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La nonviolenza oggi in Italia: dialogo con Giorgio Montagnoli, Alberto Camata, Christiana Soccini, Marina Martignone e Assunta Signorelli

Come approfondimento alla nonviolenza, pubblichiamo insieme le interviste, realizzate singolarmente da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro a  Giorgio Montagnoli, Alberto Camata, Christiana Soccini, Marina Martignone e Assunta Signorelli.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Come e' avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

  • Giorgio Montagnoli: Appartengo all'associazione di solidarietà internazionale Rete Radiè Resch, che ha il sito in rete; ad un convegno di introduzione alla nonviolenza ho incontrato Enrico Peyretti che non vedevo da anni, da quando mi occupavo della Fuci all'università di Pisa e lui ne era il presidente nazionale. Ora collabora col Centro studi "Sereno Regis" di Torino, con il quale sono poi entrato in relazione, conoscendo Nanni Salio e Angela Dogliotti Marasso, con i quali ho collaborato nella mia veste istituzionale di curatore della stampa di libri del Cisp, Centro di ateneo Interdisciplinare Scienze per la Pace. In quella veste ho stampato la traduzione di Peyretti del testo di  Muller, Il principio nonviolenza.
  • Alberto Camata: Sono stato adolescente alla fine degli anni '70 - inizio anni '80. Ho vissuto la paura della guerra nucleare. Ho partecipato a manifestazioni, ma non mi piacevano, erano di parte, si urlavano slogan dove il torto era tutto statunitense. Anche la politica era violenta: o sei con me o sei contro, il disprezzo aveva la meglio sul rispetto. Accostandomi al mondo ambientalista e verde ho potuto intravedere la pratica nonviolenta.
  • Christiana Soccini: Dal punto di vista meramente emozionale grazie ad una immagine pubblicata su una rivista specializzata ("Liberiamo la cavia", prima rivista della Lav - Lega antivivisezione -, primo trimestre '89). In prima pagina si accostava volutamente la condizione di schiavitù di una donna in una piantagione sudamericana, e il trattamento violentissimo a cui lo schiavo è sottoposto, a quella in cui anche animali di specie diversa dalla nostra (ma la classificazione specifica è una mera convenzione...) sono soggetti. Insomma, la mia empatia è esplosa drammaticamente. In seguito ho approfondito il tema da una prospettiva sociopolitica.
  • Assunta Signorelli: Difficile rispondere. Sono stata educata sin da piccola al rispetto degli altri e delle altre, all'inutilità della violenza. In casa mia non è entrato mai un giocattolo da guerra. Credo che il passaggio dalla nonviolenza come atteggiamento di vita, modalità di comportamento naturale, alla nonviolenza come valore politico sia avvenuto nel periodo dal 1964 al 1970 attraverso la frequentazione di gruppi di cattolici del dissenso ( Balducci, don Milani, monaci camaldolesi, Turoldo) del movimento studentesco fino all'approdo al movimento di trasformazione istituzionale di Franco Basaglia e al femminismo meglio inteso come movimento di genere.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalità' della nonviolenza hanno contato di più' per lei, e perché'?


  • Giorgio Montagnoli: Per la ovvia  facilità di entrare in amicizia: oltre ai tre nominanti sopra, nel mio paese ho successivamente avuto rapporti con Rocco Altieri del Centro Gandhi che mi ha nominato vicedirettore della sua rivista "Quaderni Satyagraha" insieme con Martina Pignatti Morano; ho avuto come mia carissima collaboratrice Maria G. Di Rienzo, formatrice alla nonviolenza; come anche Carlo Schenone, con il quale condivido la città di provenienza e l'amore per gli scout; Tonino Drago con il quale a suo tempo avevo compiuto il corso di studi universitario, e affiliato all'Arca mi ha presentato Manfredi Lanza, nipote di Lanza del Vasto; a sua volta Manfredi ha pubblicato nella collana da me diretta le Lettere giovanili, documento rilevante della formazione del suo zio, del quale ho letto e meditato il Pellegrinaggio alle sorgenti.
  • Alberto Camata: Il primo pugno nello stomaco me l'ha dato Primo Levi con Se questo è un uomo, a quindici anni. Lui mi ha fatto conoscere la cattiveria dell'uomo, poi sono venuti altri, ma lui mi ha orientato.
  • Christiana Soccini: Essendo il mio un percorso che parte da una prospettiva antispecista Aldo Capitini, che estendeva a-specificatamente la nonviolenza come atto consapevolmente politico, è stato un riferimento, ma anche Leonardo da Vinci la cui visione del mondo si costruì sulla curiosità e sull'approfondimento scientifico.
  • Assunta Signorelli: David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, Mohandas Gandhi, Fabrizia Ramondino.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?


  • Giorgio Montagnoli: Un compito impossibile da svolgersi e che posso avvicinare in maniera rapsodica e molto personale, portando al ricordo alcuni testi poco frequentati: tra i noti, certamente i testi di Peyretti, quello fondamentale di Jean-Marie Muller, i classici delle Gandhi Edizioni, ma anche quelli dei nonviolenti italiani, rintracciabili nella rivista "Azione nonviolenta": Danilo Dolci, Pietro Pinna, Aldo Capitini, compreso il testo del suo allievo Alarico Mariani Marini (Marciare per la pace, Il mondo nonviolento di Aldo Capitini, Pisa, Plus - Pisa University Press, 2007, pubblicato insieme con E. Resta, sulla storia della Marcia della pace Perugia-Assisi). Il volume contiene informazioni vitali sulla nonviolenza in Italia. Un testo che ho trovato fondamentale è quello di Gloria Germani: Tiziano Terzani. La rivoluzione dentro di noi, Milano, Longanesi, 2008, in quanto mi ha risolto il problema che mi ha assillato dagli inizi: "Come mai la nonviolenza non riesce ad entrare nella cultura occidentale, nonostante le grandi anime che l'hanno introdotta?". Le ragioni sono molteplici, ma la centrale è da trovarsi nel pensiero dualista e riduzionista, che contrasta la visione olistica (sistemica), necessaria per la nonviolenza. Per una discussione di questo argomento, rimando al mio: Violenza e nonviolenza. Costruzioni culturali o produzioni dell'io? (Rimini, Pazzini editore, 2010).
  • Alberto Camata: Il Vangelo, Se questo è un uomò, I sommersi e i salvati, ma ne consigliate talmente tanti voi che una mia lista sarebbe inutile.
  • Christiana Soccini: Non saprei, pur essendo atea ma onnivora dal punto di vista della lettura, anche pubblicazioni di stampo religioso o addirittura confessionale possono essere utili, se lette criticamente, a dare un senso a ciò che accade nel mondo ad opera dell'uomo. Proprio questa specifica è importante: un atto violento è prettamente umano, solo raramente fra gli altri animali si hanno comportamenti riconducibili ad esso, nel qual caso si classificano come patologie. Serve, quindi, conoscere la biologia ed avere perciò minime ma necessarie cognizioni scientifiche per poter comparare ciò che di naturale c'è nella specie umana e ciò che possiamo collocare fra i comportamenti devianti, autodistruttivi, violenti. Purtroppo nella cultura mediterranea la scienza "puzza di zolfo" e, pertanto, la specie umana è percepita come extranatura, in un progressivo e interminabile medioevo. Leggere, pertanto, e leggere criticamente. Se dovessi fare nomi di autori, citerei i naturalisti presocratici, gli illuministi razionalisti come Voltaire, i rivoluzionari del pensiero come Gramsci, Huxley, Darwin, Gandhi, Rosa Luxemburg, Bentham, Arendt.
  • Assunta Signorelli: È difficile, potrebbe essere un elenco infinito; provo a buttarlo giù: i libri di Primo Levi, quelli della scuola di Barbiana, i libri di Christa Wolf, Le tre ghinee di Virginia Woolf, i libri di Susan Sontag e di Fabrizia Ramondino.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più' impegno?


