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24 marzo, o della memoria (Giulio Vittorganeli)

Tratto da “La nonviolenza è in cammino” - Numero 1247 del 27 marzo 2006

Esiste un rapporto ineludibile tra storia, memoria e soggettività,.
Eppure il rapporto con il passato, in termini di conoscenza critica, è sempre più labile e flebile. Non solo assistiamo ad una sorta di cancellazione o di rimozione di avvenimenti passati che pure hanno fatto "la storia"; ma è profondamente messa in crisi la memoria pubblica, la memoria condivisa di quello che è stato, che dovrebbe affiorare nel rapporto esplicito con il passato, con la storia.
Prendiamo una data come il 24 marzo. Da noi ricorda l'eccidio nazista delle Fosse Ardeatine; in Argentina il golpe militare del 1976; in Salvador l'assassinio di Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, "San Romero de America", del 1980.

Ora, se è vero che negazionismo e revisionismo non sono sorti in Italia, è vero che da noi hanno avuto facile successo basandosi sulla assurda pretesa di equiparare fascisti e repubblichini ai partigiani. Chi ha combattuto contro Auschwitz e chi ha combattuto per un mondo di Auschwitz.
Così si è arrivati alla proposta di legge che voleva mettere torturatori e vittime sullo stesso piano di "ex combattenti".
Alla fine, la nostra memoria si è inabissata senza alcun legame di continuità ed è stata sostituita da luoghi comuni tanto più fortemente asseriti quanto più sono artificiosi e infondati: "Pare davvero che attraverso l'abuso di storia leggendaria il senso comune degli italiani sia riuscito a sbarazzarsi della storia reale" (Gianpasquale Santomassimo).

Qualcosa si è saputo, anche in Italia, di quello che è avvenuto in Argentina per il trentesimo anniversario del colpo di stato militare, con i suoi trentamila desaparecidos. La maggioranza degli argentini si è unita nel ricordo e nella lotta contro il terrorismo di stato e l'impunità,. Per gli smemorati dobbiamo ricordare che grazie alla repressione selvaggia si potè instaurare senza ostacoli il modello neoliberista, rimasto intatto per oltre 20 anni e che porto' al collasso del 2001.

Quanto al Centroamerica (considerato da sempre dagli Usa il "cortile di casa"), è stato durante tutti gli anni Ottanta uno scenario di spaventose atrocità,. Gli Stati Uniti hanno lasciato quei paesi completamente devastati, forse oltre ogni possibilità di recupero, seminandoli di montagne di cadaveri, torturati e mutilati. Le guerre terroristiche patrocinate e organizzate da Washington furono dirette anche contro la Chiesa che aveva osato assumere l'opzione preferenziale per i poveri e percio' doveva ricevere la lezione che meritava tale disobbedienza.
Difficilmente sorprende che quello spaventoso decennio cominciasse con l'assassinio di un vescovo, monsignor Romero, in Salvador (si veda il bel libro scritto da Ettore Masina nelle Edizioni Gruppo Abele di Torino) e terminasse con la morte - sempre in Salvador - di sei grandi intellettuali gesuiti (rimandiamo al libro pubblicato dalla Piccola Editrice di Celleno), tutti liquidati da forze armate addestrate dagli Stati Uniti.
E che dire del Guatemala? L'esercito di quel paese ha commesso un delitto che si avvicina al genocidio. Molti ricorderanno la pubblicazione (anche in italiano) di "Guatemala, Nunca Mas", il rapporto per il recupero della memoria storica che denuncia 55.000 violazioni dei diritti umani attribuite per l'80% all'esercito, la cui pubblicazione è costata la vita al vescovo guatemalteco Gerardi, assassinato il 26 aprile del 1998.
Quelle forze armate, addestrate da Washington, hanno devastato il Centroamerica distruggendo e accumulando una orribile fama includendo l'aggressione e il terrore che la Corte Internazionale dell'Aja (1986) dovette condannare (per l'aggressione al Nicaragua), con una sentenza che gli Usa e la intellettualità (anche europea) ignorarono tra l'irritazione e il disprezzo e un'alzata di spalle. La stessa fine fecero i richiami alla osservanza del diritto internazionale fatti dal Consiglio di Sicurezza e dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite; richiami sui quali oramai neanche si informa.

Ecco perché,, se avessimo una memoria condivisa e non fossilizzata (nella migliore delle ipotesi), dovremmo tornare a chiederci chi erano i responsabili di questi crimini, nel 1976 o nel 1980, e chi sono oggi.
Ha scritto Luca Pandolfi (antropologo, dell'Associazione Solidarietà con l'America Latina): "Loro sono le forze, non misteriose, ma concrete, di un potere economico e politico che vede nei privilegi di pochi l'unica strada possibile per la storia del mondo. Sono le forze dei capitali esteri e delle mafie internazionali che investono nell'estrazione mineraria dall'impatto ambientale e sociale devastante, nel controllo dei beni comuni, nello sfruttamento della manodopera a bassissimo costo, nella gestione dei flussi migratori clandestini".