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L'Accademia Apuana della Pace ha ancora un significato? Se si, quale? Discutiamone!: lettera aperta

Avverto la necessità, ma non credo di essere il solo, di aprire un dibattito sul ruolo e sul senso dell'Accademia Apuana della Pace, sulla quale, insieme ad altri, ho speso non poche energie.
Forse è il bisogno di tentare di gettare un sasso, senza nascondere la mano, nello stagno troppo fermo dell'AAdP, nella consapevolezza che la pace, la nonviolenza, la giustizia abbiano bisogno non di spazi statici, ma di momenti e realtà  in movimento, in discussione, in divenire. Faccio questo, magari in maniera provocatoria, non nel privato delle riunioni, ma in pubblico, perché l'AAdP  è uno spazio aperto e pubblico, rivolgendomi non solo alle associazioni fondatrici (Agenda 2002, Casa Betania Onlus, ACLI, Punto Rosso Carrara, ARCI Carrara Lunigiana, AVAA, Associazione Wael Zwaiter, Azione Cattolica Diocesana, CIF Massa Carrara, CSI Massa Carrara, Chiesa Evangelica Metodista, Gruppo Esperantista Massese, il Filo la pietra e la fornace, Rete Lilliput nodo di Massa Carrara), ma a tutti quelli che, singoli e soggetti aggregati, hanno condiviso con noi un pezzo dei sentieri che abbiamo percorso, per avviare una riflessione condivisa sul senso e sul significato che oggi assume l'AAdP, sulle attese, sulle disattese, sulla "mission"... per capire se ha ancora un ruolo l'AAdP e, se si, quale...
Mi rivolgo anche a quanti ricevono semplicemente il nostro notiziario, magari vivendo in città distanti dalla nostra, per conoscere il loro pensiero, le loro valutazioni, l'idea che si sono fatti dell'AAdP.

Nel 2003, quando abbiamo fondato l'AAdP, dopo un lungo percorso, durato più di un anno, di discussione e di riflessione avevamo chiara la necessità di costruire un luogo permanente, che andasse oltre le emergenze del momento, nel quale si approfondissero, in maniera costruttiva e concreta, le tematiche della pace, della nonviolenza, della giustizia, della distribuzione delle risorse, dell'ambiente...

Il 21 giugno del 2003 non nasceva una nuova associazione, ma qualcosa di ben diverso: uno spazio, un luogo, una piazza che doveva crescere, essere abitato, essere arredato con il contributo di tutti, in particolare delle associazioni aderenti, che fin dall'inizio divennero quasi trenta.
Una rete, ma non solo, anche qualche cos'altro... una sorta di ambito nel quale i diversi soggetti aderenti si sentissero a casa loro, nello sforzo di avere un momento condiviso nel quale tessere i tanti fili della pace.

Non sono passati tanti anni ma credo che sia evidente a tutti che molto di quel sogno si è appannato, quasi cristallizzato in una forma che ridimensiona al ribasso quello spazio e che, sopratutto, sta diventando troppo terribilmente statica.

Da un lato rileggere l'AAdP in tale ottica non è facile per me, che fin dalla sua progettazione, ho sempre creduto nell'importanza e nella necessità di questa realtà nel nostro territorio, dall'altro, tuttavia, avverto come solo se siamo capaci di rileggere la nostra storia, di ridefinirci di volta in volta, senza attaccamenti a qualche feticcio particolare, possiamo davvero definire modalità e forme  "altre" per costruire un mondo diverso, partendo dai nostri territori locali.

C'è qualcosa che fin dall'inizio ha faticato ad emergere. Non mi riferisco certo allo scemare dell'entusiasmo, che è un processo in qualche modo naturale, o alle esigenze delle diverse appartenenze, ma sopratutto,  al fatto che nessuno dei soggetti aderenti abbia mai sentito compiutamente l'AAdP anche come casa propria, preferendo, fin dall'inizio, delegare al Senato la costruzione dell'AAdP e le scelte strategiche (processo che è sicuramente antitetico ai percorsi di costruzione della pace che si fondano sulle forme partecipative), trasformando, progressivamente, quello che doveva essere uno spazio e un luogo dinamico, in un associazione (senza esserlo).

Non si tratta di trovare semplicemente delle responsabilità, si tratta di interrogarci, alla luce di questo, con sincerità e durezza se ancora riteniamo che abbia un senso questa esperienza e, in caso affermativo, quale "mission", quale ruolo, quale significato riteniamo debba avere, partendo dalla premessa che l'AAdP non è un'associazione.

Se il ruolo dell'AAdP deve essere semplicemente la realizzazione di qualche corso, di qualche evento, del notiziario settimanale, del sito (strumenti ai quali per altro sono particolarmente legato avendoli visti nascere e continuando a spendermici insieme ad altri) penso che sia ben poca cosa, rispetto al progetto iniziale... per tutto ciò è sufficiente fare una nuova associazione, grande o piccola che sia...

Ma non era questa l'Accademia della Pace pensata ed immaginata... non sentivamo allora, e non sento oggi, il bisogno di una nuova associazione.
Non è semplicemente un problema connesso alla partecipazione, alle difficoltà che hanno i momenti associativi, alla mancanza di una sede strutturata... non è quello... rischieremo semplicemente di cercare degli alibi strutturali, quando invece, secondo me, il problema vero è culturale.
Come se fosse difficile pensare ad un luogo destrutturato, che dobbiamo costruire insieme... un luogo nel quale mettere in gioco momenti, percorsi, progetti, idealità condivise.
Questo è quello che è mancato, sopratutto da parte delle associazioni... e di contro non siamo stati capaci di valorizzare le risorse che le singole persone avevano messo a disposizione fin dall'inizio.