  • Giorgio Montagnoli: Uno dei nodi per la pace rimane il Medio Oriente, dove agli inizi si era avuto un impiego della nonviolenza nella prima intifada dei palestinesi. Oggi per quest'area si distingue il lavoro di Martina Pignatti di "Un Ponte per", in Iraq, attraverso la collaborazione con la rete irachena Laonf.
  • Alberto Camata: Penso al Movimento dos Sem Terra brasiliano e a tutte quelle piccole ma fondamentali realtà sparse per il mondo che vedono protagoniste le donne, che rispondono alla violenza con tenacia e speranza avendo cura per la vita.
  • Christiana Soccini: Il vegetarianismo: perché conduce al rispetto di tutti gli animali, che sono l'alterità, uno specchio reale di noi stessi, perché adottare un'alimentazione vegetariana nella società opulenta significa fare una scelta consapevole e poco impegnativa, ma pregna di compassione e carica di empatia. Inoltre, ma solo in secondo luogo, ovvero egoisticamente parlando, il vegetarianismo è anche ecologicamente sostenibile perché ci riconduce al nostro essere primati frugivori. Un'altra scelta riguarda le azioni tese a contrastare e biasimare con la testimonianza l'industria delle armi, che siano belliche o meno. In Italia si manifesta contro l'Exa ma bisognerebbe manifestare anche contro il Game Fair o contro tutte quelle manifestazioni che tendono a spettacolarizzare e "normalizzare" l'uso di un arnese teso ad offendere l'integrità altrui. Da qui a sostenere tutte le iniziative tese a difendere la libertà, anarchicamente intesa, il passo è breve se non addirittura inevitabile.
  • Assunta Signorelli: Attraverso un momento di grande crisi e di chiusura verso l'associazionismo istituzionale e no, per cui mi è difficile rispondere. Mi sono molto chiusa nel mio lavoro e pur continuando ad essere attenta a cogliere segnali, a seguire annunci e avvenimenti, non riesco più a riconoscermi nelle azioni in atto. Delusa dai grandi movimenti e dai grandi eventi, privilegio situazioni locali piccole e sconosciute. Una delle cose che ancora mi sembra abbastanza "pulita" perché fuori da logiche di mediazioni al ribasso mi sembra l'esperienza di "Progetto sud" (Lamezia Terme) che comprende varie attività fra cui un lavoro sulla pace legato ad una donna eccezionale di nome Emma.

Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene più' necessario ed urgente un impegno nonviolento?


  • Giorgio Montagnoli: A parte il problema dei conflitti, tra i quali il più significativo è quello tra palestinesi e israeliani, oppure quelli tra i ribelli all'impero statunitense e l'amministrazione Usa, l'impegno che ritengo maggiormente necessario è rispetto al paradigma di vita nel nostro mondo, nel quale si assiste ad un ineluttabile degrado della vita stessa e dell'ambiente in cui si svolge, come pure alle sofferenze di un numero sempre crescente di umani esclusi dalla partecipazione alla mensa comune.
  • Alberto Camata: Fondamentalmente in campo educativo, bisogna riscoprire il rispetto per gli ultimi e per l'ambiente. L'attenzione agli ultimi e all'ambiente al momento mi sembrano solo slogan. Mi indigna vedere coloro che si commuovono per il menino de rua brasiliano (magari lo adottano a distanza) e se potessero brucerebbero il ragazzino rom perché ha rubato loro in casa. Ma rubano anche i meninos de rua.
  • Christiana Soccini: Ovunque. In qualsiasi campo a partire dall'educazione familiare da cui scaturiscono gli atteggiamenti quotidiani che ognuno di noi mette in atto vivendo in società per determinare poi le politiche locali e quelle planetarie. In qualsiasi campo, purché sia a partire da noi stessi.
  • Marina Martignone: La difesa dei diritti umani in particolare delle donne, la lotta alla corruzione e alle mafie.
  • Assunta Signorelli: Prioritaria mi sembra oggi la questione della violenza sulle donne e i bambini e le bambine. Sono convinta che se non si parte dalle relazioni individuali e singolari il tema della violenza non sarà mai risolto. Ho conosciuto uomini militanti per la pace violenti verso le loro compagne.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?


  • Giorgio Montagnoli: Ci sono centri di attività come il citato "Un Ponte per" e altre ong come l'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, i Berretti Bianchi e le Peace Brigades International, che prevedono corsi di preparazione per interventi all'estero. Sul piano culturale numerose organizzazioni come il Centro studi "Sereno Regis" di Torino, il Cisp di Pisa col suo corso di laurea in Scienze per la pace, l'attività del Centro Gandhi di Pisa, tra altri consimili in diverse città con centri universitari (Bologna, Trieste, Udine, Firenze, oltre alle citate Pisa e Torino). In ogni caso consiglierei ad un giovane l'interesse verso il servizio civile, per il quale un riferimento è il Cissc, un centro studi promosso dal Cisp di Pisa.
  • Alberto Camata: Lo inviterei solo a starsene lontano da quelle organizzazioni grosse che ormai sono diventate dei comitati d'affari, sono autocentrate, lavorano per la loro sopravvivenza, l'impegno viene un attimo dopo.
  • Christiana Soccini: Penso che il volontariato equivalga a definire il cittadino attivo, impegnato a costruire la società senza delegare alcuno in vece sua e che si fa carico della responsabilità delle decisioni che assume. Qualsiasi associazione, gruppo, comitato che abbia come scopo la difesa dei più deboli, umani o meno, qui o altrove, va bene. D'altra parte ognuno ha sensibilità proprie e vive il proprio territorio, pertanto coglie le occasioni che il territorio offre per soddisfare, se ritiene, la propria sete di impegno... oppure, se possiede competenze adeguate, può introdurre egli stesso un tema nella realtà in cui vive. Così si spinge la comunità al dubbio che possano esistere diverse realtà.
  • Assunta Signorelli: Escluso "Progetto sud" non so dare altre risposte.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?


  • Giorgio Montagnoli: Un principio umano essenziale per lo stabilirsi delle relazioni virtuose; pericoloso, però, con il suo fondarsi su restrizioni all'io, fino alla eventualità di donare la vita per amore. Anche in questo caso un riferimento proponibile rimane il mio libretto su Violenza e nonviolenza. Rimando anche alla mia attività di scrittura e di organizzazione, ad esempio ai tre volumi preparati per la Plus come rapporti sull'attività dell'Osservatorio sui sistemi d'arma, la guerra e la difesa del Cisp, nel campo della Difesa civile non armata e nonviolenta. Essi sono i volumi: Armi e intenzioni di guerra, rapporto 2004 (Pisa 2005); Difendere, difendersi. Rapporto 2005 (Pisa 2007); La violenza e il dolore degli altri (Pisa, 2008), il testo che, con il numero elevato dei contributi curati da me o da miei collaboratori, rappresenta una sintesi del mio lavoro.
  • Alberto Camata: La nonviolenza è il rispetto del limite. Le sue caratteristiche: l'ascolto, il rispetto, la mitezza e la tenacia.
  • Christiana Soccini: ... se l'atto violento ed eclatante è la guerra, l'uccisione, la tortura, l'oggetto fatto arma, semplificando e contestualizzando nel quotidiano, il violento è il prepotente che non rispetta il turno e l'attesa degli altri davanti a sè e simula disabilità per prevaricarli. La nonviolenza a mio avviso si riassume nel classico ma mai troppo adottato motto del non fare agli altri ciò che non vorresti fatto a te, dove per "altri" si debba intendere chiunque abbia una vita indipendente e autonoma.
  • Marina Martignone: La forza dei principi e della testimonianza.
  • Assunta Signorelli: Nonviolenza più che assenza di violenza (non mi piace definire le cose in negativo) è presenza di rispetto nelle relazioni con l'umano e la natura; riconoscimento dell'alterità, singolare o multipla, concreta o astratta; ricerca della mediazione nei confronti dei conflitti che nascono da bisogni contrapposti, non attraverso la negazione di uno dei due poli ma attraverso la ricerca di un punto di convergenza.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?


  • Giorgio Montagnoli: Esiste un volume dei "Quaderni Satyagraha" dedicato a La nonviolenza delle donne, curato da Giovanna Providenti; a mio parere la formatrice più apprezzata è Maria G. Di Rienzo, che ha anche scritto dei capitoli nei libri curati da me.
  • Alberto Camata: La nostra società è patriarcale, basata sul dominio e sulla proprietà, fonti di guerre e divisioni. Il femminile è l'accoglienza e la condivisione; se questa è la via che segue il femminismo allora va a braccetto con la nonviolenza.
  • Christiana Soccini: La femmina genera altra vita, la protegge finché si rende autonoma. Il femminino è l'antitesi della distruzione. Giovanni Lindo Ferretti (solista Csi, ex Cccp) cantava "è cavità di donna che crea il mondo veglia sul tempo lo protegge contiene membro d'uomo che s'alza e spinge insoddisfatto poi distrugge" (Del mondo, in Ko de mondo, 1993). Il maschio, al di là dell'appartenenza a una specie o all'altra, è soggetto ad essere in perenne competizione per prevalere su un altro maschio e, sovente, questa forza fisica che si è sviluppata nei maschi proprio per confrontarsi e sopraffare e che nella nostra specie è amplificata a dismisura proprio dall'uso di arnesi e prolungamenti degli arti, non viene contenuta ma sopraffà a sua volta determinando lo scaturire in guerre e risoluzioni dei conflitti in modo breve ma violento e sanguinario. Il femminismo è un movimento di presa di coscienza di certa parte del mondo che rivendica eguaglianza di dignità, allarga i confini di cittadinanza e, in quanto portatore di diversità, rompe gli schemi e pone la possibilità di modificare lo status quo.
  • Marina Martignone: La violenza è organica al patriarcato, una società non patriarcale è nonviolenta e autenticamente democratica, fondata sui valori comunitari della giustizia e della cooperazione.
  • Assunta Signorelli: Forme di intervento sociale, di mobilitazione civile, di azione solidale, dal femminismo all'ecologia, all'impegno antirazzista e per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani, alla lotta antimafia, alle lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse, alle lotte di liberazione dei popoli oppressi, all'impegno per il disarmo, all'impegno per il diritto alla salute e all'assistenza e per alleviare le sofferenze?  Sono tutti ambiti che tra loro s'intrecciano, potrei dire che non si danno separati. Praticare la nonviolenza significa praticare il rispetto dell'altro/altra da te chiunque esso sia, dovunque sia nato, qualunque sia la sua condizione sociale eccetera. Rispetto che se non è solo enunciazione teorica o vuota affermazione di principio deve tradursi in un lavoro costante e quotidiano di rimozione di tutti gli ostacoli o le nequizie che impediscono alle persone di vivere e non di sopravvivere e, in fondo, anche a me di agire rispetto nei loro confronti. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: ormai durante il giorno, dovunque mi trovo, mi capita di essere fermata da persone che mi chiedono soldi (elemosine, vendita di oggetti, ascolto di musiche e così via), non posso rispondere a tutte, ma mentre mi nego sento di agire violenza nei loro confronti, e - perché no - anche verso me stessa.

