibile che questo amore possa crescere fino a diventare un amore vero?

- Silvia Vegetti Finzi: Direi che non si tratti, quasi mai, di una crescita, bensì di una trasformazione. È un processo passionale che cambia di registro. Però abbiamo visto come le passioni siano improvvise, come ci prendano, come le passioni non siano qualche cosa che noi, sempre, vogliamo.
Non posso dire: "Io adesso voglio essere appassionata", ma posso, anzi, a volte, devo dire: "sono preda della passione". Quindi può anche darsi che un rapporto d'amicizia possa trasformarsi in un rapporto d'amore. Ma non per processo cumulativo. Non è che tanta amicizia, sommandosi, possa trasformarsi in amore. Ma ciò può avvenire per una variazione improvvisa e nello stesso tempo, potremmo dire, incontrollabile.

- Studentessa: Spesso accade che le persone non riescono a manifestare i loro sentimenti. Questo può succedere perché non conoscono un linguaggio dei sentimenti? E quindi le vorrei anche chiedere: il linguaggio dei sentimenti è un qualcosa che può essere appreso?

- Silvia Vegetti Finzi: Bella domanda! Che "manchi un linguaggio dei sentimenti", lo ha detto molto bene Roland Barthes, il quale ha sempre invitato i suoi lettori a recuperare un linguaggio dei sentimenti. È un linguaggio un pò degradato, attualmente, quello dei sentimenti, perché molte volte è stato preso dalla pubblicità. Molte volte si sente dire: "Questa mi sembra una frase da cioccolatini". No? Esistono delle modalità di esprimere i sentimenti. Pensate, ad esempio, alla scatola dei cioccolatini che sono, così, abbastanza commercializzati. L'amore sembra sempre più diventare una merce. Recuperare, invece, la capacità di esprimere i propri sentimenti sarebbe un compito degno della nostra epoca.
Tendendo conto del fatto che i sentimenti usano realmente dei codici.
Pensate, ad esempio, al codice della poetica del dolce stil novo, che per secoli è servito alla rappresentazione più accettata dei sentimenti. Va detto, però, che ognuno dovrebbe essere in grado di ricrearsi per sè (per non essere ridicolo) un tale codice rendendolo corrispondente alle fiammate dei propri sentimenti. Perché i sentimenti pulsano, i sentimenti, in un certo senso, non sono del tutto inscrivibili, per fortuna, nei codici della letteratura, della poesia o della musica. No? Vi è sempre una creatività personale che mi permette di dire che quel discorso è mio, appartiene a me, che mi permette di riconoscermi anche all'interno di un discorso anonimo.

- Studentessa: Spesso ci viene detto: "Non seguire l'istinto, ma segui la ragione". Ma in questo modo non confondiamo la convenienza sociale con il pensiero reale degli individui?

- Silvia Vegetti Finzi: Sicuramente. Questa è una società, per dirla con Max Weber, estremamente razionalizzata, una società dissacrata, una società che pone al primo punto l'efficienza, la produttività. E questo crea sicuramente un depauperamento dei sentimenti, i quali non ricevono più linfa vitale, perché, fin dai primi anni di vita, le energie vengono spostate su altri obiettivi. Anche la creatività personale viene posta ai margini dell'autonomia individuale. Il primo problema passionale che abbiamo, come tutti, di fronte alla nostra epoca, è quello di poter recuperare una parte di energie per poter vivere questi sentimenti, per riuscire a sottrarci a tutte quelle che sono state le maggiori ingiunzioni sociali del mondo moderno. Noi abbiamo visto come, in fondo, l'amore nasca dagli ostacoli o si infiammi degli ostacoli, alimentandosi, spesso, degli ostacoli più duri. Un ostacolo alla passione che non è sempre stato reso così evidente come quello di altri grandi, classici, racconti amorosi, è la razionalizzazione della nostra vita. Giulietta e Romeo avevano un ostacolo esterno alla loro passione. Noi, nei nostri casi individuali, non vediamo l'ostacolo della razionalizzazione, perché lo abbiamo fatto nostro, l'abbiamo interiorizzato.

