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Il referendum del 25 e 26 giugno. In mano ai cittadini il potere costituente

(Contributo di Raniero La Valle)
Ciò che fu stabilito dall'Assemblea Costituente nel 1947 è oggi rimesso in questione. Allora confluirono in quella decisione le tre grandi culture del Paese, quella cattolica democratica, quella comunista e socialista allora strettamente unite, e quella laico-liberale; ma l'incontro e la sintesi di quelle tre culture fu talmente felice che non un pezzo della Costituzione per ciascuna, ma l'intera Costituzione è risultata perfettamente coerente a ciascuna delle tre ispirazioni. Come fu possibile questo incontro? Esso è avvenuto per due ragioni: la prima è quella più volte richiamata da quel grande costituente che fu Giuseppe Dossetti. Le Costituzioni non si fanno a tavolino. Esse sono il frutto di una grande vicenda storica, di un momento straordinario della vita di un Paese. Per noi era l'uscita dalla guerra, l'uscita dal fascismo, un'esperienza di sofferenze e di dolori, sicché c'era la volontà condivisa di voltare pagina, di dare origine a una convivenza nuova. E la seconda ragione è che se quelle tre culture erano diverse quasi in tutto, tuttavia avevano tre grandi convinzioni comuni. La prima era l'antifascismo. Tutti avevano visto che cosa avesse voluto dire la soppressione del Parlamento, la sua sostituzione con la Camera dei fasci e delle corporazioni, e quindi tutti avevano l'ansia di ricostituire un Parlamento, di ricostruire una democrazia parlamentare, la cui perdita aveva significato la perdita della libertà e dei diritti.
La seconda caratteristica comune era il pacifismo. Giustamente nell'articolo 11 della Costituzione si dice "l'Italia ripudia la guerra": non lo Stato, non l'ordinamento, non il governo, non i partiti, ma l'Italia. Proprio perché si usciva da quella esperienza tragica che era stata la seconda guerra mondiale c'era la comune convinzione che si dovesse veramente andare a un sistema in cui la guerra fosse bandita. Infatti nell'art. 11 non c'è solo il ripudio della guerra, c'è una volontà positiva, e perfino la disponibilità "a limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni".
E la terza cosa è che tutti erano proporzionalisti. La liberazione dal nazi-fascismo in tutta l'Europa era stata la liberazione da un monismo, da un potere unico, oppressivo, una sola cultura, un solo pensiero, un solo capo, un solo esercito, una sola svastica; si trattava dunque, al posto di questo, di permettere la fioritura delle differenze, e quindi favorire delle rappresentanze che rispecchiassero abbastanza fedelmente la diversità delle posizioni nel Paese.
Tutto ciò fu possibile perché, prima che in Italia, una grande svolta era avvenuta sul piano mondiale. Uscendo dall'esperienza della distruzione bellica e degli stermini, le Nazioni che unite avevano combattuto l'Asse di Germania, Italia e Giappone, si erano incontrate nel 1945 a San Francisco per fondare l'ONU e aprire una nuova stagione della storia umana. E lì operarono tre cambiamenti fondamentali rispetto a quello che si era fatto e pensato fino ad allora. Il potere sovrano degli Stati, che si era posto come un potere assoluto, fu vincolato alla regola del diritto e alle rinunzie necessarie per costruire un sistema mondiale di sicurezza e di pace, la guerra che era stata l'architrave delle relazioni internazionali per secoli, fu dichiarata un flagello da cui liberare le generazioni future e fu messa fuori dal diritto; le filosofie e le dottrine politiche che dalla città antica di liberi e servi, attraverso una lunga storia di discriminazione delle donne, degli indios, dei neri, fino all'aberrazione ariana del nazismo, avevano fondato la società sulla ineguaglianza per natura degli esseri umani, furono rigettate e sostituite da un'antropologia della pari dignità umana e dalla "fede nell'eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole". Su queste basi si costruirono sia la Carta dell'ONU che le Costituzioni postbelliche: questo è il significato più profondo del dato storico per cui la Costituzione e la Repubblica sono nate dalla Resistenza.