Forse una risposta a parte meriterebbe la domanda sulle psicoterapie ma la risposta ci porterebbe lontano. Sintetizzo dicendo che per me la salute non può essere ridotta al rango di merce e, quindi, non si paga. Chi la vende, sotto qualsiasi forma, compie un gesto violento perché sfrutta un bisogno primario.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?


  • Giorgio Montagnoli: Citerei per questo il volume La natura come rivelazione (2007) della rivista "L'Ecologist italiano", edito da Giannozzo Pucci della Lef (casa editrice delle opere di una grande anima nonviolenta, don Lorenzo Milani).
  • Alberto Camata: "Poi Dio disse: 'Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto che produce seme: saranno il vostro cibò" (Gen 1, 29). Dio non dice "avrai" ma "io vi do", quindi lontano dal concetto di proprietà. Dobbiamo averne cura come qualcosa che ci è stato dato in prestito e non sfruttarla e depredarla. Quindi il legame con la nonviolenza è forte.
  • Christiana Soccini: I rapporti fra le specie e fra materia organica e inorganica sono esemplificativi di una costante ricerca di equilibrio, equità e, se vogliamo fare un parallelismo, pace. Certo è che in natura l'equilibrio più che una certezza è una ricerca costante poiché tutto continuamente cambia, si modifica, si rinnova. Proprio fra queste novità si celano migliorie. La novità è positiva, porta tensione verso nuovi equilibri. Nulla in natura, fuorché ciò che è umano, è paragonabile alla violenza. Possono esservi frammenti di cui non ci diamo un perché, come ad esempio il gatto che sevizia un uccellino senza nemmeno giungere poi a cibarsene. Eppure è capzioso voler paragonare le azioni umane su cui possiamo darci una ragione alle attività di altre specie per cui possiamo fare solo supposizioni. Possiamo dire che gli atti violenti fanno parte della vita: anche la nascita è un atto violento. Dobbiamo però aggiungere che tali picchi di intensità si verificano solo ad opera della specie umana. Bisogna comprenderne il significato per poter agire su questi impulsi deviandoli verso attività produttive e non distruttive, ad esempio verso lo studio.
  • Marina Martignone: La società patriarcale è fondata sul dominio che implica oppressione delle donne e dei bambini, costruzione del nemico, guerra, sfruttamento della natura ai fini del profitto individuale di pochi; in una società nonviolenta e non patriarcale gli uomini si sentono parte della natura e non al di sopra di essa.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?


  • Giorgio Montagnoli: Per questi argomenti, a mio parere un utile riferimento è l'attività del Centro Gandhi, che ha anche un attivista dedicato, Andrea Cozzo, che si occupa di acculturare alla nonviolenza le forze dell'ordine dello stato.
  • Alberto Camata: La nonviolenza è uno schiaffo a molte organizzazioni che vogliono "fare il bene". Fare il bene significa imporre un modello pensato lontano dal luogo e dai problemi dove viene applicato, causando danni o, se volete, violenza. L'impegno nonviolento impone ascolto, attenzione, umiltà, ricerca comune con l'oppresso, formulazione di proposte condivise e partecipazione.
  • Christiana Soccini: Come ho accennato la novità è necessaria, sennò niente progressione. È evidente che il nuovo è sovversivo, destabilizzante, ma è necessario. La vita come la conosciamo noi - tutta la vita, dagli archeobatteri in poi - si è differenziata grazie, appunto, alle differenze, non alle somiglianze. L'eugenetica è innaturale per definizione. Solo in alcuni casi, fondamentali, si sviluppano analogie. Così dovrebbe avvenire anche nell'inevitabile e mai interrottosi melting pot. Poi è evidente che sulle libertà fondamentali acquisite non si transige.
  • Marina Martignone: Credo che la nonviolenza si fondi emotivamente sulla compartecipazione alla sofferenza degli esseri viventi in diversa misura, pertanto non produce la categoria del diverso/nemico, ma l'immedesimazione  nei diversi/ più deboli.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?


  • Alberto Camata: La mafia è l'estremizzazione del superamento di ogni limite (come la guerra). Solo la nonviolenza può essere l'antidoto.
  • Christiana Soccini: Possiamo fare un'equazione esemplificativa: mafia = prepotenza. Traccia un rapporto ineguale che però, solitamente, nei rapporti umani vede collusa la parte più debole che preferisce sottomettersi a logiche ingiuste piuttosto che rifiutarle. È l'assenza di prospettiva a lungo termine, è l'egoismo che finisce per determinare le scelte di vita delle persone. Einstein sosteneva che "il mondo non è brutto perché c'è chi fa del male, ma perché c'è chi vede e sta a guardare". Io condivido pienamente.
  • Marina Martignone: La mafia si fonda sulla sopraffazione, una cultura  della nonviolenza diffusa potrebbe favorire un cambio di mentalità.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?


  • Alberto Camata: Le rivendicazioni operaie dell'Ottocento e del Novecento non sono state tutte nonviolente. Il pensiero marxista non è nonviolento. E ha fallito. Prevedeva il superamento delle classi attraverso il dominio del proletariato. Concetto maschilista. La nonviolenza non vuole l'imposizione ma la conversione.
  • Marina Martignone: Il rapporto storicamente è complesso perché rimanda alle rivoluzioni proletarie fallite (dell'Ottocento) e riuscite (del Novecento); io non mi considero una militante della nonviolenza per la mia formazione marxista anche se le categorie marxiane non sono sufficienti a spiegare l'involuzione reazionaria di ogni rivoluzione. Credo che una rivoluzione portata avanti dalle sole avanguardie con categorie oppositive (sfruttati e sfruttatori) sia fallimentare. Si tratta di armonizzare il cambiamento di mentalità (o l'evoluzione culturale) con la lotta per quanto possibile pacifica.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?


  • Giorgio Montagnoli: A mio parere qui il maggiore cultore è Tonino Drago, autore di molte pubblicazioni sulla Difesa popolare nonviolenta (in sigla: Dpn).
  • Alberto Camata: È difficile rispondere se la vediamo in ottica maschilista: come negare necessaria la Resistenza? Ma abbiamo la testimonianza di molte donne in zone di guerra che scavalcano il confine e aiutano le "nemiche", in nome dei figli, della vita. È ancora un pensiero e un agire debole (come la nonviolenza) davanti al prevaricare della prepotenza maschile, ma è la via.
  • Marina Martignone: Anche in questo caso mi è difficile rispondere: se mio padre partigiano e tutti gli altri non avessero combattuto contro i tedeschi occupanti e i fascisti, l'Italia sarebbe stata liberata dai soli alleati; come si sarebbe creata una nuova identità nazionale che ha dato origine alla nostra Repubblica? E ammesso pure che i padri costituenti avessero la forza delle idee senza avere combattuto con le armi, i tedeschi e i fascisti sarebbero comunque stati ammazzati dagli americani.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?


  • Alberto Camata: Il pacifismo, l'antimilitarismo, come ogni "ismo", è un ideale politico, un monolite, un pro che prevede a priori un contro. La nonviolenza è un percorso, un divenire. Decisamente preferisco quest'ultimo
  • Marina Martignone: Continuano le domande difficili per me; ricordo solo che Bertrand Russell andò in prigione durante la prima guerra mondiale perché pacifista e antimilitarista, ma nella seconda ritenne necessario schierarsi contro la Germania; credo comunque che la nonviolenza non sia una posizione politica come il pacifismo, ma una modalità di lotta fondata su una forte sensibilità morale.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?


  • Marina Martignone: Il disarmo incentiva la pace, la corsa agli armamenti porta sempre alle guerre.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?


  • Marina Martignone: La nonviolenza ci indica, credo, una società giusta, fondata sulla cooperazione e sull'aiuto ai più deboli.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?