- Studentessa: Vorrei sapere: in quale dei due sentimenti, odio ed amore, che sono i sentimenti più opposti e più estremi, la passione viene espressa maggiormente e fino in fondo? E perché?

- Silvia Vegetti Finzi: L'odio e l'amore direi che sono le due facce di una stessa medaglia, perché in fondo non si odia mai una persona neutra, che non si riconosce come importante, perché l'odio richiede sempre una forma di coinvolgimento. Si odiano le persone vicine così come si amano le persone, che in un certo senso temiamo, perché temiamo che possano lasciarci, o che ci possiedano troppo o che ci abbandonino. Non c'è amore che non si confronti con l'angoscia dell'abbandono, che è la prima angoscia provata dal bambino, l'angoscia di essere abbandonato dalla propria madre, una esperienza emotiva che riappare ad ogni relazione amorosa. Quindi direi che le due passioni vanno insieme e, come dicevo prima, il problema è quello di equilibrarle, trovando una figura intermedia, perché l'amore unisce e porta a cancellarci, a sparire, mentre l'odio divide e rischia di farci trovare soli al mondo, senza possibilità di condivisione. Nella intersezione tra questi due moti, amore e odio, si situano le relazioni vere.

- Studente: Abbiamo parlato, prima, della ragione come freno morale, che può contribuire a delimitare le passioni dentro i limiti imposti dalla società, agendo come autodifesa della comunità sociale, in un certo senso.
Ma la ragione può, in un individuo, agire anche come difesa delle proprie passioni o come difesa dall'oggetto stesso della passione?

- Silvia Vegetti Finzi: Certo. Non esiste mai una passione allo stato puro.
Nella storia delle passioni abbiamo sempre visto la passione unita a dei comportamenti antipassionali. Contro la passione si è mobilitata la giurisprudenza, si è mobilitata la religione e, ultimamente, persino la medicina. Quindi noi esseri umani tendiamo a far nostre delle modalità di contenimento, perché, altrimenti, ci sentiremmo invasi dalla passione, dal suo potenziale distruttivo. La passione porta sempre con sè la ricerca dei limiti passionali, in difesa, innanzi tutto, della nostra incolumità, e poi, come lei ha ben detto, dell'incolumità dell'oggetto. Pensate a Re Lear. Re Lear rischia di rompere i propri rapporti con le sue figlie, di frammentare il suo regno per una passione mal vissuta, mal controllata.
Però, di solito, che cosa ci insegna la tragedia? Che quando una passione ha attraversato la scena del mondo, tutti gli equilibri vengono distrutti per poi ricomporsi in un nuovo equilibrio. Dopo la crisi risorge una nuova configurazione. Questo è evidente, ad esempio, nelle passioni politiche. Le passioni politiche sono questo insieme misto di ragione e di passione. Il filosofo Remo Bodei parla di "passioni rosse" per il socialismo e il comunismo, di "passioni nere" per il nazifascismo, e sappiamo bene come queste passioni abbiano cambiato la configurazione del mondo. E lo stesso Bodei parla anche di "passioni grigie" per quanto riguarda invece il liberalismo borghese, che sembra più razionale, sembra più controllato, ma che, in realtà, possiede tutte le sue passioni. E qui arriviamo ad un problema molto interessante: dove sono finite le passioni? Visto che il potenziale passionale, le energie che ci portano ad esprimere le passioni ed il bisogno di passioni, rappresentato, tra le altre cose, dal cinema, dalle notizie pubbliche, rivelano ancora questa apertura passionale, dove si sono andate a nascondere le passioni? Probabilmente continuano ad esistere mascherate e probabilmente possono essere anche implose dentro di noi, ma non possono non esistere più. Potremmo chiederci che cosa rende così difficile il ritrovamento delle passioni. Forse delle modificazioni molto forti. Una di queste, per esempio, la si trova nella musica, nel passaggio, appunto, dalla musica "classica" tonale alla musica dodecafonica e atonale.
Nella Cavalcata delle Valchirie, vediamo che la passione è una passione collettiva. Richard Wagner, in essa, esprime una passione corale, una passione in cui tutti si possono riconoscere, una passione che è retta dalla forza del destino, che possiede una sua direzione non visibile, ma che si può cogliere all'interno del caos. Mentre con Arnold Schoenberg, con la dodecafonia moderna, questa organizzazione corale "forte" si spezza, lasciando dei frammenti, che sono frammenti tra di loro implosi e nello stesso tempo tesi al conflitto reciproco, e questo corrisponde molto meglio alla situazione psicologica interiore dell'uomo moderno.

