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Verso la marcia della pace Perugia-Assisi "per la pace e la fratellanza dei popoli". Contributi di Anna Bravo, Sergio Paronetto ed Enrico Peyretti

In vista del cinquantesimo della marcia della pace Perugia - Assisi, che si terrà il prossimo 25 settembre, condividiamo alcune delle interviste che il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo ha pubblicato sui notiziari quotidiani.

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale è stato il significato della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?

  • Anna Bravo: È stato il "si può". Si può guardarsi, confrontarsi, rendersi amici agli altri. Ci si può mischiare. Credo però che in varie occasioni ci sia stato uno sbilanciamento, la tendenza a mettere in secondo piano alcune lotte nei paesi oggi ex-sovietici, a Cuba, in Cina; l'impressione che mi è rimasta è quella. Era l'atmosfera degli anni cinquanta/settanta, e anche oltre. Ma la marcia restava uno dei pochissimi momenti in cui si poteva parlare di giustizia disgiuntamente dalla violenza che molti ritenevano necessaria per raggiungerla, di tempo lunghi, di pazienza.

  • Sergio Paronetto: Tenere accesa una luce, risvegliare persone e gruppi, costruire relazioni, dare visibilità ai "laboratori della pace".

  • Enrico Peyretti: Non sempre è stato ugualmente chiaro. Qualche volta, se non sbaglio, ha rappresentato un pacifismo generico (e, da parte di alcuni politici, contraddittorio) più che la nonviolenza attiva. Ma il richiamo a Capitini ha significato un filo di continuita nella ricerca più genuina di nonviolenza positiva.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Cosa caratterizzerà maggiormente la marcia che si terrà il 25 settembre di quest'anno?

  • Anna Bravo: Credo la novità rappresentata dalle "rivoluzioni" del nord Africa, che hanno offerto molta speranza, ma anche ammonito sulle difficoltà. E le lotte no tav, in cui si è riproposta la divisione fra violenti, chiamati "radicali", e "pacifici". Perciò mi piacerebbe che nella preparazione si lavorasse anche e ancora sul linguaggio, vale a dire sugli assetti mentali. Quando sento usare la parole "radicale" per indicare le componenti estremiste/violente dei movimenti, lo trovo una stortura; la radicalità sta nel coraggio di negoziare, mediare, "pesare" le parole, anche a rischio di essere chiamati traditori dai propri compagni e affini - lo ha scritto Alex Langer. La violenza è la via facile, è la regressione, è, per così dire, il "ritorno all'apparenza", e l'apparenza è fatta di semplificazioni, slogan, a volte di notizie non verificate, di false e comode analogie; per esempio, l'Italia di oggi non è fascista, è brutta abbastanza anche senza avventurarsi in assimilazioni che servono solo a attizzare il fuoco e a risparmiarsi la fatica di pensare. Mi piacerebbe anche che fra noi si discutesse più laicamente sulla Costituzione, che sul tema guerra/pace è meno univoca di quanto pensiamo, basta guardare gli articoli 60, 78, 103, 111, sulla dichiarazione di guerra, i tribunali di guerra e così via. Ci sarebbe tanto da discutere in termini critici e solidali.

  • Sergio Paronetto: Ne abbiamo parlato al convegno di Bolzano di metà giugno, promosso dal Movimento Nonviolento, da Pax Christi e dagli enti locali altoatesini: la nonviolenza, la fraternità e, quindi, necessariamente, la fine degli interventi in Afghanistan e in Libia, la democrazia e la convivenza civile.

  • Enrico Peyretti: A prima vista, la ricorrenza del cinquantesimo anniversario. Poi, mi sembra, una convergenza sperabile di vari filoni del movimento per la pace, appunto sulla positività della nonviolenza, che è oltre il pacifismo. Questo rifiuta la violenza fisica, diretta, la guerra. La nonviolenza vede e si oppone alla violenza strutturale e alla violenza culturale, che causano e giustificano la guerra.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Qual'è lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia?

  • Anna Bravo: Non so rispondere. Vedo che di nonviolenza si parla molto, ma vedo anche che spesso la si identifica con il no alle guerre e alle armi. È troppo poco. Mi sembra che non riesca a passare abbastanza il significato ideale, spirituale (e necessariamente quotidiano) della nonviolenza.

  • Sergio Paronetto: Esistono tante piccole belle realtà e tante generose iniziative poco conosciute. Il limite cronico è la dispersione delle attività, la mancanza di un coordinamento agile centrato su agibili priorità. Avverto con tormento che l'azione degli operatori di pace deve rinnovarsi e reinventarsi. Che occorre evitare un linguaggio a volte cupo-aggressivo o un gergo iniziatico. Che è necessario essere meno dottrinari e più esistenziali. Meno lamentosi e più fiduciosi. Meno noiosi e più gioiosi. Meno disperati e più motivati. Meno autoreferenziali e più relazionali.