  • Marina Martignone: La psicoterapia, rispetto ai farmaci, richiede un percorso di guarigione e di crescita personale, ovvero un'evoluzione culturale (o spirituale, a seconda delle visioni del mondo); in questo guarire e crescere si compie un'azione morale di cui il singolo è responsabile, in questo vedo una vicinanza con la nonviolenza che è sempre impegno morale; il farmaco deresponsabilizza, anche se spesso è necessario.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?


  • Alberto Camata: Ogni aspetto che veicola un pensiero è informazione.  Senza informazione non c'è crescita, non c'è discussione. Senza informazione non c'è cambiamento.
  • Marina Martignone: Si tratta del funzionamento o meno di un'autentica democrazia, una società falsamente democratica come l'attuale berlusconiana si fonda sulla violenza della disinformazione e della propaganda demagogica.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?


  • Giorgio Montagnoli: Rilevante l'esame della posizione di Gandhi su Gesù di Nazareth, associata alla quale mi sembra rilevante il significativo testo di Walter Wink, Rigenerare i poteri (Emi, Bologna 2003). Questo testo realizza una mia convinzione radicata: i testi più convincenti per l'educazione sono quelli di autori non direttamente coinvolti nello sviluppo della nonviolenza, e che devono raccontare qualcosa che hanno imparato. Come esempio lo splendido riassunto delle osservazioni di Gene Sharp nel capitolo 13 del volume di Wink qui citato, e ancora il grande lavoro di Gloria Germani, una indologa, nel volume su Tiziano Terzani sopra citato.
  • Marina Martignone: Pone il problema della sofferenza patita o inflitta.
  • Assunta Signorelli: Provo a dare una risposta unitaria premettendo che sono molto ignorante (nel senso che ignoro) in molte delle discipline citate, ho una cultura limitata dal mio lavoro e dalla mia esperienza: nel corso della mia vita ho sempre letto e studiato con l'obiettivo di affinare la mia pratica e renderla sempre più vicina alla possibilità di esercitare il mio mestiere in modo etico, soddisfacendo in primis le richieste di chi mi si rivolgeva, tenendo conto del mandato sociale ma, quando necessario, contrastarlo se in conflitto con gli interessi della persona in cura nella struttura dove opero. Detto ciò ribadisco che nonviolenza per me è in primis rispetto dell'altro/altra intesa come identitààsingolare ed unitaria fra corpo e mente. Allora impossibilità di attraversare il confine che il corpo, la fisicità, disegna: questo significa, per me nonviolenza, e con questo ogni scienza, ogni teoria deve fare i conti.
  • Mai deve esistere il predominio dell'astratto come principio d'autorità unico e vero a cui tutti devono piegarsi. L'etica, come la bioetica, deve fondarsi sul principio del minimo etico condiviso, della flessibilità di ogni enunciato al confronto con la singolarità dell'evento sempre unico e irripetibile. Mi sento vicina, anche se con alcune precisazioni, al relativismo nella direzione che la vita è la contraddizione più alta che noi affrontiamo. In medicina alla fine si capisce che, paradossalmente, la morte è più "secondo natura" della vita.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?


  • Alberto Camata: Abramo, Gesù e, seppure non li conosco, ritengo anche gli altri interpreti delle religioni mondiali, si sono mossi in un terreno prettamente nonviolento. È stata l'interpretazione postuma a svilirne il messaggio.
  • Marina Martignone: Mi sembra che molti  fondatori delle varie religioni fossero nonviolenti; secondo me questo è dovuto all'elevata sensibilità di Cristo o di Budda o di altri.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?


  • Alberto Camata: Dovrebbe permettere la convivenza, l'accettare la diversità, riconoscere la pari dignità. Ma guardandosi intorno, sono risultati ancora molto, molto lontani.
  • Marina Martignone: Non punire ma dare dei valori, promuovere, incoraggiare, stare bene con gli allievi, costruire insieme percorsi evolutivi.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia?


  • Alberto Camata: La nonviolenza smaschera la falsità dei concetti che guidano questa disciplina che domina il mondo occidentale, la disumanità che sta alla base dei principi economici. Stringi stringi, uno schiavo è l'ideale per il mondo della produzione, costa quasi niente, non ha diritti e quando non produce più quello che ti aspetti lo puoi buttare. E se hai bisogno di nuovi schiavi c'è sempre la guerra che te ne può fornire. La "civiltà" è nata così.
  • Marina Martignone: Una visione economica fondata sull'equa distribuzione delle ricchezze? Ma a livello individuale non so se sia compatibile o no con la libera impresa e la concorrenza, d'altra parte non mi sembra collegabile a una società comunista.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?


  • Alberto Camata: Il rispetto per la dignità degli ultimi.
  • Marina Martignone: Interpretare le leggi a favore, sempre, dei singoli individui in carne e ossa, la legge per gli uomini e non viceversa, ovvero le leggi dovrebbero migliorare la vita della collettività.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?


  • Alberto Camata: Il senso del limite, di cui parlavo prima.  Purtroppo su questo non abbiamo discusso a sufficienza, ritengo che sia un campo ancora tutto da analizzare e da pensare.
  • Marina Martignone: la nonviolenza obbliga ad assumersi delle responsabilità, in questo sta la sua natura profondamente etica.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?


  • Alberto Camata: Toglie alla scienza il primato che in questi anni le si sta attribuendo. Non tutto quello che è scientifico è lecito, non tutto quello che è scientifico è applicabile. Una cosa è la conoscenza, un'altra la sua applicazione, su questo la nonviolenza può e deve dire la sua.
  • Marina Martignone: Come per le leggi, scienza e tecnologia per  migliorare la vita di tutti, non a vantaggio esclusivo di singoli o gruppi.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?


  • Alberto Camata: Rivalutare il punto di vista degli altri (specie degli ultimi). Faccio un esempio: a scuola ci hanno esaltato sull'interventismo dell'Italia alla prima guerra mondiale per liberare Trento e Trieste. Ma Cecco Beppe, Trento e molta parte del Friuli ce lo concedeva, a lui bastava una striscia di terra per avere uno sbocco sul mare: venti chilometri di costa giustificano tanti morti?
  • Marina Martignone: Credo di avere già indirettamente risposto prima.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?


  • Giorgio Montagnoli: Ogni problema ha una sua soluzione, e il metodo del consenso vuole cercare la soluzione interna, alzando la spinta a coalizzare le menti diverse che vi si applicano, fino a trovarne il punto di convergenza. Il metodo si oppone alla modalità di separazione degli esaminatori in partiti: non sono ricercate le soluzioni più brillanti, sulle quali poi esercitare una scelta appropriata attraverso una votazione.
  • Alberto Camata: Il consenso, aggiungo critico, è il processo che porta a scelte condivise, e se sono condivise non creano diseguaglianze.
  • Christiana Soccini: La condivisione implica la comprensione del percorso, per questo è vincente e solido sul lungo periodo, perché è partecipativo e responsabilizzante. È l'opposto del sistema mafioso. La condivisione implica tempi lenti e lunghi e la velocità in crescendo è uno dei grandi temi che ostano alla nonviolenza.
  • Assunta Signorelli: Nodo cruciale dei nostri tempi, ma forse di sempre, la costruzione del consenso quotidianamente c'interroga. Non mi piacciono i leaders o gli eroi e le eroina, portano sempre con sè, anche i migliori, anche se in modo inconsapevole, il germe dell'oppressione e dell'annullamento dell'altro. Non so come si costruisce in astratto il consenso, nel mio piccolo ho sempre agito facendo le cose che ritenevo giuste, e nel fare interrogandomi insieme a chi le faceva con me per vedere se funzionavano, in quale direzione andavano e se era necessario modificarle, in tutto o in parte. Ho scoperto che così, in ciò credo stia la grande lezione di Franco Basaglia, sulle cose buone, sui principi veri si creava consenso. In più quando verificavo che questo mancava facevo un passo indietro pensando che forse o era sbagliato, o io stavo sbagliando il modo dell'azione o che, niente di tutto ciò, era solo un problema di tempo. Non so se ho risposto alla domanda ma penso che il consenso si costruisca nel fare insieme, costruendo reti e relazioni di saperi, competenze, professionalità capaci di interagire conservando ciascuna la propria autonomia di critica e di pensiero all'interno di un percorso collettivo.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene più' importanti, e perché'?