- Studentessa: A mio parere la passione, quella vera, è qualcosa di travolgente e, spesso, anche qualcosa che non ha mai fine. Vorrei chiederle: una passione vera, come la passione amorosa, può estinguersi oppure è qualcosa che può durare in eterno?

- Silvia Vegetti Finzi: No. Direi che eternità e passione siano, forse, due termini contrastanti, proprio perché l'impeto passionale richiede una tale mobilitazione delle energie vitali che a un certo punto può portare allo spegnersi delle passioni; o perché si sono realizzate, quindi il mondo interiore o esterno è cambiato, o perché esse sono state introiettate, come abbiamo visto, appunto, nella musica, dove si è passati da una musica corale a una situazione più individuale e frammentata. Ed è evidente, ad esempio, anche nel teatro di prosa, dove nel passaggio dalla tragedia (pensiamo alla tragedia shakespeariana, ma, ancora prima, a quella sofoclea) al teatro di Henrik Ibsen, dove la passionalità implosa si rivela, ad esempio, nei silenzi. Quindi può esservi una passione che, non trovando parole per esprimersi, diviene passione silenziosa, malattia, diventa morte, ma restando, pur sempre, passione. Comunque non penso che la vera passione possa mai durare per tutta la vita, proprio perché la passione si definisce per eccesso. Si parla, di solito, di eccesso passionale. Nella nostra vita quotidiana, nella quotidianità, noi viviamo abbastanza fuori dal registro delle passioni.

- Studentessa: Oggi non si scrivono più grandi romanzi d'amore, ma hanno più successo le telenovelas. Lei come spiega questo fenomeno?

- Silvia Vegetti Finzi: Proprio perché questi grandi racconti televisivi, le soap opera, svolgono quella che un tempo era la funzione del mito. Essi rappresentano quella dimensione che, un tempo, era propria del mito. Non è che la mitologia sia finita col mondo classico. Ogni epoca produce i propri miti e le soap opera sono i miti della nostra epoca. Quando invece si tratta di rappresentare un vissuto individuale (penso, ad esempio, alla letteratura cosiddetta giovanile), l'amore vi trova ben poco posto, proprio come se ci fosse, come dicevo prima, un pudore, una vergogna ad esprimere i propri sentimenti amorosi. Mentre viene espressa, molto bene, la violenza. E la letteratura giovanile, non a caso, esprime egregiamente la violenza. È come se non riuscisse a trovare le parole per esprimere cosa sia l'amore, perché le grandi narrazioni sono finite. Questo senso di amore e destino non esiste più. È finito con il Romanticismo, oppure con i grandi romanzi del Novecento. Pensate a Marcel Proust, a Robert Musil, i quali, però, hanno scritto romanzi tesi a interiorizzare i conflitti amorosi dei loro protagonisti. Nei romanzi di questi autori le passioni sono tutte rappresentate dentro i personaggi in essi raffigurati, come se fossero sigillate, e il lettore resta, spesso, incapace di trovare delle autentiche forme espressive proprie dell'io del soggetto narrante. Quella che rimane invece come universale è l'espressione mitica, che, come dicevo, è di tutti e di nessuno.

