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Riflessioni sulla nonviolenza: parliamone con Andrea Cozzo Antonino Drago Paola Mancinelli

Raggruppandole, come se fosse una tavola rotonda, pubblichiamo queste interviste sulla nonviolenza fatte singolarmente da Marco Ambrosini e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro", a Andrea Cozzo Antonino Drago Paola Mancinelli.

Marco Ambrosini e Marco Graziotti: Nella storia del Novecento la nonviolenza ha caratterizzato importanti esperienze, dalle lotte condotte da Gandhi dapprima in Sudafrica e successivamente in India, alle esperienze di resistenza nonviolenta contro il nazifascismo, alle lotte di Martin Luther King contro il razzismo, fino alla lotta di Aung San Suu Kyi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza alla storia degli ultimi cento anni?

  • Andrea Cozzo: Le lotte nonviolente per la costruzione di forme costituzionali più aperte alla partecipazione popolare o anche semplicemente per la nascita di una vita politica non segnata da violenze, nel Novecento come nel resto della storia, sono state molteplici e di forma diversa. Oltre a quelle già ricordate nella domanda, si possono menzionare altri esempi (e si badi che sono solo "alcuni" esempi): quelle denominate "people power" nelle Filippine, quelle basate sulla mediazione della Comunità di S. Egidio nel Mozambico, e le "rivoluzioni colorate" avvenute in Serbia, in Georgia, in Ucraina, ecc. Non sembra essere la storia a mancare di pratiche nonviolente per il cambiamento quanto piuttosto la storiografia: ciò che intendo dire è che paradossalmente siamo arretrati sul piano culturale, più che su quello pratico - anche se, naturalmente, questa arretratezza culturale influisce poi sulla pratica stessa limitandola, perché ogni volta è come se la nonviolenza dovesse essere riscoperta empiricamente anzichè applicata per così dire sistematicamente sulla base di esempi conosciuti.

  • Antonino Drago: Per me valgono le parole di Lanza del Vasto: Due sono le scopere del XX secolo: la Bomba e la nonviolenza. I Quattro Flagelli (1959), Sei, Torino 1996. Inoltre ho pubblicato un libro: Le rivoluzioni nonviolente del XX secolo, I fatti e le intepretazioni, Nuova Cultura, Roma 2010. Basta riprendere le parole della quarta di copertina.

  • Paola Mancinelli: Io credo che la nonviolenza abbia contributo a delineare un nuovo paradigma di teoresi e di prassi, invitandoci ad una riserva critica da esercitare anche nell'ambito del nostro linguaggio Direi si tratti dell'inizio di una nuova grammatica e di un nuovo lessico della vita comune.

Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si è intrecciata con varie tradizioni del pensiero politico, ha apportato contributi fondamentali, ed ha costituito e costituisce una delle esperienze maggiori della filosofia politica odierna. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero politico?

  • Andrea Cozzo: Il pensiero e le pratiche di uomini come Aldo Capitini, Danilo Dolci, don Lorenzo Milani, Lanza del Vasto, e, ancor più specificamente, di Giorgio La Pira, si sono alimentati, ed anzi sono stati un tutt'uno con la loro azione politica, ora sociale ora istituzionale. In Europa, almeno dagli anni Ottanta ad oggi il pensiero nonviolento più immediatamente caratterizzato in senso politico, che in Italia ha fatto "scoop mediatico" attraverso alcune azioni di esponenti del Partito Radicale (non sempre, a mio parere, dentro la tradizione nonviolenta), ha trovato un corretto rapporto con o entro il movimento ecologista - col quale condivide effettivamente moltissimo - e, nel nostro Paese, negli ultimi anni ha offerto oggetto di discussione ad un partito, oggi praticamente estinto, quale Rifondazione Comunista. Ma ho l'impressione che, per quanto lentamente, il pensiero nonviolento, pur confuso qualche volta con il semplice pacifismo, si stia finalmente cominciando a diffondere veramente a livello sociale.