Se la Costituzione è di tutti, i cristiani hanno delle particolari ragioni per rivendicarne i contenuti e difenderla. Non solo perché vi concorsero nel sacrificio che la precedette e nella elaborazione che ne fissò i principi e le norme nell'Assemblea Costituente, ma perché il patrimonio che vi è rappresentato evoca i più alti valori della vita cristiana: dal fondamento del lavoro su cui è stabilita la Repubblica alla centralità della parola che si esprime nel Parlamento, dal primato della pace alla conversione dei poteri in "funzioni" e servizi per il bene comune, dalla pacificazione con la Chiesa cattolica alla laicità e alla libertà religiosa. Nell'enciclica "Pacem in terris" di Giovanni XXIII la Costituzione, come carta dei diritti e regola dei rapporti tra cittadini e poteri pubblici fu celebrata come un "segno dei tempi", cioè come una delle conquiste storiche in cui costruzione umana e ordine voluto da Dio si parlano e si incontrano.
Perciò i cristiani sono chiamati in causa oggi che la Costituzione, come recita il titolo di un libro di Leopoldo Elia, è "aggredita".
Vero è che tale aggressione viene negata, perché quella che viene rimossa e sostituita dal testo di Calderoli e degli altri quadrunviri riunitisi a Lorenzago è solo la seconda parte della Costituzione, e quindi sarebbero fatti salvi i principi e i diritti fondamentali della prima. Ma le due parti della Costituzione sono speculari e necessarie l'una all'altra. Racconta il costituzionalista Enzo Cheli che nel 1946, quando si trattava di concepire il disegno della Carta costituzionale, in un incontro informale col presidente Ruini cui parteciparono gli on. Dossetti, Cevolotto e Moro, Aldo Moro propose per la prima parte una struttura a piramide rovesciata, avente al primo posto i diritti e i doveri del cittadino nella sua individualità, e poi via via del cittadino in rapporto alla famiglia e alla scuola, quindi in rapporto alla sfera economica e infine in rapporto a quella più ampia del mondo politico; e il Presidente Ruini, accogliendo quello schema, aggiunse che allora la seconda parte doveva cominciare col Parlamento, in corrispondenza al primo articolo proclamante la sovranità popolare, e poi svilupparsi nella definizione degli altri istituti in cui coerentemente doveva concretarsi l'organizzazione statale unitaria della società. E così si fece, in tal modo che la seconda parte risultò attuazione, strumento e garanzia della prima.
Ora nella riforma promossa dalla Lega e varata da tutta la destra sotto il nome riduttivo e fuorviante di "devolution", questo rapporto viene rotto. Il Parlamento è travolto, la vita della Camera è condizionata a quella del governo, la rappresentanza popolare è smembrata in una maggioranza dotata di tutti i poteri e una minoranza senza diritti, i cui voti nemmeno verrebbero contati nelle votazioni di "sfiducia costruttiva", l'unità nazionale che comporta pari opportunità per tutte le regioni è compromessa e gli istituti di garanzia sono snaturati e mortificati. In particolare il Presidente della Repubblica non avrebbe neanche il potere di salvare la Camera dallo scioglimento che il Primo Ministro potrebbe decretare in ogni momento mandando a casa i deputati a suo piacimento; verrebbe istituita la figura sovrana e incondizionata del capo del governo, vero padrone "determinante" della politica nazionale e del Paese intero. L'identità dell'Italia e il suo ruolo nel mondo sarebbero decisi da una persona sola, e il popolo non potrebbe influirvi facendo valere le sue radici, la sua civiltà e la sua cultura.
La cosa è tanto più grave perché dietro questo attacco alla Costituzione si cela un attacco al costituzionalismo come tale. Oggi esso è sotto scacco in tutto il mondo, perché non è compatibile con la competizione selvaggia e la guerra perpetua. Di nuovo questione italiana e questione internazionale si toccano.
Questa è la grande posta in gioco del 25 giugno, che investe tutti i cittadini; ma, io credo, i "cristiani per la Costituzione" per primi.
Raniero La Valle