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Un altro morto! il documento della segreteria provinciale CGIL sulla sicurezza nel settore del marmo

A seguito dei troppi lutti vissuti dal mondo del marmo in questo anno, tutti hanno sottolineato la necessità di passare dalle parole ai fatti. Sindacati, imprese, partiti, movimenti, stampa, istituzioni locali, regionali, giuridiche ed ecclesiastiche: tutti quanti abbiamo detto che nel 2016 morire di lavoro è inaccettabile: ora dobbiamo essere conseguenti.

Per parte nostra, ci sentiamo in dovere di dare il nostro contributo di analisi e di proposta, un contributo che impegna pubblicamente tutta la nostra organizzazione nella rapida realizzazione del cambiamento di cui c’è bisogno.

Da molti anni la CGIL e la FILLEA di Massa Carrara partecipano al confronto sul rapporto tra questo importante settore della nostra economia locale e le differenti esigenze del territorio; crediamo anzi di essere stati tra i maggiori responsabili della maturazione, nella nostra opinione pubblica, di una consapevolezza diffusa dei rischi e delle opportunità che la lavorazione del marmo rappresenta per il nostro comprensorio, avendo  sempre espresso posizioni equilibrate ed attente all’ascolto  di tutti i punti di vista.

I lavoratori che rappresentiamo vivono e muoiono del lavoro ai monti: dunque, per la nostra organizzazione, questo è un tema assolutamente centrale.


APPLICARE LE NORME CHE CI SONO, AUMENTARE E COORDINARE I CONTROLLI

Siamo tra i soggetti più consapevoli che questa realtà produttiva, oggi, cambia a ritmi importanti, creando di continuo nuove e ineludibili esigenze di riequilibrio nella relazione con l’ambiente naturale e con la sicurezza del lavoro, ma anche innovazioni tecnologiche e produttive che possono dare le risposte che servono.

Sappiamo anche che da un punto di vista normativo non siamo di certo all’anno zero: chi fa ogni volta ripartire il dibattito sul marmo da quel punto, ormai, fa il gioco di chi vuole ritardare o bloccare l’applicazione delle regole che faticosamente ci siamo conquistati, in materia di sicurezza, di contenimento e di qualificazione dell’escavazione, di attenzione e di risanamento ambientale e di ricaduta occupazionale.

L’ultima legge regionale sulle cave è del marzo del 2015: conosciamo tutti le resistenze che ha incontrato e la questione che la Corte Costituzionale dovrà dirimere sul tema dei beni estimati, ma la legge 35, tra gli argomenti che più ci stanno a cuore, disegna anche una nuova regolamentazione dei controlli finalizzati “alla tutela ambientale e alla sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni interessate”; questi ultimi nel novembre scorso sono stati oggetto dell’emanazione di un importante regolamento, che ne dispone finalmente un esercizio coordinato e stringente.

Tuttavia, in questo come in tutti i settori, disporre di un buon apparato di norme approvate non basta.

Occorre che l’attenzione e l’impegno di tutti si spostino sulle fasi della loro concreta realizzazione; occorre che i cittadini, le parti sociali, i partiti politici, le istituzioni si informino e vigilino costantemente sul rispetto dei tempi e dei modi per rendere operative le decisioni che sono state assunte.

Il nuovo regime previsto per le autorizzazioni all’esercizio dell’attività estrattiva obbligherà tutti a presentare progetti di coltivazione estremamente dettagliati: la quantità e la qualità delle indagini tecniche richieste per la stesura del progetto sarà giustamente commisurata alla complessità della natura delle nostre montagne per garantire in ogni cava la stabilità dei singoli fronti di scavo e sarà particolarmente attenta alla “individuazione delle strutture duttili e fragili anche finalizzata alla valutazione della vulnerabilità idrogeologica”.

A regime, dunque, tutte le nostre cave saranno molto più sicure.

Tuttavia, da subito, tutti i soggetti deputati alle attività di controllo, e in particolare il Comune, la ASL e la Regione, possono già effettuare tutti i controlli che ritengono opportuni in relazione alle situazioni di pericolo idrogeologico, ambientale o di sicurezza per i lavoratori e per le popolazioni, prescrivendo ai titolari delle vecchie autorizzazioni gli interventi di messa in sicurezza necessari, pena la revoca immediata dell’autorizzazione e l’acquisizione del sito estrattivo al patrimonio indisponibile della Regione o del Comune.

La Regione può “promuovere forme anche permanenti di collaborazione e coordinamento” fra tutti i soggetti preposti alle funzioni di polizia e di vigilanza sulle cave ed effettuare anche controlli diretti sull’attività dei siti estrattivi: noi riteniamo che sia assolutamente il caso di farlo, considerati i dati resi pubblici in questi giorni sull’esiguità del personale preposto ai controlli e sull’esorbitante numero di infrazioni rilevate ad ogni verifica.

Parallelamente, la Regione dovrebbe, a nostro parere, lavorare alla sottoscrizione di un Protocollo sulla sicurezza nelle cave di marmo sulla falsariga di quello recentemente sottoscritto per i porti di Carrara, Livorno e Piombino, per definire i piani tipo di formazione di tutti gli operatori e per mettere a punto un sistema organizzato e coerente di controllo da parte di tutti i soggetti istituzionali, con il pieno coinvolgimento di RLS ed RLST.

 

USARE LO STRUMENTO DEI CONSORZI

Il Comune può promuovere la costituzione di consorzi volontari o o addirittura disporre la costituzione di consorzi obbligatori tra imprese per la gestione unica dei siti estrattivi contigui o vicini “al fine di garantirne un più razionale sfruttamento della risorsa, un’omogeneità nel recupero ambientale dei siti estrattivi contigui o vicini, o comunque ogni qualvolta ricorrano motivi di sicurezza”.

