È stato detto che nella campagna per le elezioni europee di tutto si è parlato tranne che dell'Europa: si è parlato della tragica figura di Berlusconi, che rischia di essere travolto dalle sue ricchezze e dalla loro intrinseca forza di corruzione; si è parlato della deriva del Partito democratico, che dice di voler essere grande per combattere la destra ma si ostina a voler restare nel suo piccolo per correre da solo, fino all'assurda decisione di votare "sì" al referendum del 21 giugno; si è parlato della sinistra divisa, o meglio della sinistra "nuova" e suicida che per vivere si è proposta di distruggere (di "buttare") la sinistra vecchia da cui era uscita; ma non si è parlato di che cosa andare a fare in Europa.
Questo però non è del tutto vero. È vero per quanto della politica appare dalla TV e dai giornali, che però rappresentano sempre meno la politica del Paese. Ma non è vero per molti altri protagonisti e dibattiti che in queste settimane hanno attraversato il Paese reale; e non è stato vero per me, che ho suggerito tre cose .
La prima è che l'Europa ponga termine alla fase introversa della sua costruzione come mercato interno e come spazio chiuso di comunitari contro extra-comunitari, e vada alle nozze col mondo. Non come le mitiche nozze con Giove da cui fu rapita, ma come scelta politica e libera. Ripudiata la guerra, l'Europa deve sposare la terra. Lì è la sua origine, e lì è il suo destino, che non è solo suo, ma è comune con tutti. L'Europa non è una "città sul monte", come i Padri fondatori degli Stati Uniti vollero fare dell'America, per dare lezioni a tutti i popoli; l'Europa è una città sul mare, e il mare è una via, senza mura, per la quale si va e si viene. Dal mare, sconosciuti, arrivarono Enea e i Fenici; perseguitati e naufraghi arrivarono Pietro e Paolo; per mare sono partiti Marco Polo, Cristoforo Colombo, Vasco da Gama; per mare le lingue d'Europa si sono sparse sulla terra nella ultima Pentecoste che è la Pentecoste dei pagani. Se l'Europa non si fa patria del mondo, e non riconosce il mondo come sua patria, essa è finita.
La seconda è che l'Europa faccia uno Statuto del lavoro, come in Italia si fece uno Statuto dei lavoratori. Quello significò per l'Italia estirpare il lavoro dal regime privatistico nel quale era gestito come merce, e immetterlo in uno spazio pubblico nel quale i diritti erano messi in salvo, il conflitto sociale era tutelato e una vita accettabile doveva essere garantita per tutti. Non a caso oggi è sotto attacco. Uno Statuto del lavoro in Europea significherebbe togliere il lavoro dall'occhio del ciclone della crisi, e assicurare diritti di base e un reddito minimo per tutti, lavoratori fissi e precari, cittadini e stranieri, anche forzando le legislazioni nazionali; e vorrebbe dire riconoscere il diritto al lavoro come innato e appartenente all'essere umano come persona.
Sarebbe bella un'Europa "fondata sul lavoro", come l'Italia è nella nostra Costituzione; sarebbe davvero un modo di andare alle radici cristiane dell'Europa, se l'evento fondatore del cristianesimo è stato un Dio che si è fatto uomo, si è fatto servo, e perciò ha assunto e reso divino il lavoro, che era l'opera propria ed esclusiva del servo. Allora il primo articolo della Costituzione europea potrebbe essere: "L'Europa è una comunità democratica di persone e di Nazioni unite, fondata sul lavoro".
La terza cosa è' uno "Statuto dell'esule". Anche qui le "radici cristiane" dovrebbero farci ricordare che anche noi siamo stati esuli in ogni Paese, come lo furono gli Ebrei in Egitto; dovrebbero far pensare l'Europa come a una "città di rifugio", simile a quelle istituite nella terra di Canaan perché i fuggiaschi vi potessero trovare riparo sottraendosi ai "vendicatori del sangue"; dovrebbero suggerire di fare dell'Europa la sperata "casa di accoglienza per tutti i popoli".
E il primo articolo di questo Statuto dovrebbe dire così: "Nessun esule deve annegare nel Mediterraneo".
Raniero La Valle
La prima è che l'Europa ponga termine alla fase introversa della sua costruzione come mercato interno e come spazio chiuso di comunitari contro extra-comunitari, e vada alle nozze col mondo. Non come le mitiche nozze con Giove da cui fu rapita, ma come scelta politica e libera. Ripudiata la guerra, l'Europa deve sposare la terra. Lì è la sua origine, e lì è il suo destino, che non è solo suo, ma è comune con tutti. L'Europa non è una "città sul monte", come i Padri fondatori degli Stati Uniti vollero fare dell'America, per dare lezioni a tutti i popoli; l'Europa è una città sul mare, e il mare è una via, senza mura, per la quale si va e si viene. Dal mare, sconosciuti, arrivarono Enea e i Fenici; perseguitati e naufraghi arrivarono Pietro e Paolo; per mare sono partiti Marco Polo, Cristoforo Colombo, Vasco da Gama; per mare le lingue d'Europa si sono sparse sulla terra nella ultima Pentecoste che è la Pentecoste dei pagani. Se l'Europa non si fa patria del mondo, e non riconosce il mondo come sua patria, essa è finita.
La seconda è che l'Europa faccia uno Statuto del lavoro, come in Italia si fece uno Statuto dei lavoratori. Quello significò per l'Italia estirpare il lavoro dal regime privatistico nel quale era gestito come merce, e immetterlo in uno spazio pubblico nel quale i diritti erano messi in salvo, il conflitto sociale era tutelato e una vita accettabile doveva essere garantita per tutti. Non a caso oggi è sotto attacco. Uno Statuto del lavoro in Europea significherebbe togliere il lavoro dall'occhio del ciclone della crisi, e assicurare diritti di base e un reddito minimo per tutti, lavoratori fissi e precari, cittadini e stranieri, anche forzando le legislazioni nazionali; e vorrebbe dire riconoscere il diritto al lavoro come innato e appartenente all'essere umano come persona.
Sarebbe bella un'Europa "fondata sul lavoro", come l'Italia è nella nostra Costituzione; sarebbe davvero un modo di andare alle radici cristiane dell'Europa, se l'evento fondatore del cristianesimo è stato un Dio che si è fatto uomo, si è fatto servo, e perciò ha assunto e reso divino il lavoro, che era l'opera propria ed esclusiva del servo. Allora il primo articolo della Costituzione europea potrebbe essere: "L'Europa è una comunità democratica di persone e di Nazioni unite, fondata sul lavoro".
La terza cosa è' uno "Statuto dell'esule". Anche qui le "radici cristiane" dovrebbero farci ricordare che anche noi siamo stati esuli in ogni Paese, come lo furono gli Ebrei in Egitto; dovrebbero far pensare l'Europa come a una "città di rifugio", simile a quelle istituite nella terra di Canaan perché i fuggiaschi vi potessero trovare riparo sottraendosi ai "vendicatori del sangue"; dovrebbero suggerire di fare dell'Europa la sperata "casa di accoglienza per tutti i popoli".
E il primo articolo di questo Statuto dovrebbe dire così: "Nessun esule deve annegare nel Mediterraneo".
Raniero La Valle