  • Giorgio Montagnoli: Nella citata collana del Cisp per la Plus è uscito un volume di metodologia, il n. 18: P. Consorti, A.Valdambrini, Gestire i conflitti interculturali e interreligiosi. Approcci a confronto. Personalmente ho stampato la traduzione del volume di Johan Galtung sul suo metodo, Transcend and Transform: An Introduction to Conflict Work, cambiando un poco il titolo per venire incontro al problema della traduzione di "transcend" come "trascendere", un concetto che nella lingua italiana suggerisce un significato proprio, e diverso da quello riferito al conflitto. Il titolo proposto da Giorgio Gallo e da me, e accettato dall'autore, che comprende la lingua italiana, è diventato: Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare.
  • Alberto Camata: Non mi soffermerei sulle tecniche come se fossero un manuale. L'umanità è imprevedibile. Non mi sento di suggerire "fai questo per ottenere quest'altro". Preferisco ribadire che bisogna conoscere, amare: "Ama il tuo nemico", ci ha ricordato Gesù, e ci ha dimostrato che è possibile.
  • Christiana Soccini: Ogni situazione richiede un'analisi e l'adozione di tecniche differenti. Da manuale: individualmente si può digiunare, dialogare, obiettare (si pensi al diritto all'obiezione di coscienza all'uso delle armi o alla sperimentazione sugli animali); poi vi sono le tecniche collettive: boicottaggi, scioperi, manifestazioni e marce. Credo però che la migliore delle tecniche nonviolente sia quella della parola: informazione e alfabetizzazione.
  • Marina Martignone: Premesso che non le conosco, personalmente sono per il metodo win/win (non ci devono essere vinti e vincitori).
  • Assunta Signorelli: Credo che la risposta precedente contenga anche la risposta a questa.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?


  • Giorgio Montagnoli: Nella mia convinzione che la nonviolenza, come la violenza, siano produzioni dell'io, rimango fedele alla necessità di una preparazione psicologica e antropologica.
  • Alberto Camata: Come ho raccontato nel mio romanzo, capire innanzitutto che il male alberga dentro di noi, combattere il male non è sopraffare qualcuno, ma educarci al bene. Se riusciamo a fare questo, possiamo parlare poi di nonviolenza. Se non ci riusciamo è meglio tacere. E conosco tanti compagni di viaggio che dovrebbero starsene zitti.
  • Marina Martignone: Una pedagogia fondata sull'ascolto e  sulla motivazione profonda di allievi e docenti.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?


  • Alberto Camata: Innanzitutto come una disciplina personale. Non possiamo cambiare il mondo, ma possiamo cambiare noi stessi.
  • Marina Martignone: Non sono pratica di addestramento, ma di metodologie fondate sul superamento dell'egocentrismo e sulla cooperazione.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?


  • Alberto Camata: Credo che i romanzi, le poesie, le canzoni e  i film possano aprire le porte. Gli approfondimenti poi spettano a riviste e alla saggistica, anche "La nonviolenza è in cammino" fa la sua parte, ma prima bisogna toccare l'anima delle persone e solo la poesia parla un linguaggio universale.
  • Christiana Soccini: Ho lavorato per anni in una radio libera dove ideai e condussi appuntamenti settimanali di analisi antispecista, toccando ambiti e temi che spaziavano dalla semplice diffusione di notizie all'approfondimento su temi quali il razzismo, il sessismo, il classismo, l'ecologia, le scienze naturali, la biologia e le nuove tecniche e scoperte scientifiche. La radio arriva ovunque e non è minacciata da immagini precostituite, richiede uno sforzo ulteriore alla comprensione, implica la formazione di immagini mentali del tutto personali. La storia narrata (dai genitori) e la storia vista (in televisione) non determinano il medesimo lavoro cerebrale nè i medesimi risultati. Ovviamente non si può pensare un isolamento dalle immagini riduttivo: internet quale sostituto del libro che arriva ovunque rappresenta un ottimo uso della tecnologia... il problema è che chi usa internet generalmente non ha gli strumenti adeguati a comprendere chi fa internet. Sovente quindi passa e si diffonde l'informazione ma resta appannaggio di pochi l'approfondimento. Per questo la parola parlata e scambiata, il dialogo, la scuola, sono fondamentali per dare strumenti adatti a leggere e comprendere il velocissimo e tecnologico mondo in cui viviamo.
  • Assunta Signorelli: Nonostante tutti i libri che leggo e le case editrici che conosco non so dare una risposta precisa. Posso dire che per me negli anni le riviste di Goffredo Fofi, la frequentazione con Fabrizia Ramondino e i suoi scritti su temi sociali (dall'Associazione Risveglio Napoli, al libro sui disoccupati, a quello sui Saharawi), i libri della Giuntina relativi alle esperienze individuali nei campi di concentramento nazisti, il sito delle donne afgane (www.rawa.org), sono stati fra quelli che più mi hanno convinto sulla necessità della nonviolenza come modo di vita. Confesso, invece, di seguire poco le stampa e l'editoria dedicata.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?


  • Alberto Camata: L'incontro con l'altro. L'approcciarsi con lingue, costumi e culture diverse dalla propria.
  • Christiana Soccini: La famiglia è la prima e fondamentale agenzia educativa, la scuola è la prima esperienza di collettività per il bambino. Famiglia e scuola devono condividere quali regole, atteggiamenti, comportamenti debbano essere fatti propri dai piccoli. Alla base delle regole partecipate e non imposte al fine di costruire insieme una società nonviolenta vi è il principio che la libertà dell'uno finisce dove inizia la libertà dell'altro, che i più deboli vanno aiutati e protetti, che il mondo si regge sulla diversità. Nell'età adulta i momenti di approfondimento e di aggregazione sono la scuola dove abituarsi e rinnovare la propria abitudine alla collettività e alle sue inevitabili differenze.
  • Assunta Signorelli: Non so rispondere, o meglio sarebbe necessario aprire una grande riflessione sulla scuola, sull'educare, su materie come la storia (che nella cultura dominante è sempre e solo storia dei potenti e mai delle popolazioni), che non sono in grado di fare in poche righe.

Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalità', ininfluenza, inadeguatezza; e' cosi'? E perché' accade? E come potrebbero migliorare la qualità', la percezione e l'efficacia della loro azione?


  • Giorgio Montagnoli: Il problema centrale rimane quello della visione scientifica, centrata sul dualismo cartesiano tra anima e corpo, come punto non superabile di mancanza di una visione olistica (la vita è una, come la realtà in cui si svolge). Certamente ci sono anche problemi di disinformazione voluta, perché la nonviolenza sarebbe (come dice Terzani) "la bomba atomica morale"; per questa ragione c'è una notevole campagna di disinformazione sui suoi successi, campagna che mira a imporre la convinzione che "solo la violenza rimane risolutiva", necessaria per mantenere il paradigma attuale di vita.
  • Alberto Camata: Il movimento nonviolento, nelle sue mille diramazioni, sarà sempre minoritario. Il pensiero maschilista e patriarcale ha il dominio e con i suoi pregi e difetti sappiamo che cos'è. Un pensiero che non sia tangibile, porta alla diffidenza. Per questo il pensiero nonviolento ha bisogno più di testimonianze vitali che di parole. Il Cristianesimo si è sviluppato con la testimonianza, con gli esempi di vita, la parola è venuta dopo ed è stata pure manipolata, asservita al potere.
  • Christiana Soccini: Non mi pare. Probabilmente tale critica nasce nell'ambito del movimento e dei suoi attivisti, ma il senso di inadeguatezza fa parte del gioco di chi tende a voler vedere i risultati delle proprie azioni e insiste su questo soprattutto quando la stanchezza della militanza si fa sentire. Credo che la violenza nel mondo sia sempre stata tale, non c'è una violenza più grande o più piccola, quella tollerabile e quella meno. Il problema fondamentale è che numericamente più siamo e più ci facciamo male e ne facciamo al resto del mondo. È un problema demografico. La comunicazione poi fa il resto, rendendoci consapevoli di ciò che avviene in parti del mondo di cui nemmeno sapevamo l'esistenza. Personalmente confido nella conoscenza e nell'informazione e ormai il mondo è entrato nell'era dell'informazione capillarmente diffusa.
  • Assunta Signorelli: Rispondo a queste domande in modo unico. In sostanza a me riesce difficile pensare a un movimento nonviolento, nel senso che, come mi sembra di aver chiarito finora, per me la nonviolenza è una modalità dell'esistere, che informa o almeno tendenzialmente dovrebbe informare ogni gesto, azione, esperienza della vita quotidiana per cui pensare a un movimento nonviolento mi lascia un pò perplessa. È a partire da questo che non so rispondere alle domande precedenti. Un'azione nonviolenta per affermare la nonviolenza mi pare un pò difficile. Forme di lotta nonviolente quali la resistenza passiva, fare scudo con il proprio corpo, sfilare in marce silenziose e via dicendo sono un modo nonviolento per lottare per i diritti, il lavoro, la salute, contro le discriminazioni e così via, ma mi pare astratto dire che è per la nonviolenza.

Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se si', come?


  • Giorgio Montagnoli: Personalmente ho partecipato a un numero enorme di riunioni di coordinamento, che sono finite nell'imbuto del potere: chi comanda al momento di coordinare? (sottintendendo che ogni gruppo non può che ritenersi l'interprete migliore delle necessità della nonviolenza). La realtà, in ogni caso, è migliore di come la considero, in quanto alcune forme di coordinamento già esistono, anche se rispetto a singoli problemi (come le missioni all'estero). Molte di esse sono centrate su singole personalità, come Nanni Salio del Centro studi "Sereno Regis" o il professr Alberto L'Abate di Firenze.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche?


  • Giorgio Montagnoli: Per quanto ho capito io, sarebbe necessario studiare, con la dovuta umiltà, sia la storia che la natura della nonviolenza.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?