Le istituzioni dispongono dunque, oggi, di strumenti immediatamente utilizzabili e potenti, di cui tutte le parti sociali devono cominciare a ragionare perché siano utilizzati nella maniera migliore e più efficace per ridurre davvero i rischi connessi al lavoro in cava.

Il tema della sostenibilità del lavoro nel settore della pietra naturale, funzionale ad un approccio orientato a ridurre gli impatti ambientali e sociali dell’industria del settore lapideo, sarà in maggio al centro di un confronto internazionale, a Carrara. Marmotec annuncia che la principale novità dell’edizione 2016 sarà proprio l’attenzione al tema della filiera sostenibile, “ con l’obiettivo di sensibilizzare gli addetti ai lavori sulla necessità di creare una filiera produttiva socialmente responsabile e rispettosa del territorio e dell’ambiente”: noi ne siamo felici e chiediamo che particolarmente forte sia l’attenzione all’innovazione tecnologica funzionale alla sicurezza, perché i sistemi di estrazione e di lavorazione più sicuri esistono e devono essere utilizzati dalla totalità delle imprese del settore.

Siccome poi gli strumenti tecnologici sono importanti, ma ancora più importanti sono gli uomini che ne guidano e ne autorizzano l’uso, è importante che gli imprenditori ragionino  sui professionisti che quotidianamente, in cava, devono essere in grado di garantire la sicurezza delle lavorazioni. Le professionalità che storicamente erano chiamate, in ciascuna piccola realtà, ad esprimersi sulla praticabilità, sulla sicurezza e sulla coerenza di un singolo taglio al piano di coltivazione non possono più essere in grado di valutare da sole, senza il supporto tecnico di esperti  qualificati, le conseguenze   di scelte che possono essere fatali. Per questo in cava devono esserci figure in grado di fermare l’attività per approfondimenti e verifiche sulla stabilità dei fronti di scavo che non siano direttamente condizionate dalle necessità della produzione; e se le singole imprese non sono in grado di disporre singolarmente di pool di ingegneri minerari e geologi in grado di fornire tutte le risposte che servono, i consorzi potrebbero farlo, ripartendosi gli oneri economici in proporzione alle dimensioni di impresa.

 

CONTINGENTARE LE ESCAVAZIONI

Si deve inoltre prendere atto che c’è un problema da affrontare e risolvere una volta per tutte:  nessuno può ignorare il dato che, laddove le cooperative ed alcune aziende private registrano per ogni lavoratore nel settore dell’estrazione una produttività di 700 tonnellate l’anno, questa in certe imprese schizza a due mila e cinquecento. E' indispensabile definire un sistema di contingentamento e razionalizzazione che permetta di entrare nel merito dei ritmi di lavoro, basato sul rapporto tra escavato e numero di lavoratori. Occorre riprendere il confronto sul contingentamento delle escavazioni e sulle strategie di valorizzazione della risorsa marmo che possono garantire insieme la sostenibilità sociale ed ambientale di questo genere di produzione e  la redditività per le imprese che la esercitano.

 

PRENDERE ATTO CHE ESSERE ANZIANI E LAVORARE IN CAVA NON E' POSSIBILE

Sul piano nazionale, invece, occorre riportare al centro del dibattito politico il tema del pensionamento anticipato per chi svolge lavori particolarmente usuranti.

I nostri cavatori lo ripetono sempre: il peso quotidiano della fatica fisica, la continuità della concentrazione, gli effetti delle temperature estreme sulla montagna nuda non sono oggettivamente sopportabili, per chi non è più giovane e in piena forma fisica e mentale.

La nostra proposta, che è la famosa quota 93 (57 anni e 36 di contributi, oppure 58 anni di età con 35 di lavoro) non è soltanto ragionevole, perché disegnata sulle caratteristiche di chi lavora al monte; è anche uno dei cardini delle politiche sulla sicurezza, perché tiene conto del fatto che in cava cedere alla stanchezza o distrarsi un secondo può costare la vita.

 

RICOSTITUIRE IL DISTRETTO LAPIDEO

Come organizzazioni sindacali abbiamo sostenuto unitariamente, spesso  inascoltati,  la necessità di valorizzare il distretto lapideo quale strumento di definizione di un piano strategico del settore che superasse particolarismi e  rendite di posizione e che fosse finalizzato all’individuazione di una politica del settore che si facesse carico di tutte le problematiche, ambientali, sociali ed anche della sicurezza sul lavoro.

Le imprese del settore, che stanno oggettivamente vivendo una fase di grandi successi e di importanti profitti (l’ottava edizione del Rapporto Economia e Finanza dei Distretti Industriali di Intesa San Paolo individua nel distretto del lapideo il terzo d’Italia per evoluzione del fatturato, delle esportazioni e della redditività) devono rendersi conto che non hanno prospettive di crescita senza o peggio ancora contro il  territorio che le ospita.

Oggi crediamo che su questo tema si sia giunti all’ultima possibilità di appello: se non si abbandoneranno gli atteggiamenti ostruzionistici e rissosi del passato anche recente e non si prenderà atto della necessità di governare in maniera condivisa lo sviluppo di questo settore, il clima di preoccupazione e di sospetto con cui ormai molti guardano ai monti finirà con l’impedire qualunque soluzione ragionata.  La nostra comunità ha già vissuto con profonde lacerazioni e ferite sociali il conflitto ambiente lavoro: responsabilità di tutti i soggetti imprenditoriali e istituzionali è l’evitare che la storia si ripeta.