- Studentessa: Come distinguiamo la passione sentimentale o la passione amorosa da una passione sessuale? Come possiamo noi distinguere l'amore da una semplice attrazione fisica?

- Silvia Vegetti Finzi: Dalle parole. Parole che non necessariamente vengono pronunciate, ma che vengono dette dentro di noi. La semplice attrazione sessuale di solito non ha parole. È un impulso, una pulsione, quindi tende alla scarica immediata, mentre diventa amore quando subentra una forma di narrazione, quando vi è dentro di noi un io narrante che racconta, in un certo senso giustificandola, la pulsione. La pulsione semplicemente erotica, di per sè, non è umana. È qualche cosa che assomiglia ai comportamenti animali. E direi che, quindi, questa spinta alla soddisfazione sessuale, si umanizza quando trova parole per esprimersi. Magari parole soltanto interiori.

- Studente: Ma possiamo dire che la passione sessuale sia subordinata a quella amorosa? O che il sesso sia, diciamo, subordinato all'amore? Oppure che l'amore non esista senza sesso?

- Silvia Vegetti Finzi: Sì, ma è anche vero l'opposto. Io credo, come psicoanalista, che dipenda dall'inibizione. Noi siamo così inibiti dall'educazione, dalla cultura in cui viviamo, che non riusciamo davvero a vivere semplicemente una pulsione sessuale. È molto difficile. Devo dire che, di solito, si tende a dare una forma, una figura, alla passione sessuale, se non altro per giustificarla. In fondo le parole servono a giustificare quello che stiamo facendo, affinché l'azione non sia solo un gesto privo di senso. Se noi compiamo un gesto privo di senso, portiamo l'insensatezza nella nostra identità. Per cui chi compie un gesto di cui non sa perché lo fa, sentendolo come pura spinta vitale, ma senza figure interiori di mediazione, in un certo senso sente di perdere qualche cosa, non soltanto fuori di sè, nel rapporto con l'altro, ma anche in sè stesso.
Perché l'altro, nel rapporto amoroso, in realtà, è una figura dell'io, è una proiezione del nostro io e del nostro narcisismo. Tra l'uno e l'altro, amiamo sempre noi stessi e se l'altro viene ridotto a una cosa, reifichiamo il nostro stesso io.

- Studentessa: Lei ha detto, poco fa, che le passioni, prima o poi, finiscono, e che passioni e sentimenti sono due cose fondamentalmente diverse. I sentimenti possono finire?

- Silvia Vegetti Finzi: Direi che i sentimenti possono durare tutta la vita, proprio perché i sentimenti perdurano traendo alimento da se stessi. Si alimentano di progetti, si alimentano delle capacità di mutare. Il sentimento non giunge dal di fuori, come la passione, ma è qualche cosa che noi stessi amministriamo. Possiamo ben amministrare i nostri sentimenti, trasformarli, modificarli. Pensiamo, ad esempio, all'amore coniugale. Certo la passione non dura tutta la vita. Sarebbe assurda una coppia che viva tutta la vita in uno stato passionale. Ma esiste pure la capacità (è un'economia interiore) di trasformare questo importo amoroso, e di cambiarne il senso lungo le stagioni della vita.

- Studentessa: Ma se un amore finisce allora non è stato vero amore?

- Silvia Vegetti Finzi: Anzi, può essere stato una grande passione. Direi che, in fondo, le grandi passioni sono più soggette alla fine degli altri stati sentimentali. O no? Quindi, in quel caso, potrebbe essersi trattato veramente di amore, ma di un amore che non ha saputo trasformarsi, che ha scelto di rinunciare alla durata in nome dell'intensità. Condannandosi, con ciò, in un certo senso, alla brevità, alla caducità.

- Studente: Questo amore che può scegliere di sacrificare la durata per una grande passione, a parer mio, può rimanere comunque, con tutti gli effetti, e con quelle ferite che spesso ne restano, dentro la persona. E, in questo senso, può rimanere nella memoria e nella sensibilità di una persona anche per tutta la vita.