  • Antonino Drago: Primo concetto: nonviolenza come doppia negazione che non ha parole affermative equivalenti; quindi principio di metodo; quindi ragionamento in logica non classica; secondo concetto: alternativa al progresso dominante (innanzitutto nella corsa agli armamenti); terzo concetto: i quattro modelli di sviluppo che si ottengono incrociando l'opzione della organizzazione (giustizia-libertà o sinistra-destra) con quella sul progresso (nell'energia: solare-nucleare); quarto concetto: pluralismo dei modelli di sviluppo, per la qual cosa agisce soprattutto quello nonviolento.

  • Paola Mancinelli: La mia risposta qui deve necessariamente articolarsi in due nodi tematici. Il primo riguarda il fatto che tra nonviolenza e polis, intesa come radice della politica, deve esserci una connessione come mostra la dialettica che viene usata sin dall'antica Grecia per articolare la vita politica secondo il paradigma democratico. La dialettica indica la forza della ragione che sa mettere a confronto. In realtà necessitiamo oggi di delineare una nuova etica del discorso e questo è il secondo punto di cui vorrei occuparmi, dato che siamo riusciti a fare violenza sulla realtà persino con il linguaggio, convertiti alla ragione della forza. Quindi direi che la nonviolenza mostra un sentiero tutto da tracciare.

Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si è intrecciata anche con la ricerca e la riflessione sociologica, dando contributi rilevantissimi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero sociologico e alla ricerca sociale?

  • Andrea Cozzo: Da Danilo Dolci ad Alberto L'Abate, a Gene Sharp, a Johan Galtung e a tanti altri, il pensiero sociologico nonviolento sta dando frutti preziosissimi che contribuiranno sempre più nei prossimi anni alla trasformazione culturale e sociale dell'azione politica - politica dal basso, innanzitutto.

  • Antonino Drago: Direi piuttosto antropologica (la sociologia è poco sviluppata ome teoria e, come scienza delle società industrializzate, non si collega con la nonviolenza). Il primo contributo è la rivalorizzazione della comunita'. In questo Lanza del Vasto ha dato un contributo cruciale (I quattro flagelli, cap. 5).

  • Paola Mancinelli: Che dire? La sociologia rivive con la nonviolenza la sua capacità di incidere sulla vita civile, e di dare nuova forza a quelle azioni che nascono come forme di democrazia dal basso e che vogliono abbattere i bastioni che dividono l'umanità e ne lacerano l'unità che fa capo alla dignità di ogni essere umano. La nonviolenza può contribuire ad una sociologia multiculturale.

Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione e le esperienze nonviolente hanno potentemente investito anche l'economia sia come realtà strutturale sia come relativo campo del sapere. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero economico?

  • Andrea Cozzo: Anche in questo ambito, come in quello storiografico (e solo parzialmente in quello sociologico, dove alcune delle personalità richiamate nella risposta precedente operano anche in campo universitario), le istituzioni culturali istituzionali come la scuola e l'università si presentano abbastanza arretrate. Tuttavia, grandi pensatori (come Herman Daly, Ernst Schumacher, Ivan Illich, Muhammad Yunus, Serge Latouche per fare cinque soli nomi, ma si potrebbe continuare con Nanni Salio e diversi altri) hanno immesso nel circuito culturale odierno idee che coniugano ecologia e disarmo, rivalutano il "piccolo" e la "decrescita", rifondano il concetto di "cooperazione", di "artigianale", di "economia del dono", inventano istituzioni come il microcredito e la banca etica, alternative a quelle dominanti. In questo campo siamo ancora all'inizio, ma c'è da sperare bene...

  • Antonino Drago: La prima affermazione è esagerata. L'economia occidentale ha finora dominato permettendo solo la nascita di isole per di più temporanee; per fortuna sta scoppiando per non aver tollerato il modello economico alternativo, quello gandhiano e quello di E. F. Schumacher: Piccolo è bello.