  • Alberto Camata: Sono tanti e variegati i movimenti sociali che non so trovare una ricetta (e non mi interessa trovarla); la nonviolenza è un percorso e non tutti i movimenti sono disposti a percorrerlo. È una proposta, può essere accettata o respinta. Ma questo non deve mortificarci.
  • Assunta Signorelli: Credo che la nonviolenza debba essere uno dei modi principali d'espressione dei movimenti sociali. E allora non so quali rapporti, ma so che nonviolento deve essere il modo in cui si rivendicano i propri diritti (casa, lavoro, salute e così via).

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e istituzioni: quali rapporti?


  • Alberto Camata: Le istituzioni, che piaccia o meno, devono rapportarsi con tutte le espressioni del sociale. Questo non significa che debbono dire sì a tutti. Non mi aspetterei molto dalle istituzioni, preferisco un coinvolgimento dal basso.
  • Assunta Signorelli: In sostanza ho già risposto prima. Mi è difficile pensare ad un rapporto fra politica e nonviolenza o fra cultura e nonviolenza essendo quest'ultima, lo ripeto, il fondamento della politica, della cultura. In particolare tutta la cultura, se fondata sull'etica e sul rispetto, è cultura della nonviolenza quando descrive i danni delle guerre, degli odi fra popoli che finiscono sempre con la distruzione di migliaia di persone e racconta come i vincitori di ieri sono i vinti di oggi.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?


  • Alberto Camata: L'ho accennato prima, la cultura può essere la chiave che apre i cuori alla nonviolenza, in questo scrittori, poeti, cantanti hanno grosse responsabilità.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?


  • Alberto Camata: Le forze politiche strumentalizzano, non si aggregano alle forze sociali. Possono essere compagne di viaggio, ma non mi affiderei a loro, devono fare i conti con gli interessi di bottega e non devono chiudere il bilancio in perdita.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?


  • Alberto Camata: Ho vissuto molti anni dentro il sindacato. Lo sciopero è un atto nonviolento. Ma nel sindacato ci sono ancora tante, troppe anime che vivono il conflitto in chiave di sopraffazione e non di conversione o condivisione, ed è difficile far cambiare opinione. D'altronde il sindacato si muove in una realtà tipicamente patriarcale (si confronta con il concetto di dominio, proprietà, appartenenza), la nonviolenza è ancora piccola ed è snobbata. Abbiamo ancora tanto da camminare.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente nella sua esperienza essa si e' data?


  • Giorgio Montagnoli: La mia esperienza con i gruppi nonviolenti è stata di amicizia, ma non esclusivamente, perché ho trovato anche resistenze di gruppo, sino al punto di dover dichiarare di aver trovato i pacifisti sostanzialmente litigiosi, ed esprimenti maggiori tendenze all'esclusione rispetto che all'accordo inclusivo. Una discussione complessiva è contenuta nel primo capitolo del libro Difendere, difendersi. Uno dei punti da me indicati come causa è la tendenza a privilegiare l'aspetto tecnologico del problema, rispetto al cambiamento del modo di pensare. Come riprova, la considerazione che si parla più spesso di "metodo nonviolento" che non di "filosofia nonviolenta".
  • Alberto Camata: Amicizia è ascolto e disponibilità verso l'altro. Capitano anche momenti di invidia che possono portare a litigi. Serve l'umiltà del perdono per riallacciare i rapporti. Viverla è fortificare la nonviolenza.
  • Marina Martignone: Accettare l'altro, condividere le passioni.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e percezione dell'unita' dell'umanità': quale relazione e quali implicazioni?


  • Alberto Camata: Se non riconosciamo che siamo una società di pari (non ho detto di uguali, siamo tutti diversi, ma siamo pari nella dignità e nel vivere una vita dignitosa e rispettata), le guerre e le ingiustizie continueranno a essere all'ordine del giorno.
  • Christiana Soccini: Penso che l'unità la dovremmo percepire verso tutte le specie viventi. Considerare l'umanità cosa a sè stante estranea alla biologia e alle scienze naturali è un errore determinante che giustifica qualsiasi operato dell'uomo inteso come essere superiore o rappresentazione carnale di una qualsiasi forma divina. Ignorare o, peggio, negare la continuità biologica fra Homo sapiens e Gorilla, piuttosto che fra Homo sapiens e un qualsiasi cianobatterio significa non avere memoria storica oltreché negare l'evidenza scientifica e, laicamente o religiosamente, collocarsi in un inesistente pantheon che giustifica qualsiasi nefandezza.
  • Marina Martignone: Nasce da una percezione (religiosa?): sentirsi parte del tutto e quindi sentirsi in stretta relazione con l'umanità, compartecipare al dolore e alla felicità degli altri.
  • Assunta Signorelli: Ma in fondo nella risposta a questa domanda bisognerebbe costruire la filosofia dell'esistenza. Sul fatto che deriviamo tutti e tutte da uno stesso filone ormai non c'è più alcun dubbio scientifico, già la Bibbia ci dice che l'ascendenza è unitaria per tutti. Forse questa verità dovrebbe essere diffusa ed affermata con più forza, chi è davvero interessato/interessata alla diffusione della nonviolenza dovrebbe dismettere l'uso di parole come razza, etnia e così via. Non siamo etnie diverse, siamo pezzi d'umanità sempre fra loro mescolantisi che vivono in regioni geografiche diverse, parlano lingue diverse, tutti con una stessa origine, e così via.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e politica: quale relazione?


  • Giorgio Montagnoli: Nel primo capitolo di Difendere, difendersi, cito la convinzione di un grande esperto come Roberto Mancini, espressa in un suo libro esemplare: L'amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e Levinas (Cittadella, Assisi 2005), sulle difficoltà insite nella scelta di Bertinotti di Rifondazione comunista, con il suo libro in collaborazione con la Menapace e Revelli, Nonviolenza. Le ragioni del pacifismo (Fazi, Roma 2004). Per perseguire le ragioni politiche, e la scelta di non fare decadere la nonviolenza a ideologia, Bertinotti precisa che la nonviolenza non ha valore assoluto o incondizionato, facendola al contrario dipendere dalla congiuntura storica presente, nella quale essa si rivela il mezzo migliore e più efficace, l'unica vera alternativa di trasformazione e di liberazione della società, divaricata tra guerra e terrorismo. Ovvia la perdita di peso della nonviolenza (vedi discussione).
  • Alberto Camata: La politica appartiene all'uomo, è il suo rapportarsi con gli altri e con l'ambiente. La politica può essere di sopraffazione (quella dominante) o di rispetto e coinvolgimento di tutti (nonviolenza). La nonviolenza è politica (appartiene, o può appartenere, a tutti).
  • Christiana Soccini: Distinguerei politica e partitismo. La politica è cosa ottima e necessaria poiché riflette sulla collettività e le sue dinamiche. La politica così intesa, però, non esiste più se non in termini extraparlamentari. Il partitismo ammantato di politica, invece, è mera dinamica di prevaricazione fra le parti, è una gara il cui premio è l'immunità di poter compiere qualsiasi prepotenza su chiunque per qualsiasi scopo o il ricoprire ruoli di privilegio a discapito proprio della collettività. Il partitismo, fatti salvi suoi esponenti presi però singolarmente che possono esprimere ancora idee sincere di interesse per la collettività, non ha nulla di politico, si tratta di una corsa al potere confuso addirittura con il lavoro. Forse qualche esempio virtuoso si torna a vedere dopo anni di distacco dei cittadini dalla vita politica, il problema è che però manca il substrato filosofico, il dialogo, perché dall'amministrazione tesa a contrastare i ladri insediatisi in casa si faccia ancora politica.
  • Assunta Signorelli: Anche per questo gruppo di domande un'unica risposta: la nonviolenza passa attraverso il rispetto dell'altro/altra, cosa o persona che sia, dalla identità singolare. Questo è vero per la natura, che non può essere violentata salvo poi disastri enormi (si pensi alle devastazioni causate dal taglio delle foreste, dalla forzatura del corso dei fiumi, e chi più ne ha più ne metta) come per l'umanità.

Rispetto alla morte poi la questione oggi si fa ancora più delicata. Se da una parte è vero che il concetto di naturale va rivisto nella direzione di valutare sempre l'intervento che la tecnica e la scienza hanno sull'umano, dall'altra bisogna sempre avere un'attenzione, starei per dire ossessiva, alla singolarità individuale.

Mi spiego con un esempio per me paradigmatico: la maternità. Questa, ormai è sempre meno naturale e sempre più tecnologizzata, allora ci si chiede perché escludere interventi tecnici solo in una certa direzione (interruzioni di gravidanza per gravi malformazioni, procreazione assistita, utilizzo delle cellule staminali embrionali) invocando una naturalità che ormai si è modificata? Quest'invocazione è oggi fra le cose più violente che le istituzioni, in particolare la chiesa ed alcuni governi, agiscano, perché è una violenza nascosta dentro un messaggio apparentemente pacifico ed etico che si propone come "il bene ed il vero assoluto".