  • Enrico Peyretti: Oh, la risposta è difficile. La prima qualità di un movimento di cultura e di etica come il nostro è la continuità, la costanza, la tenacia. Queste cose ci sono. Un filo continuo c'è. Più del risultato rapido conta la fecondità. C'è progresso, approfondimento, maggiore azione, risultati? Forse sì. Ma si rischia l'ottimismo o il pessimismo. Forse, anche nell'opinione media corrente, la nonviolenza appare meno utopia fuori dal mondo, e sempre un po' di più un metodo costruttivo di resistenza, di lotta, di riforma profonda, di umanizzazione. La parola "nonviolenza" rischia persino, a momenti (come ambiente, ecologia, verde), di venire consumata e indebolita dall'abuso meno attento.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale ruolo può svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e gli altri mobimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia?

  • Anna Bravo: Il ruolo importantissimo di chi ricorda agli altri la verità, come faceva Capitini, di chi prende posizione sia sulle violenze nel mondo, sia sul seme di violenza che è in tanti di noi (me compresa), sugli usi strumentali della nonviolenza e sui falsi nonviolenti. Lo sta già facendo, ma è un lavoro eterno! E poi saper mostrar la desiderabilità della nonviolenza. Dovremmo anche riflettere e far riflettere sulle pratiche di character assassination oggi in voga su molte figure della nonviolenza, da Gandhi a King. Lo si fa anche nei confronti di leader storici tradizionali, ma mi sembra che con i nonviolenti lo si faccia con particolare voluttà. Perché fanno paura.

  • Sergio Paronetto: Quello di minoranza critica per analizzare, valutare, stimolare e agire per il disarmo. Quello di iniziativa civile-politica come movimento della società civile amica della pace (non come singole candidature sparse nelle liste di piccoli gruppi partitici).

  • Enrico Peyretti: Non è l'unica organizzazione, grazie a Dio e a molti, ma, a mio modo di vedere, ha un compito speciale: non certo di dirigere, ma di promuovere un coordinamento paritario tra i diversi rami del più ampio movimento, in una Federazione Nonviolenta Italiana (o simile dizione) che agisca con maggiore presenza e incidenza nella cultura, informazione e politica italiana.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quali i fatti più significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?

  • Anna Bravo: La presenza delle donne italiane in piazza e soprattutto nell'opinione comune. I movimenti del nord Africa, le dimissioni del Dalai Lama da leader politico del Tibet in nome della democrazia e della necessità di non condurre lotte violente; il fatto deprimente che ancora una volta il mondo interviene solo dopo che il sangue è stato versato, e interviene malissimo - la guerra dall'alto è la forma più bieca di intervento. Come in Libia.

  • Sergio Paronetto: In ambito internazionale: la resistenza birmana; molte (sconosciute) iniziative antinucleari negli Usa; i movimenti giovanili in Tunisia, Egitto e Siria (innovatori anche se fragilissimi, prevalentemente rivolti alla fase "negativa" di abbattimento); le iniziative nonviolente in Palestina-Israele e il sussulto giovanile palestinese non solo contro il governo israeliano ma anche contro i loro "padri" da Al Fatah ad Hamas (in tale ambito i tentativi di Freedom Flotilla con Arrigoni, le campagne di solidarietà, "Ponti e non muri", le donne in nero); le attività di molte donne africane meritevoli del prossimo Nobel per la pace; la Convocazione ecumenica internazionale di Kingston (maggio); la risposta civile dei norvegesi dopo il recente massacro.

    In Italia: per me il vero concreto movimento nonviolento italiano è quello legato a "Libera" e alle comunità di resistenza e di liberazione antimafia. Devo poi citare: i comuni meridionali, in particolare calabresi, disposti ad ospitare profughi e migranti; le associazioni in lotta costruttiva contro i neorazzismi dilaganti (tra esse quelle diocesane milanesi a favore del dialogo e della convivenza civile); le donne di "Se non ora quando"; i referendum del giugno scorso con l'attenzione ai beni comuni; le lotte in Val di Susa, anche se, per vari motivi, appare debole la voce dei promotori che non devono mai stancarsi di dichiarare che chi usa violenza non è mai alleato ma avversario del movimento (i guerriglieri incappucciati con sassi, bastoni e bulloni sono imitatori e replicanti delle violenze dei potenti, a volte provocatori da loro stessi incoraggiati).

  • Enrico Peyretti: Certamente, ha colpito molti la consistente qualità nonviolenta delle rivoluzioni arabe più significative. Gli sviluppi non sono sempre garantiti, ma le forme forti e disarmate delle riscosse popolari, in culture facilmente giudicate violente, hanno certamente indotto a ripensare quel giudizio sbrigativo e a considerare le possibilità effettive della liberazione dalla violenza senza violenza. Al contrario di ciò, vediamo che un movimento con ragioni serie (p. es. il No-tav) viene squalificato agli occhi dell'opinione comune da atti violenti del tutto minoritari, che occultano sui media le manifestazioni valide. Ciò dimostra che la violenza non guadagna credibilità, come potrebbe l'azione nonviolenta difesa con cura da simili inquinamenti. La violenza è diventata la caratteristica dei pensieri negativi, fanatici, omicidi (dal terrorismo islamista all'estremo ultraoccidentalismo esterofobico di Breivik a Oslo). Il mito della violenza rivoluzionaria risolutiva, che fu del '900, forse è tramontato.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi?