- Silvia Vegetti Finzi: Certo. Direi che quando noi pensiamo alla nostra vita, alla nostra biografia, tendiamo ad organizzarla intorno alle grandi passioni che l'hanno motivata. Le passioni sono dei forti organizzatori, danno un forte senso alla nostra vita. E se pensiamo a tutta la tradizione culturale in un certo senso possiamo vedere come essa sia stata un'espressione delle passioni, una semantica delle passioni. Ora quello che mi preoccupa è che questa semantica sia venuta meno essendo stata sostituita, sovente, dalla povertà dei linguaggi specialistici. Molte volte, invece di dire: "Roberto è innamorato" si dice: "Roberto è in paranoia", e invece di dire: "Sono infelice" si dice: "Sono depresso".
Quindi si assume questa semantica, volgarizzata, della medicina, della psichiatria o della psicoanalisi, che è molto più povera di quanto non fossero le grandi tradizioni culturali della passione, in cui si sedimentava tutta una esperienza culturalmente condivisa, ossia una esperienza storica.
Abbiamo ridotto in soldoni il nostro modo di sentire. Ma dobbiamo essere anche capaci di recuperarlo, perché, come dicevo prima, noi siamo le nostre passioni.

- Studente: Secondo me, il fenomeno di cui lei sta parlando può anche essere correlato al fatto che le passioni ormai non si sperimentano più individualmente. Si vedono rappresentate con i film, con le grandi storie, le grandi donne della realtà mondana. Questo tende a impoverire l'anima umana dalle passioni autentiche, che vengono sostituite da quelle più alla moda del momento.

- Silvia Vegetti Finzi: Viviamo in un'epoca spassionata anche dal punto di vista politico. È un'epoca dove la politica è stata ridotta più che altro ad amministrazione dell'esistente. La fine delle grandi passioni politiche che ha così infiammato l'Europa degli anni Trenta ha portato con sè anche delle vere e proprie catastrofi, come la fine dei valori. Il che equivale a dire che la fine delle ideologie ha portato anche con sè la fine degli ideali. Quindi ci troviamo un pò in un'epoca di calma piatta, di bonaccia passionale, in un'epoca in cui possiamo guardare alla storia passata come ad un campo di battaglia. Molte bandiere sono state lasciate in quel campo di battaglia e si fa fatica a trovare la forza, l'energia e la giustificazione per riprenderle.

- Studente: Ho cercato nel world wide web dei siti pertinenti al tema della passione. La mia domanda è questa: quando accade che l'amore può vedersi degenerare in qualcosa che praticamente non contenga più questo sentimento? E a cosa può essere dovuto?

- Silvia Vegetti Finzi: Può essere dovuto, come dicevo prima, alla solitudine, alla stanchezza, al fatto che ci si rivolge molte volte, come lei stesso sta facendo in questo momento, a degli oggetti che sono inerti (lo schermo, il telefono), a delle forme di comunicazione che comunque sono da ritenere decorporeizzanti. In cui cioè viene meno il corpo. In questi casi alle nostre passioni è stato sottratto il corpo e quindi è stato sottratto il gesto corporeo. Molte volte l'eccesso di gestualità è considerato inopportuno o addirittura folle. Quindi, uno dei compiti, al quale la nostra epoca ci trova e si trova di fronte (un'epoca di comunicazioni fredde) è quello di ritrovare il calore della comunicazione e di quel modo di vivere corpo a corpo, che consiste nel vivere in gruppo, nel partecipare, un pò come stiamo facendo oggi, ad una comunità di intenti, dove insieme a grandi prospettive culturali, si può godere anche di questa vicinanza, di questa consonanza fisica, che è l'unica che riesce, veramente, a scaldare la comunicazione e a passare sopra la tentazione all'anonimato, che tende ad essere sempre più dominante nella nostra epoca.