Pensiamo al notiziario e al sito... quante volte abbiamo detto che quello era "un servizio" messo a disposizione.
Se proviamo a rileggere i contributi di contenuti provenienti, ad esempio, solo dalle Associazioni Fondatrici ne troveremo ben pochi, credo che bastino le dita di una mano, mentre sono arrivati tanti e molti contributi da fuori, da lontano dall'estero...

Un anno fa la Tavola delle Associazioni dell'AAdP, su proposta di Punto Rosso, approvò l'idea di fare una "Biennale della pace", partendo dal 2010, cercando di metterla in sinergia con due eventi importanti che si svolgono nel nostro territorio: il "Forum della Solidarietà" di Lucca, promosso dalla Scuola per la Pace della Provincia di Lucca, e il "Festival Sottosopra", promosso dalla Provincia di Massa Carrara (Forum per la cooperazione e la solidarietà).
A questa idea come Senato abbiamo lavorato, abbiamo proposto ipotesi di lavoro, abbiamo fatto riunioni poco partecipate con le associazioni... ma non è arrivato nessun input dal mondo associativo... a questo punto credo che sia bene accantonare il progetto, pensando magari a dare un contributo sulle tematiche della pace e della nonviolenza all'interno del "Festival Sottosopra".

In gioco non ci sono le cose da fare o fatte, la questione è il metodo con le quale costruire le cose, questo era la "mission" dell'AAdP, su questo terreno avverto i limiti e la pochezza fatta.
In questi anni davvero sono ben consapevole che siamo riusciti a fare cose importanti e significative: i corsi "so-stare nel conflitto" e sulla "gestione dei conflitti", i vari momenti formativi, il giornalino "fare pace" da lasciare i giro nei luoghi pubblici, la partecipazione a Castelli di Pace, il ciclo di eventi alla "scoperta della violenza"... il notiziario settimanale, il sito... il tentativo di fare un coordinamento delle realtà che lavorano nell'ambito della pace e della non violenza dell'area di costa.
Il problema però è che tutte le proposte messe in campo sono nate sempre all'interno del Senato,  poi proposte alle Associazioni, perdendo di vista il fatto che oltre al contenuto e allo sforzo organizzativo di queste, al loro interno c'era una valenza metodologica che non è mai stata colta.
Su questo aspetto metodologico, che è sostanza quando si parla di pace e di nonviolenza, avverto i limiti... anzi, scusate la durezza, ma il fallimento.
Ma non è un fallimento di un gruppo dirigente, è un fallimento di un territorio, una sconfitta culturale...

Il problema è da un lato comprenderne i motivi, ma anche fare uno sforzo per ripensare l'Accademia Apuana della Pace, comprendere quale nuovo ruolo possa svolgere, se riteniamo che ne possa avere uno.
Può essere che l'obiettivo che ci siamo dati nel momento fondativo fosse troppo altro per le nostre forze, oppure forse la costituzione dell'AAdP per molti soggetti è stato semplicemente un fatto formale (magari in un momento di crisi internazionale), senza particolari caratteri innovati nel metodo e nella sostanza, oppure non siamo stati capaci di rendere comprensiva la "mission" che ci eravamo date...
Tante possono essere le motivazioni, che si intrecciano tra di loro, tuttavia credo che sia giunto il momento di essere estremamente chiari, per nulla formali, anche nella durezza del confronto, esplicitando completamente le critiche, le attese, le disattese... disposti, anche, a rivedere il manifesto fondativo dell'AAdP, per far si che sia davvero un servizio al territorio e non semplicemente una realtà statica.

Da parte mia sono ancora fortemente convinto che l'AAdP abbia un senso, così come avrebbe un senso stabilire reti efficaci tra le diverse associazioni, anche se penso che dovremmo recuperare semplicemente un ruolo di servizio nell'ambito della formazione e dell'informazione, cercando di favorire le reti, ma non concependo la costituzione di questa come obiettivo del lavoro.
Mettendoci a servizio del territorio per realizzare percorsi di formazione e informazione, nella consapevolezza delle nostre forze modeste.
In questo percorso ha senso stare dentro a tutti quei processi partecipativi che nascono, quelle reti che sono sorte accanto a noi, credo anche, indirettamente, grazie anche a certi linguaggi e metodologie che abbiamo tentato di mettere in campo in questi anni, senza timore di contaminazione, senza timore di essere accanto anche a quei soggetti che non sono proprio sulla nostra stessa lunghezza d'onda.

Pace e nonviolenza hanno bisogno di stare nelle contraddizioni, permeando e lasciandosi permeare.
Sicuramente vi confesso che mi darebbe un fastidio tremendo pensare che solo dinanzi ad un conflitto esplicito e forte, ad una nuova guerra, l'AAdP si dovesse rivitalizzare... questa sarebbe la sua fine davvero, perché vuol dire che non siamo capaci di coglier ei tanti conflitti, le contraddizioni (sociali, economiche, ambientali, culturali, militari, energetiche...) nelle quali siamo immersi.

Avviare un percorso, accompagnati dal dubbio interiore, più che da facili soluzioni, cercando di scavare nei limiti e nelle contraddizioni, per farle emergere e, al tempo stesso, per superarle.

Sperando di riuscire nell'intento di avviare un confronto con quanti interessati, anche con quei soggetti lontani, che magari ricevono semplicemente il nostro notiziario, ma che con un loro contributo di idee, di esperienze, possono darci indicazioni, suggerimenti, farci cogliere magari un sentiero che ci è sfuggito, ma che ci permette di arrivare ad un punto dove veramente si può ammirare la complessità del creato.

Un abbraccio

Gino Buratti

Massa, 16 gennaio 2010