  • Anna Bravo: Sulla Libia, per mettere fine alla guerra. Sul rispetto delle persone, vale a dire sui rapprto fra generi, generazioni, ceti; sul lavoro, le condizioni di vita, la libertà di espressione.

  • Sergio Paronetto:

    1. Attenzione alla dimensione politica della nonviolenza sia in ambito internazionale con la riforma dell'Onu, l'attuazione della sua Carta, la nascita di una polizia internazionale, una vera cooperazione internazionale, la cura particolare del Centro e del Corno d'Africa, sia in ambito locale con la Difesa nonviolenta, i corpi civili di pace, il servizio civile.

    2. Disarmo e riconversione della produzione dei sistemi d'arma. Controllo del commercio delle armi.

    3. Costruzione di città amiche con iniziative interculturali, ecumeniche e interreligiose.

  • Enrico Peyretti: Mi pare che la violenza si annidi soprattutto sia nelle strutture e pratiche economiche speculatrici e divoratrici della vita dei popoli più poveri e deboli, sia nelle ideologie della superiorità nazionale, o razziale, o di genere, o miseramente paesana. In queste ideologie è la radice di ogni dolore causato. La nonviolenza deve essere umanesimo alternativo ai vari settorialismi nell'unica umanità, e alla concezione capitalistica dell'economia, della produzione, del lavoro.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Se una persona del tutto ignara le chiedesse "Che cos'è la nonviolenza e come accostarsi ad essa?", cosa le risponderebbe?

  • Anna Bravo: Domanda difficile! Dipende dalla persona. Spesso chi chiede è ancora in parte convinto dell'indispensabilità della violenza, anche se non la approva. In questi casi, prima cerco di mostrare la stupidità e inefficacia della violenza, non è difficile! A volte parto dalle celebrazioni del Centocinquantenario, dalla sfilata che ha visto presenti le truppe, addirittura in divisa coloniale!, dall'eccesso di retorica - questo per far capire che bisogna attrezzarsi per non farsi catturare. Poi suggerisco di leggere qualcosa, ma non la stessa a tutti, cerco di scegliere cose "su misura". Recentemente ho consigliato di leggere il carteggio Bobbio-Peyretti, La banalità del male di Hannah Arendt, l'autobiografia di Mandela, La nonviolenza oggi di Capitini. Tutto di Simone Weil. E le riviste della nonviolenza.

  • Sergio Paronetto: Direi subito, con calma, che nonviolenza è, anzitutto, diventare umani, cercare la felicità. È nuovo sguardo sulla vita. È storia concreta di tante persone, l'esperienza o un insieme di esperienze di tanti testimoni e "martiri" di pace. È movimento di "amicizia liberatrice". È intreccio di pace-giustizia e perdono. Successivamente, potrei citare e spiegare tante espressioni come gestione positiva dei conflitti, progetto politico, cantiere sociale, cittadinanza attiva, cura del bene comune, stile di vita, sobrietà. Completerei, infine, con mistica e contemplazione, spiritualità del creato, teologia della speranza e della liberazione, cristologia.

  • Enrico Peyretti: Non pretenderei di darle anzitutto una definizione, ma la inviterei a conoscere le esperienze e il pensiero dei cercatori di nonviolenza (p. es. partendo dal dvd "Una forza più potente" e dalla bibliografia indicata in ogni numero di "Azione Nonviolenta"). Poi credo che le direi che non consiste solo nel non-fare-violenza, ma nello sviluppare le forze umane e spirituali costruttive, nei conflitti (quelli aperti e quelli da aprire) per la giustizia.


Note biografiche degli intervistati:

Anna Bravo: Anna Bravo è stata professore associato di Storia sociale all'Università di Torino e ha lasciato l'insegnamento anticipatamente. Vive e lavora a Torino. Si è occupata di resistenza armata e non armata, deportazione, genocidio, e di movimenti sociali. Collabora a varie riviste, fra cui "Lo straniero" e "La nonviolenza è in cammino". Attualmente sta lavorando sulla nonviolenza.

Sergio Paronetto: Vicepresidente nazionale di Pax Christi. Collabora con la rivista mensile "Mosaico di pace" e con il trimestrale "Note mazziane" dove cura interventi su volti di pace, sulla nonviolenza, sulla convivialità. A volte anche con l'"Annuario geopolitica della pace" della Fondazione Venezia per la ricerca della pace.

Enrico Peyretti: È uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; è stato presidente centrale dal 1959 al 1961 della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana); ha insegnato nei licei Storia e Filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; è ricercatore per la pace nonviolenta nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); è membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi; è socio del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione.