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La guerra contro il giornalismo.
Ma anche contro la libertà di stampa


di Mario Pancera


Tra le Olimpiadi di Pechino dell'estate 2008 e l'aggressione bellica alla striscia di Gaza nel mese di dicembre ci sono 64 giornalisti uccisi, un loro collaboratore pure ucciso, 673 giornalisti fermati o arrestati, 929 aggrediti o minacciati, 29 rapiti e 353 «media» cioè giornali o radio o tv, censurati. Questo elenco è pubblicato da Stefano Marcelli, presidente dell'Information safety and freedom, di Firenze, e riportato da siti giornalistici con il titolo «La guerra cieca di Gaza e la resa dei giornalisti». Lo riprendo appunto da uno di questi siti. Così va il mondo: si sa solo quello che vuole il padrone (lo ricordava anche don Lorenzo Milani ai suoi scolari: «I giornalisti scrivono quello che vuole il loro padrone»).

C'è una guerra contro il giornalismo cioè contro l'informazione, di cui le prime vittime sono i giornalisti, che vi perdono non soltanto la credibilità e l'onore, ma anche la libertà di parlare, la libertà di movimento e spesso la vita. Noi non sappiamo la verità sul peso effettivo delle Olimpiadi sulla vita dei lavoratori cinesi: la propaganda ha coperto tutto. Allo stesso modo, al di là delle notizie ufficiali dovute a Israele e ad Hamas, di Gaza non sappiamo nulla. I giornalisti non sono ammessi a documentare il massacro: perché, sebbene  le tv ci mostrino sempre gli stessi spezzoni di filmati vecchi e stravecchi, si tratta proprio di un disastro umano; in una ventina di giorni mille morti e migliaia di feriti, i palestinesi alla fame e alla sete, senza medicinali, senza nulla.
I giornali non sono dei giornalisti, ma degli editori ovvero di imprenditori che si occupano anche di banche, industrie leggere e pesanti, petrolio, armi, chimica e così via. Si ricorderà, forse, la distruzione di Falluja, in Irak, nel novembre 2004 con bombe al fosforo bianco, che pare siano le più micidiali che si possano produrre (solo un po' meno delle atomiche). Con queste bombe i corpi bruciano, addirittura si disfano, scompaiono. Il mondo protestò, i militari e i politici minimizzarono, anzi negarono. Ma, almeno, ci fu una specie di sollevazione generale dell'Occidente e non solo dei pacifisti, fin che le notizie si smorzarono e non se ne parlò più.

Nei giorni scorsi si è tornato a parlare di bombe al fosforo, questa volta nella battaglia di Gaza, e riprese l'esecrazione: timida, perché i militari israeliani ne negavano l'uso. Ma ci fu di più: in una intervista a un tg italiano, davanti ai filmati che mostravano il lancio di bombe multiple nella notte, un esperto spiegava che quelle potevano essere bombe al fosforo, ma che entro certi limiti (previsti dalle convenzioni internazionali), potevano essere legittimamente usate in guerra. Il fosforo fa bene, soprattutto ai bambini, diceva il mio vecchio medico condotto, rinforza l'intelligenza e la memoria.

La stampa è, dunque, sorda e cieca, è stata accecata come gli uccellini da richiamo: è per farli cantare meglio. I giornalisti non protestano: in Italia c'è tra l'altro una annosa discussione sindacale per il rinnovo del contratto nazionale, gli istituti giornalistici  di mutua assistenza sanitaria e pensionistica sono in crisi. La categoria è in un momento cruciale su vari fronti: è come un cane da caccia alla catena.

C'è un giornalista che da settimane parla al Tg 1 «dal confine di Israele con la striscia di Gaza». Ha sempre lo stesso tono di voce, e alle spalle sempre lo stesso sottofondo. È una vittima, non un protagonista dell'informazione. E il suo editore non è un privato, è la Tv pubblica. Potrebbe almeno dire: «Guardate, non ci lasciano andare a vedere con i nostri occhi quello che sta succedendo: mille morti sono mille morti, un milione e mezzo di affamati sono un milione e mezzo di affamati, vorremmo aiutarli presentando al mondo le loro condizioni, invece siamo qui al freddo e vi diamo perciò solo le notizie che ci passano gli eserciti...» Non dice niente, perché non può (non penso che sia un servo o sia d'accordo con chi gli impedisce di fare liberamente il suo lavoro di giornalista).

È come se  la guerra non esistesse, eppure la si può riprendere quasi al millimetro dai satelliti artificiali, ma anche quelli o sono militari o militarizzati o proprietà di qualcuno che certo non è un giornalista. Conclude Marcelli: «Di fronte a questa stampa sorda e cieca non bisogna interrogare gli astri per prevedere un altro anno nero per la libertà di informazione nel mondo». Io speriamo che si sbagli.

Mario Pancera