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Il libro di O' Malley sul Concilio Vaticano II

Uscito in Italia nel febbraio 2010 presso Vita e Pensiero dell'Università Cattolica di Milano, il libro di O' Malley era uscito nel 2008 negli Stati Uniti (The Belknap Press dell'Università di Harvard): ce ne ha già parlato Don Fabrizio Mandreoli nella lettera del mese di marzo. Torniamo a parlarne un po' più estesamente, ora, per la sua importanza e per raccomandarne la lettura diretta e completa ai nostri "festeggianti".  Il "realismo" di questo agile saggio storico e con una sua ermeneutica originale, in sole 348 pagine, racconta sul serio "che cosa è successo nel Vaticano II" (senza punto interrogativo: non è una domanda, ma una sua risposta).
Esso porta tra noi la serietà tranquilla del cattolicesimo democratico americano che propone una visione globale adeguatamente critica non solo del Vaticano II e della sua originale positività, ma anche del genere letterario in cui prende forma, valore e contenuto, lo "spirito del Concilio", con i suoi tre grandi fattori culturali: "aggiornamento", "resourcement" e "sviluppo della dottrina cattolica".
Tanto che, subito dopo una ricca introduzione e un primo capitolo sulle "grandi attese per un grande evento" (complessive più di 50 pagine), vi è un capitolo secondo (altre 40 pagine) che si occupa del "lungo XIX secolo", cioè dei "papati sotto assedio" di Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, Pio X, e Pio XI, fino alla vigilia del Vaticano II, con fatiche e ambiguità degli anni di Pio XII, segnati dalla seconda Guerra mondiale e successiva "guerra fredda".
Il libro racconta il Concilio dopo questo lungo preambolo "storico", ricco di una sua qualificazione teologica, espressiva con grande naturalezza della cultura americana, laica, giovanile, profondamente multiculturale. Ci colpisce che in essa vi siano cattolici molto autorevoli per nulla timorosi di criticare encicliche e figure pontificie del "Lungo Secolo Difensivista", già percepito come ultimo e senza futuro.
I principi fondativi di questa sua cultura, O' Malley li ricava da un compagno gesuita più anziano,  John Courtney Murray (1904-1967), il maggior esperto statunitense delle relazioni Chiesa-Stato, cui nel 1955 fu proibito di insegnare su questo suo argomento, ma nel 1963 fu nominato  peritus conciliare e molto influì sulla stesura della "Dignitatis humanae", uno dei fiori coltivati da Bea e dal suo Segretariato, ma fortemente osteggiato dalla minoranza tradizionalista romana, tanto che i Padri riuscirono ad approvare questa dichiarazione solo nell'ultimo voto, il 7 dicembre del 1965, alla vigilia della solenne definitiva chiusura conciliare.
Per un caso che mi è parso significativo e istruttivo, ho letto con ammirazione (e un po' di invidia) il tranquillo e concreto testo di O' Malley, lontanissimo da ogni difensivismo di conio cattolico, mentre la cronaca ogni giorno mi portava sotto gli occhi sempre nuovi aspetti della vicenda, accumulando l'esplosiva domanda: "ma che cosa fa la Chiesa cattolica contro i suoi pedofili?", fino all'apax del documento vaticano pubblicato dal New York Times e firmato da Ratzinger capo della Congregazione della fede. La cultura del gesuita, storico importante delle prime generazioni della Compagnia e degli anni tra Rinascimento e Illuminismo, negli ultimi vent'anni dedicatosi a studi originali sul Vaticano II, in ogni pagina del libro intrecciava la sua naturale distanza dal "difensivismo" ecclesiastico con la preferenza per le motivazioni positive e ottimistiche, nutrite di eticità e razionalità così comuni nel popolo americano e nel suo pragmatismo: in questo caso, naturalmente di livello universitario e convintamente espresso da un membro "Societate Jesus". Altre letture e qualche contatto personale con docenti di università tenute dai gesuiti in America, o con insegnanti di materie del tutto laiche in India e Cina, e da ultimo anche l'impegno delle suore americane a favore della politica sanitaria di Obama, mi hanno convinto che nella società civile americana una componente cattolica di qualità democratica molto alta è presente con radici invidiabili, più rare in Europa e assai più prudenti in Italia. E mi spiace ancor più il gran parlare di "complotti" anticattolici, quando basterebbe un po' di spirito critico, per tacere di un po' di animo evangelico, per vedere tutta l'ingiustizia di non contrastare i reati squallidi compiuti da sacerdoti pedofili nei confronti di minori in qualche modo loro affidati.       
