L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato ieri, 15 marzo, alla quasi unanimità la creazione di un nuovo Consiglio per i diritti umani - per sostituire la controversa Commissione per i diritti umani di Ginevra - con il no degli Stati Uniti, che si sono detti però pronti a collaborare per renderlo «il più forte e il più efficiente possibile».
Centosettanta Paesi hanno votato a favore della risoluzione proposta dal presidente dell'Assemblea, Jan Eliasson; quattro hanno votato contro -oltre agli Usa, Israele, le isole Marshall e Guam che tradizionalmente seguono Washington. Tre si sono astenuti: Bielorussa, Iran e Venezuela. Come ha spiegato Eliasson, il Consiglio si riunirà per la prima volta il 19 giugno a Ginevra, mentre a maggio verranno scelti i 47 Paesi che ne faranno parte.
Il no degli Stati Uniti non è stata una sorpresa, perchè lo aveva preannunciato il segretario di Stato Condoleezza Rice in una conversazione telefonica con Eliasson, garantendo che gli Usa avrebbero finanziato il Consiglio e avrebbero partecipato ai suoi lavori. Come ha spiegato all'Assemblea generale l'ambasciatore americano all'Onu, John Bolton, gli Stati Uniti volevano un Consiglio più forte, con regole di adesione più restrittive, mentre Eliasson - rifiutando di riaprire i negoziati - ha puntato sulla quasi unanimità della comunità internazionale. Washington chiedeva che la maggioranza necessaria per far parte del Consiglio fosse dei due terzi(escludendo così di fatto tutte le dittature) oltre all'espulsione automatica di chi non rispetta i diritti umani e per tali ragioni è finito sotto inchiesta internazionale.
Nei giorni scorsi Bolton aveva ripetutamente minacciato il no Usa al nuovo Consiglio, lasciando anche dubbi su una eventuale partecipazione di Washington ai suoi lavori. L'immagine ripetutamente usata dall'ambasciatore per definire il nuovo Consiglio progettato era quella di «un bruco con il rossetto» (sottinteso è una operazione meramente cosmetica), mentre gli Stati Uniti volevano «una farfalla». In un incontro con la stampa, subito dopo il via libera dell'Assemblea generale, Eliasson ha invece parlato di «momento storico», ricordando che la nascita del Consiglio è frutto di lunghi negoziati durati pressappoco cinque mesi. «Abbiamo lanciato il messaggio che i valori universali sono condivisi da tutti i Paesi membri e che siamo in grado di avviare una riforma interna», ha aggiunto Eliasson, ricordando che il Consiglio rappresenta la seconda tappa significativa della riforma avviata a Palazzo di Vetro, dopo la nascita della ommissione per il mantenimento della pace («Peacebuilding commission»). Di «risoluzione storica»ha parlato anche il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, inviando un messaggio dal Madagascar, dove si trova in missione. Positiva ovviamente, anche la reazione di Louise Arbour, alto commissario Onu per i diritti umani, secondo cui la nascita del Consiglio «costituisce una possibilità storica di migliorare la protezione e la promozione delle libertà fondamentali nel mondo intero». Infine, tra i primi a reagire fuori da Palazzo di Vetro, anche loro in termini positivi, c'è l'ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter (ha parlato «di nuove speranze per i diritti umani nel mondo»), e l'organizzazione Human Rights Watch, per la quale si tratta «di un passo avanti significativo nella protezione delle vittime in tutto il mondo», come ha spiegato il direttore esecutivo Kenneth Roth.
Centosettanta Paesi hanno votato a favore della risoluzione proposta dal presidente dell'Assemblea, Jan Eliasson; quattro hanno votato contro -oltre agli Usa, Israele, le isole Marshall e Guam che tradizionalmente seguono Washington. Tre si sono astenuti: Bielorussa, Iran e Venezuela. Come ha spiegato Eliasson, il Consiglio si riunirà per la prima volta il 19 giugno a Ginevra, mentre a maggio verranno scelti i 47 Paesi che ne faranno parte.
Il no degli Stati Uniti non è stata una sorpresa, perchè lo aveva preannunciato il segretario di Stato Condoleezza Rice in una conversazione telefonica con Eliasson, garantendo che gli Usa avrebbero finanziato il Consiglio e avrebbero partecipato ai suoi lavori. Come ha spiegato all'Assemblea generale l'ambasciatore americano all'Onu, John Bolton, gli Stati Uniti volevano un Consiglio più forte, con regole di adesione più restrittive, mentre Eliasson - rifiutando di riaprire i negoziati - ha puntato sulla quasi unanimità della comunità internazionale. Washington chiedeva che la maggioranza necessaria per far parte del Consiglio fosse dei due terzi(escludendo così di fatto tutte le dittature) oltre all'espulsione automatica di chi non rispetta i diritti umani e per tali ragioni è finito sotto inchiesta internazionale.
Nei giorni scorsi Bolton aveva ripetutamente minacciato il no Usa al nuovo Consiglio, lasciando anche dubbi su una eventuale partecipazione di Washington ai suoi lavori. L'immagine ripetutamente usata dall'ambasciatore per definire il nuovo Consiglio progettato era quella di «un bruco con il rossetto» (sottinteso è una operazione meramente cosmetica), mentre gli Stati Uniti volevano «una farfalla». In un incontro con la stampa, subito dopo il via libera dell'Assemblea generale, Eliasson ha invece parlato di «momento storico», ricordando che la nascita del Consiglio è frutto di lunghi negoziati durati pressappoco cinque mesi. «Abbiamo lanciato il messaggio che i valori universali sono condivisi da tutti i Paesi membri e che siamo in grado di avviare una riforma interna», ha aggiunto Eliasson, ricordando che il Consiglio rappresenta la seconda tappa significativa della riforma avviata a Palazzo di Vetro, dopo la nascita della ommissione per il mantenimento della pace («Peacebuilding commission»). Di «risoluzione storica»ha parlato anche il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, inviando un messaggio dal Madagascar, dove si trova in missione. Positiva ovviamente, anche la reazione di Louise Arbour, alto commissario Onu per i diritti umani, secondo cui la nascita del Consiglio «costituisce una possibilità storica di migliorare la protezione e la promozione delle libertà fondamentali nel mondo intero». Infine, tra i primi a reagire fuori da Palazzo di Vetro, anche loro in termini positivi, c'è l'ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter (ha parlato «di nuove speranze per i diritti umani nel mondo»), e l'organizzazione Human Rights Watch, per la quale si tratta «di un passo avanti significativo nella protezione delle vittime in tutto il mondo», come ha spiegato il direttore esecutivo Kenneth Roth.