Questo è ancora più vero per la morte assistita: se non ci fossero tecniche e farmaci molte persone non arriverebbero nemmeno a quello che noi chiamiamo stato vegetale, in molti casi la morte sarebbe intervenuta subito. E allora che senso ha di fronte a persone che soffrono, che non hanno più nessuna possibilità di interagire con il mondo circostante, parlare di natura?

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e vita quotidiana: quale relazione?


  • Alberto Camata: Nelle nostre miserie quotidiane  scopriamo le nostre fragilità. Questo ci impone di migliorarci e di non puntare il dito contro gli altri. Ognuno ha i suoi tempi e le sue corde da toccare per cambiare.
  • Marina Martignone: Mettersi nei panni degli altri, decentrare il proprio punto di vista.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura del territorio in cui si vive: quale relazione?


  • Alberto Camata: Rincorrere grandi ideali, rincorrere ovvie ingiustizie che si consumano lontano da noi e trascurare il male che avviene sotto casa è una porcheria. Non bisogna fermarsi al globale che è comunque lontano da noi, il locale ci appartiene e ci chiama a una responsabilità. Il nonviolento risponde.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?


  • Marina Martignone: Ascolto, accettazione, cogliere ciò che gli altri hanno di positivo e mettere fra parentesi il negativo.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?


  • Giorgio Montagnoli: Ritengo questo il maggior problema aperto nei nostri giorni, nei quali si assiste all'allungamento della vita senza interessarsi alla sua qualità, e al verificarsi di sofferenze per la sua fine necessaria. Il problema concerne l'eutanasia. Ovviamente ci sto pensando, ma credo di non essere all'altezza del compito.
  • Alberto Camata: La morte dovrebbe essere il pensiero più grande che ci spinge alla pietà. Sapere che a tutto c'è una fine dovrebbe spingerci a rincorrere il bene. Così non è.
  • Christiana Soccini: A differenza della nascita, la morte naturale non è un atto violento poiché dopo nulla può essere elaborato. In termini biologici il sistema semplicemente si ferma. Tutto torna ad essere inorganico. Panta rei. In alcuni casi la morte è liberatrice, porta pace, annulla le sofferenze. Proprio l'allungamento, il procrastinare la morte è quindi un atto di estrema violenza.
  • Assunta Signorelli: Ho risposto precedentemente

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?


  • Alberto Camata: Facile dire Gesù, Gandhi, Mandela... ma credo che le migliori si siano perse, perché il bene è anonimo.
  • Christiana Soccini: Non ci sono dubbi, storicamente Gandhi e Martin Luther King sono artefici delle più grandi rivoluzioni nonviolente, cui affiancherei l'esperienza dei figli dei fiori del Sessantotto. Aggiungerei, senza volerle mettere in coda, le testimonianze scientifiche che hanno determinato rivoluzioni del pensiero e hanno detronizzato l'uomo dal suo presuntuoso predellino: Galileo e Darwin su tutti.
  • Assunta Signorelli: Dagli albori del cristianesimo a Gandhi, alla rivoluzione portoghese dei garofani: sono le uniche che mi vengono in mente.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale e' lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?


  • Alberto Camata: È ai primordi, ed è facilmente strumentalizzabile. La nonviolenza è in cammino, ma il cammino è solo cominciato.
  • Assunta Signorelli: Tragico, visto che è un mondo fondato sulla violenza, la sopraffazione e la distruzione. Un mondo fondato sulla totale mancanza di rispetto dell'altro/altra da sè. È una violenza che risiede nelle istituzioni mondiali, dall'Onu al Wto.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale e' lo stato della nonviolenza oggi in Italia?


  • Assunta Signorelli: In Italia stiamo assistendo a un complessivo degrado culturale e sociale per cui la violenza, verbale, immaginaria e fisica la fa da padrona. Se devo essere sincera credo che oggi la violenza che si esprime nelle istituzioni (dal parlamento fino alle carceri) sia qualcosa che fino ad una decina di anni fa non sarebbe stata nemmeno immaginabile. Centrale è l'uso, l'abuso che viene fatto del corpo delle donne nella direzione che, essendo la donna il logos della corporeità, questo segnala la legittimazione della violenza come forma di relazione e rapporto fra le istituzioni e la cittadinanza.

Paolo Arena e Marco Graziotti: E' adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e movimenti di altri paesi? E come migliorarlo?


  • Giorgio Montagnoli: Non so se posso essere un esperto in questo caso, ma riporto il caso che nel bisogno di studiare il problema degli obiettori di coscienza, sono stato indirizzato dalla Loc ad un ufficio internazionale, il quale si è rivelato incapace di aiutarmi.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?


  • Assunta Signorelli: Ma mi sembra che ci sia una tale abitudine alla violenza, verbale, fisica ed istituzionale che la nonviolenza, quelle rare volte che si incontra desta meraviglia e/o disprezzo!

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative intraprendere perché' vi sia da parte dell'opinione pubblica una percezione corretta e una conoscenza adeguata della nonviolenza?


  • Giorgio Montagnoli: Nel mio piccolo, questo è quello che sto curando con i miei scritti. Infatti è necessario uscire allo scoperto, e fuori dal campo di quanti sono esperti, che si conoscono fra di loro, e finiscono per costituire una conventicola. Non è facile, e soprattutto perché i libri eventualmente scritti non hanno mercato; ma mi pare necessario parlare chiaro dei rischi che si stanno correndo nella presente crisi, per la quale i politici di riferimento non hanno capito che si tratta di qualcosa di complesso e grave, e continuano a parlare di problemi banali legati a singole crisi (della fame, dell'ambiente, della natalità eccessiva, dell'organizzazione complessiva in megalopoli, ecc.) mentre i piani politici, economici, ambientali, urbanistici, demografici, ecc., si sovrappongono aggravandosi, e non sono neppure scalfiti da eventuali soluzioni parziali.
  • Alberto Camata: Solo e unicamente con le testimonianze di vita. E non è detto che vengano notate.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e intercultura: quale relazione?


  • Alberto Camata: Se per intercultura si intende lo spogliarsi di tutto il nostro sapere per concederci a una cultura altra senza pregiudi, consapevoli dei rischi, andare incontro all'altro con fiducia, allora siamo davanti a una testimonianza nonviolenta.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e conoscenza di se': quale relazione?


  • Giorgio Montagnoli: Questo è il nodo sul quale ho condotto maggiore ricerca, partendo dalla considerazione di essere stato professionalmente un chimico, e nell'osservazione che tutte le analisi scientifiche trascurano che siamo fatti di atomi e molecole; devo però accettare di essere stato ben poco conclusivo.
  • Alberto Camata: Se non conosco me stesso non posso conoscere gli altri: "Ama il prossimo tuo come te stesso".

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e linguaggio (ed anche: nonviolenza e semiotica): quale relazione?


  • Alberto Camata: L'imbarbarimento del linguaggio porta a un imbarbarimento dei rapporti. Lasciarci rubare le parole ci porterà a confrontarci solo con la prevaricazione: vincerà il più forte.
  • Christiana Soccini: Il linguaggio - scritto o parlato - è fondamentale ed è talmente palese che è un concetto semplice ma pregno di senso da essere finito anche nelle frasi celebri della cinematografia. La nonviolenza è dialogo, comunicazione di senso e significato, scambio, confronto, continuo aggiustamento fra le parti. Dobbiamo saper cogliere, leggere, comprendere la comunicazione dell'altro prima di poter comunicare qualcosa noi. Perciò, la comunicazione non deve essere relegata al linguaggio materno ma deve estendersi oltre la familiarità, anche oltre la nostra specie se vogliamo comprendere gli stupefacenti meccanismi del mondo e dell'universo. Solo attraverso la conoscenza possiamo rispettare l'alterità, l'integrità altrui.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e stili di vita: quale relazione?


  • Alberto Camata: Ogni scelta, in questo mondo sorretto da un'economia ladra e assassina, ci rende responsabili del male altrui. Scelte consapevoli sono sempre una goccia verso la giustizia o, detta da credente, alla costruzione del Regno di Dio.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e critica dell'industrialismo: quali implicazioni e conseguenze?


  • Alberto Camata: Implicazioni: finché il movimento sarà marginale ci tracureranno, quando prenderà consistenza ci osteggeranno. Conseguenza: lì misureremo chi sarà veramente nonviolento e chi no (ho dei dubbi su di me).

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie: quali implicazioni e conseguenze?


  • Giorgio Montagnoli: Mi sono interessato personalmente di Consigli di circoscrizione, fino a diventarne presidente di uno di Pisa, ma ho dovuto registrare il loro fallimento nella deriva attuale della politica; il lavoro non deve essere personale, ma di gruppo. Ho partecipato a un bel programma della provincia di Lucca, finito poi male per difficoltà con l'amministrazione comunale, e con i partiti sopravvissuti della sinistra, i quali non hanno saputo accogliere la novità del superamento delle divisioni con gruppi di destra sulla base delle distinzioni ideologiche. L'unica speranza risiede nello sviluppo del pensiero nonviolento.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, riconoscimento dell'altro, principio responsabilità', scelte di giustizia, misericordia: quali implicazioni e conseguenze?