O' Malley ci introduce nel racconto conciliare con un capitolo intitolato "Il Concilio si apre", con tre paragrafi dedicati ai "giorni di apertura", "i due papi" e a "personalità e schieramenti"; cui fanno seguito i quattro capitoli dedicati ciascuno a un periodo: il primo, 1962, "Si tracciano i confini" ("la discussione sulla liturgia", "la svolta sulle Fonti della Rivelazione", "la fine del primo periodo"); il secondo, 1963, "Si afferma una maggioranza" ("una morte, un conclave, un nuovo Papa"; "sostanza, procedura, crisi"; "il Concilio passa oltre"; "ecumenismo, aggiornamento e un annuncio a sorpresa"); il terzo, 1964, "Trionfi e tribolazioni" ("la Chiesa e i vescovi", "la libertà religiosa e gli ebrei", "il lavoro va avanti", "Paolo VI e gli ultimi tormentati giorni"); il quarto, 1965, "Condurre la nave in porto" ("un inizio nervoso"; "la guerra, la pace, le Nazioni Unite"; "Missioni, educazione, presbiteri e religioni non cristiane"; "le ultime settimane").
Molto importanti e forti le 23 pagine di conclusione del libro che ripropongono i criteri ermeneutici impostati nell'introduzione e raccontano lo svolgersi del grande confronto tra conservatori e progressisti durante i quattro anni di durata del Concilio, facendo emergere i sedici documenti conclusivi del Vaticano II come il risultato di una sostanziale correzione degli originari settanta redatti nella fase preparatoria.
Una realtà sorprendente, se si pensa che all'apertura del Concilio, nessuno sapeva che cosa aspettarsi. I conservatori Curiali che in definitiva molto lavoreranno per controllarlo e impostarlo in senso tradizionalista, all'inizio pensavano di dover tenere in mano andamento e conclusioni del Concilio, di poterlo fare, sperando di riuscire nell'impresa. Erano conformi, peraltro, a una non breve tradizione romana, in difesa della quale disponevano di grandi poteri  e di consolidate abitudini di una periferia devota e sottomessa al centro.
Ma il cambiamento che il Concilio vide prodursi nei rapporti tra centro e periferia è una delle cose che sono avvenute nel Concilio. I non molti vescovi che avevano detto qualcosa di originale e nuovo nella consultazione tra il 59 e il 60, sapevano (e avevano visto) che la resistenza tradizionalista aveva condotto le cose in modo da portare gli schemi a ripetere scolasticamente quanto da decenni si insegnava nei seminari, a ricordare condanne e frenate realizzate dal Magistero dell'ultimo secolo, per cui dottrina e teologia di un tomismo molto irrigidito prevalevano su attenzione pastorale e sensibilità culturale aggiornata. Contemporaneamente si bloccava ogni ritorno a un passato più antico, rappresentato dalla patristica che aveva preceduto per quasi mille anni la successiva scolastica, e i progressisti temevano che il "grigio" prevalesse e prevalessero linguaggio e disposizioni del diritto. Temevano molto, e in pochi speravano qualcosa.
E invece, nell'incontro generale avvenuto nell'ottobre 1962, cominciò a imporsi una vivacità di padri capaci di giudicare e proporre votazioni audaci. Papa Roncalli mantenne la libertà di voto e giudizio dei padri e un certo sviluppo dottrinario cominciò a rivelarsi possibile. Se questa dinamica pastorale era un aggiornamento modernizzante, contemporaneamente era anche un risalire più indietro, verso un'antichità più antica di tanta parte della tradizione fissata nei manuali in uso nei seminari e nelle disposizioni del diritto canonico.
O'Malley riassume e fissa le novità essenziali prodotte dal lavoro conciliare e con finezza convincente mostra come il linguaggio stesso del Concilio si differenzi da tutti i precedenti Concili perché dà unità alle materie esposte nei sedici documenti promulgati, facendo che lo spirito del Concilio, come si era percepito nei lavori dell'Aula di san Pietro, si ritrovasse nell'unità e nell'essenzialità dei testi votati. Con questo il Vaticano II ha mostrato possibile accelerare e allargare la vita interna della Chiesa e protenderla più vivace e attraente all'esterno, per cui identità e cambiamento si sono visti insieme e questo, che si può anche dire "lo spirito del Concilio", costituisce la realtà fattuale di ciò che "è avvenuto nel Concilio".