  • Paola Mancinelli: I contributi di Latouche e di Sen offrono una prova tangibile di quanto una pratica di nonviolenza possa modificare ed incidere sul un liberalismo sfrenato e su di un mercato darwinisticamente inteso.

Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La teoria-prassi nonviolenta ha recentemente avuto uno svolgimento importantissimo nel campo del diritto e specificamente del diritto penale, con l'esperienza sudafricana della "Commissione per la verità e la riconciliazione" e con le numerose altre iniziative e successive teorizzazioni che ad essa si sono ispirate. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero giuridico e alla pratica del diritto?

  • Andrea Cozzo: Sia in campo internazionale, sia in campo nazionale, il "diritto mite" (come lo chiama Gustavo Zagrebelsky) va maturando. Socialmente e politicamente - restie sembrano essere soprattutto le lobbies economiche e i loro alleati istituzionali che puntano sulle guerre per l'ampliamento dei loro interessi - si va comprendendo che nè le armi nei dissidi planetari, nè i processi nei rapporti civici, nè in generale le polizie armate nei contrasti sociali, sono una vera forma di soluzione dei conflitti. Di conseguenza, anche qui in modo graduale e a volte contraddittorio, vanno nascendo regole giuridiche che cercano di valorizzare le modalità di negoziazione, mediazione e facilitazione, che la nonviolenza, nelle sue forme teoriche o nelle sue forme concrete, ha sperimentato ed applicato da sempre e via via sempre più raffinatamente. In Italia, la mediazione penale e la giustizia riparativa sono ancora ristrette al diritto penale minorile, ma le Raccomandazioni del Parlamento Europeo in tal senso lasciano intravedere, mi pare, che si tratta di un pensiero giuridico in via di elaborazione e di ulteriore diffusione: il "coraggio di mediare" (Adolfo Ceretti), piano piano, va crescendo.

  • Antonino Drago: La domanda si riferisce all'"esercizio" del diritto. E si dà la risposta da sola. Sul diritto c'è l'enorme esperienza della lotta nonviolenta alla legge ingiusta: l'obiezione di coscienza e la disobbedienza civile, estesa dalla nonviolenza anche alla disobbedienza ad una legge che rappresenta una intera civiltà (Marcia del Sale) o un intero modello di sviluppo (lotte contro le centrali nucleari). Se la domanda è sulla ricostruzione del diritto da parte della nonviolenza, allora la questione è più sottile. Da quando la nonviolenza occidentale è soprattutto tecniche, la questione è messa da parte, mentre per Gandhi era molto importante, al fine di ricostruire una nuova organizzazione sociale (villaggi) e quindi un nuovo diritto. Il problema più concreto è piuttosto quale tipo di Stato; sicuramente con la divisione in tre poteri (che corrispondono a: A-B-C di Galtung, cioè ad affrontare al meglio ogni conflitto) e con la Costituzione fondata sulla risoluzione non oppressiva o soppressiva dei conflitti, come primo articolo.

  • Paola Mancinelli: Le categorie giuridiche si sono notevolmente arricchite, e la stessa idea di giustizia sembra ispirata all'idea di una custodia di ogni vita, e di un'attenzione per le vittime che non dimentichi la possibilità di ridare un inizio e una speranza alla storia, facendo sì che essa possa ridare voce a coloro che sono stati ammutoliti. Credo però che fare verità nel senso del diritto sia anche permetter di rifare un percorso critico a chi ha perpetrato queste violenze, secondo una rieducazione che risarcisca il tessuto sociale intero, e questo è un merito della nonviolenza.

Paolo Arena e Marco Graziotti, dell'Associazione "Viterbo oltre il muro", che opera nell'ambito della formazione alla nonviolenza, hanno proposto singolarmente agli intervistati queste domande.

Come Accademia Apuana della Pace, nel pubblicare queste interviste,abbiamo deciso di raggrupparle , in modo da permetterne, nella lettura, un confronto tra le diverse posizioni.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo