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E' difficile trovare altri momenti nella storia del dopoguerra in cui, durante un conflitto, non ci fossero sedi in cui tentare almeno un negoziato di pace che si apra con una tregua.

Nel giro di poche settimane sono spariti tutti gli spazi possibili, cancellati dalla sempre più consolidata certezza che la guerra in Ucraina non possa terminare senza una decisa sconfitta di uno dei contendenti. Non hanno più voce in capitolo le Nazioni Unite, paralizzate dai veti in Consiglio di sicurezza, non ha più alcun ruolo di mediazione l'Unione europea che di fatto si è qualificata come soggetto cobelligerante a fianco dell'Ucraina, non intende, e neppure potrebbe agire la Cina, per la sua sostanziale vicinanza alla Russia e la Santa Sede è stata di fatto messa nell'impossibilità di mediare dalla freddezza dell'Ucraina e dalla posizione filoputiniana della Chiesa ortodossa.

Mentre scrivo, ricordo l'angoscia che mi assalì quando ci fu la crisi dei missili di Cuba del 1962. Ero ricoverato a New York, in ospedale, e il mio amico Stanley Plastrick mi aggiornava quotidianamente, dicendomi giorno dopo giorno che New York rischiava di essere rasa al suolo da una bomba atomica. Poi si arrivò a un compromesso e Krusciov ritirò i missili. Oggi, in modo diverso, vedo che siamo prossimi all'orlo del precipizio e nell'incertezza più completa circa il domani.