  • Alberto Camata: L'unico mondo che posso cambiare è il mio, posso cambiare solo me stesso. Sovvertire abitudini, scelte, pensieri, per accogliere la nonviolenza mi procurerà molte avversioni e ostacoli. Ma è l'unica via per appartenere al genere umano, per essere a immagine e somiglianza di Dio.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza come cammino: in quale direzione?


  • Assunta Signorelli: Giunta alla fine, e nel tentativo - non sempre riuscito - di rispondere alle domande, mi rendo conto che ciò che mi risulta di difficile comprensione è la necessità di un movimento della nonviolenza; nel senso che, nel mio pensiero, in ogni movimento di carattere sociale, culturale e artistico, la nonviolenza rappresenta il terreno su cui si costruiscono azioni e teorie. Una sola notazione relativa alla parola misericordia che ho sempre difficoltà ad usare perché legata -a mio avviso - ad una concezione salvifica della vita. Come il perdono appartiene ad un'esperienza religiosa e trascendente in cui non mi riconosco più da molto tempo. L'agnosticismo è ciò che più esprime e qualifica il mio atteggiamento verso il trascendente e la religiosità.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e internet: quale relazione? e quali possibilità'?


  • Alberto Camata: Internet è solo uno strumento. E come tale va usato. Lo uso anch'io.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...)a un lettore che non la conoscesse affatto?


  • Giorgio Montagnoli: La domanda è opportuna, ma dolorosa, e tira in ballo tutta una vita poco concludente. Guardando indietro, sono una persona che sa leggere, sa apprezzare il contributo degli altri, ma è poco adatta a portare contributi originali. Sono nato a Genova nel 1937. Ho compiuto gli studi in chimica, e sono poi passato alla ricerca nel Cnr sulla chimica del riconoscimento molecolare; contemporaneamente mi sono occupato di partecipazione popolare, con impegno nei confronti della cultura dei gruppi non dominanti, oppure soggetti ad esclusione. Giunto ad età avanzata ho pensato (sbagliando) che l'esperienza maturata dovesse essere riportata direttamente ai giovani, per cui sono passato all'università, occupandomi di chimica della vita. L'interesse dei giovani per la chimica non l'ho alzato; ma in ogni caso ho partecipato con amici ad ottenere un risultato bello, con la preparazione di un corso di laurea in scienze per la pace, nel quale ho insegnato sia scienze della vita, sia come le armi chimiche e biologiche diano la morte. In questo corso siamo anche riusciti a insegnare sia principi di nonviolenza che di difesa popolare nonviolenta, costituendo uno dei pochissimi esempi di ingresso della nonviolenza e della Dpn negli studi universitari.
  • Alberto Camata: Sono nato a Jesolo (Venezia) nel 1963. Ora abito a Eraclea (dall'altra sponda della Piave), sono sposato e ho due figli. Sono un perito elettronico e lavoro in Telecom Italia come operaio. Ho avuto esperienze nel mondo ambientalista (ho partecipato alle iniziative del Maj - movimento antinucleare jesolano, e ho contribuito a fondare i Verdi a Jesolo); ho passato diversi anni in sindacato, alla Cisl, occupando per qualche anno il ruolo di segretario provinciale organizzativo della mia categoria, ho fatto parte del consiglio pastorale della mia parrocchia (con poco entusiasmo per la verità), e dal 1995 sono legato all'associazione Macondo, opera di quella mente vulcanica che è Giuseppe Stoppiglia. Dal 2000 ne curo il sito e i temi della nonviolenza sono presenti. Quest'anno ho pubblicato il mio primo romanzo: Un nome rubato, Edizioni Creativa, dove le cose di cui abbiamo chiacchierato trovano la loro collocazione.
  • Christiana Soccini: Sono nata e cresciuta a Brescia nel 1969. Dal 1989 ad oggi sono impegnata - oserei dire a tempo pieno - nell'ambito del volontariato organizzato e della partecipazione sociale. Ho condotto appuntamenti radiofonici dal 1991 al 1996 e, ancora oggi, scrivo e pubblico articoli giornalistici e di approfondimento per diverse testate e case editrici. Sono correttrice di bozze e traduttrice nell'ambito delle scienze naturali e della bioetica, autrice di manuali e libri sull'agricoltura e l'ambiente, coautrice e revisionist di libri specialistici di argomento faunistico-ecologico. Ho collaborato all'aggiornamento e all'arricchimento di enciclopedie su temi ecologici e di bioetica e alla stesura di atlanti faunistici. In ambito lavorativo, oltre ad essere docente per la scuola primaria, conduco studi e ricerche eco-etologiche in collaborazione con università, enti di ricerca e musei naturalistici. Oltre venti le pubblicazioni scientifiche attinenti. Dal punto di vista dell'approfondimento culturale gli ambiti seguiti sono stati quelli di stampo naturalistico: l'etologia, la zoologia, l'antropologia, la sociologia, la politica. Per approfondire e godere del mondo ho bisogno di viaggiare con frequenza e, soprattutto, in ambienti impegnativi rappresentati dalle foreste equatoriali semi-inesplorate, ai deserti sui tetti o agli estremi del mondo, a tutti quegli ambienti dove il peso numerico dell'uomo si sente poco, ma anche nelle grandi città metropolitane dove si può ben osservare la specie umana.
  • Marina Martignone: Mi chiamo Marina Martignone, nata a Genova il 10 dicembre 1952, laureata in filosofia, docente di lettere di scuola media e docente supervisore presso la  Ssis Liguria - Università di Genova (scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario), aderente al Movimento di Cooperazione Educativa (associazione professionale per la pedagogia popolare) per il quale ho svolto una trentennale opera di ricerca, sperimentazione e formazione, iscritta alla Flc- Cgil. Ultime pubblicazioni: "Vent'anni dopo: introduzione alla nuova edizione" e "Poesia e territorio" nella riedizione di Tutti gli spazi del mondo. Un approccio antropologico alle scienze, Edizioni Junior 2003; "Educazione e  modelli culturali" sullo specifico femminile e la storia, in "Cooperazione Educativa", n. 2, 2004; "Al di là della cattedra" sulla formazione Ssis, in "Cooperazione Educativa", n. 1, 2007; "I ragazzi e la moschea di Genova" sul rapporto con il "diverso" ed il ruolo delle metafore nei giudizi morali, in "Cooperazione Educativa", n. 3, 2007; "In cammino con Kore", "Sulle tracce della dea" e "Le favisse di Kore" su esperienze didattiche e formative relative all'area storico-antropologica, in Annalisa Busato Sartor (a cura di), Abitare il mondo al femminile. Educazione alla consapevolezza di genere: esperienze e prospettive, Bergamo, Edizioni Junior, 2009; "Fascisti e comunisti, vittime e carnefici. Un  approccio soggettivo alla storia del Novecento", in Silvana Rocca (a cura di), Experientia rerum, Compagnia dei Librai, Genova 2009.
  • Assunta Signorelli: Nata nel 1948 sono una femminista basagliana non pentita e non dissociata con esperienze prima dei vent'anni nei movimenti dei cattolici del dissenso a Roma e poi del movimento studentesco alla facoltà universitaria di Medicina, infine dal '72 lunga marcia dentro le istituzioni totali fondamentalmente a Trieste ma anche in altri luoghi. Ultima (in ordine di tempo) esperienza significativa: tre anni in Calabria lavoro nell'istituto "Papa Giovanni XXIII" di Serra d'Aiello (Cosenza) che per mesi nel 2008 ha occupato le cronache dei giornali, esperienza culminata con uno sgombero forzato delle persone accolte che mi ha dato la misura di cosa sia la violenza delle istituzioni del potere contro i deboli. Militanza femminista, di genere, che nel corso del lavoro si è espressa con la costituzione del Centro Donna Salute Mentale che ha operato dal 1990 al 2002, unica esperienza di lavoro istituzionale di un servizio pubblico con sole operatrici donne e diretto solo all'utenza femminile con sofferenza psichica dalle forme più leggere alle più gravi. Esperienza conclusasi per una forma di violenza sotterranea continuamente agita e mai esplicitata da parte della direzione del dipartimento di salute mentale di cui quel servizio faceva parte. Dal 1977 lavoro come dipendente del servizio sanitario nazionale come psichiatra a tempo pieno, e attualmente sono la responsabile del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste.


Paolo Arena e Marco Graziotti, dell'Associazione "Viterbo oltre il muro", che opera nell'ambito della formazione alla nonviolenza, hanno proposto singolarmente agli intervistati queste domande.

Come Accademia Apuana della Pace, nel pubblicare queste interviste,abbiamo deciso di raggrupparle , in modo da permetterne, nella lettura, un confronto tra le diverse posizioni.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo

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