Aggiornamento, sviluppo dottrinale, ressourcement: sono i tre problemi-al-fondo-dei-problemi con i quali il Concilio si confrontò, spesso inconsapevolmente. Grande è la finezza storica e la precisione  terminologica dei tre problemi-al-fondo-dei-problemi che O'Malley (sulle orme di altri studiosi americani, come ad esempio il citato Murray) individua nel rapporto centro-periferia, nello sviluppo della dottrina e quindi in un tipo di cambiamento che non fa saltare l'identità cattolica ma la migliora, in sé e nel rapporto con le situazioni culturali esistenti.
Perché la vita della Chiesa sia sana è necessario un equilibrio tra obbedienza all'autorità e alla legge da una parte e i doni dello Spirito dall'altra. Per questo la terminologia del Concilio è conquista importantissima tra le cose importanti avvenute nel Concilio, perché il linguaggio in cui si dice una cosa fa parte della cosa stessa.
"Lo stile letterario era l'espressione di superficie di qualcosa che penetra fin in fondo all'anima stessa della Chiesa e di ogni cattolico, qualcosa che era molto più di una tattica o una strategia o della semplice adozione di linguaggio più pastorale: era un evento linguistico, induceva nuovi valori e nuove priorità e in questo senso indicava e induceva anche una conversione interiore che era l'aspetto più profondo del terzo problema-al-fondo-dei-problemi del Vaticano II, con la chiamata alla santità che riguarda tutti.
Di questo libro interessantissimo e incoraggiante, avverto tuttavia un limite, nel suo uso, almeno in Italia. Pur contenendo informazioni sulla fase preparatoria (ma di tipo statistico e ben poco di coscientizzazione cultural-teologica), O'Malley è forse troppo distante, non per polemica ma per estraneità, dalla posizione tradizionalista. Si avverte che essa è tutta alle sue spalle, o meglio della società in cui egli vive: là, quel "presente" tradizionalista è ormai assente e dileguato nella storia che solo si racconta, e quasi non si soffre più. O, se si presenta, è vivo solo in contesti inevitabilmente inclusivi di una grande relativizzazione multiculturalista, in cui in definitiva la polemica non è così importante e attraente come l'esposizioni in positivo dei propri valori. Chi sospende dialogo e confronto pacifico si lascia assorbire, in una società democratica, nella testimonianza che dà in proprio.
La nostra condizione "italiana" è assai diversa, e per amore di tutta intera la Chiesa non possiamo assumere come pienamente adeguato il punto di vista di O'Malley. Anch'esso va relativizzato, anche se naturalmente in modo diverso da come cerchiamo di relativizzare il "tradizionalismo fissista" che è tuttora vispo e influente nel contesto che ci è proprio.
Esso va studiato con una serietà che certo può giovarsi dei racconti sui pontefici del "lungo secolo difensivista", ma senza dimenticare che esistono "luoghi storici e geografici" dove i passati non sono tali, almeno non del tutto, e se siamo interni alla cultura del dialogo e dell'amicizia (e tali noi ci dichiariamo e proviamo ad essere), non possiamo guardarli con una tranquillità che non è nostra. In definitiva, essa non è caritatevole, né prudente: mentre deve esserlo in molte circostanze e direzioni.
Forse la fisionomia storica italiana, con i suoi molti secoli di vita e di opere interne alla grande istituzione ecclesiale, è tenuta a una lealtà che sappia guardare in avanti, senza abbandonare alle proprie spalle, come avversari vinti (o da vincere), troppi che, in ogni caso, dobbiamo considerare con amore, perché la relazione trascendentale che ci deve essere propria ce li fa conoscere come "prossimo", con un volto segnato, ad un tempo, da "ostilità e da inimicizia" cui, per fede e grazia ricevuta, non possiamo contrapporci con una semplicità pericolosamente troppo semplicista, che dobbiamo volere inesistente nel nostro mondo reale e storico.

Fonte: Newsletter ACLI di Cernusco