Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo il testo della seguente conversazione tenuta al liceo scientifico "Isaac Newton" di Roma e trasmessa nel programma televisivo della Rai "Il grillo" del 10 novembre 1998, pubblicato sul notiziario "La nonviolenza è in cammino". - Studentess: Salve, professoressa. Volevo sapere quanto l'aspetto esteriore di una donna influisca nella sua ascesa al potere.
- Adriana Cavarero: Questa è una buona domanda. L'aspetto esteriore influisce perché ciò che viene ritenuto importante ed essenziale, in una donna, è la bellezza del suo corpo. Storicamente, quando una donna mira ad occupare posizioni importanti e di dominio, vengono sempre enfatizzate la sua bellezza e la sua corporeità, intese allo stesso tempo quali segni di inferiorità. Mentre l'uomo viene generalmente giudicato per la sua intelligenza e per le sue capacità, la donna è valutata soprattutto in base al suo aspetto fisico: un individuo di sesso femminile deve essere affascinante per assecondare il desiderio maschile. La donna in quanto corpo, storicamente, si pone nella posizione dell'oggetto, mentre il maschio diviene il soggetto del desiderio. Se una donna raggiunge posizioni di potere usando il corpo, si potrebbe dire che ella approfitta - a mio avviso giustamente - di questa componente. Si tratta tuttavia di un comportamento paradossale, perché sfrutta un elemento che pone la donna in posizione di inferiorità all'interno dell'ordine simbolico del potere, ossia dei valori che contano nella opinione comune.
- Studentessa: Perché è stato proposto il diritto sessuato? Il diritto non dovrebbe essere un'entità unica che accomuna tutti senza distinzioni?
- Adriana Cavarero: Così dovrebbe avvenire: infatti il diritto moderno - abbiamo qui un testo della Costituzione Italiana - non potrebbe mai essere definito come "sessuato" o anche come maschile, bensì come "neutro universale". Si tratta tuttavia di un trucco, perché il soggetto di tale diritto - ovvero il prototipo di individuo per il quale il diritto viene concepito - è l'essere umano di sesso maschile, a tal punto che il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione Italiana afferma che tutti i cittadini sono uguali senza differenza di sesso: con esso si vuole intendere che le donne sono uguali agli uomini, nonostante siano donne. È come se tale elemento di subordinazione fosse messo fra parentesi; si tratta di un'inferiorità sancita dai codici sociali, e non da leggi naturali, è quindi un'inferiorità costruita: "C'è, ma non ne teniamo conto e facciamo finta che le donne siano come gli uomini". In questo senso il diritto è egualitario, ma lo è solo formalmente. Tale principio di uguaglianza formale non funziona nella sostanza: in Parlamento come nella scuola, le cariche che contano sono quasi tutte occupate da uomini. Il fatto che esso non venga applicato è un chiarissimo sintomo della pretesa neutralità del diritto, il quale è in realtà sessuato al maschile e per questo non funziona. Non crediate che questo sia un argomento astratto: potreste parlarmi delle vostre esperienze, dei vostri rapporti fra sessi, oppure della vostra situazione familiare. La questione dei poteri fra i sessi non deve essere per forza intesa come un elemento essenzialmente teorico, perché potrebbe manifestarsi nella vita tutti i giorni.
Rispondete a questa domanda: c'è qualcuna tra di voi a cui pesa il fatto di essere una ragazza e non un ragazzo, che vive sulla propria pelle questa differenza?
- Studentessa: Sinceramente non sento tale differenza, probabilmente anche grazie alla mia famiglia e al contesto in cui vivo. Penso però che al Sud la diversità fra i sessi abbia più peso e si noti maggiormente, soprattutto rispetto ai paesi del Nord Europa. I movimenti femministi si sono sviluppati infatti in Occidente, e sono quasi tutti partiti dal Nord.
- Adriana Cavarero: Esatto. Tu mi stai quindi dicendo che non pensi esistano delle aspettative diverse, da parte della tua famiglia o della società, verso di te o verso tuo fratello o il tuo fidanzato?
- Studentessa: Ho solamente due sorelle, comunque non credo ci sarebbe stata concorrenza o differenza nelle aspettative.
- Adriana Cavarero: La maternità e la cura della casa - dei compiti sociali tipicamente femminili - sono importanti per te? Li percepisci come naturali?
- Studentessa: Sì, penso siano naturali, come credo sia naturale per l'uomo aiutare la donna seguendola nella maternità o dandole una mano nell'accudire la casa e nel portare avanti la famiglia. Se fra uomo e donna c'è amore, tale atteggiamento viene da sè.
- Adriana Cavarero: Tu hai usato il verbo "aiutare" e penso che questo sia indicativo: sicuramente si può parlare di aiuto per quanto riguarda la maternità, ma non penso si possa fare altrettanto relativamente alla cura della casa.
- Studentessa: Una cooperazione.
- Adriana Cavarero: Una cooperazione... forse avrai qualche delusione.
- Studentessa: Spero di no! Penso comunque che la mentalità della cooperazione - abbastanza comune nell'Italia centrale ed in quella del Nord - sia assente al Sud. Ho notato questa differenza in molti ragazzi che ho incontrato: mentre quelli del Nord sono più indipendenti e se la sanno cavare da soli, nel Sud persiste la mentalità secondo la quale deve essere la donna a fare determinate cose: molti ragazzi partono militari senza neanche essere capaci di rifarsi il letto, perché a casa loro erano la madre o la sorella a svolgere questa mansione.
- Adriana Cavarero: Non sono totalmente sicura che questa divisione Nord-Sud sia così netta. Credo che in parte dipenda anche dagli ambienti sociali: io abito al Nord e noto come in certe aree sociali ci sia ancora la mentalità che vede nella ragazza colei che deve badare alla casa, mentre i ragazzi non si sanno fare neanche il caffè. In ciò che hai detto trovo interessante la messa a fuoco di determinate "destinazioni naturali": la donna a casa e l'uomo al lavoro o nei luoghi di potere. Tu hai ovviamente sottolineato che tali affermazioni sono solo degli stereotipi, ma dal punto di vista filosofico costituiscono degli stereotipi non casuali, perché vengono elaborati teoricamente in maniera molto seria. Possiamo citare, ad esempio, la Politica di Aristotele, dove viene definita la natura del genere umano in quanto comprendente i due sessi, ma - e qui sta il trucco - in quanto rappresentata soprattutto dal sesso maschile. Questo è un passaggio logico che attraversa tutta la nostra cultura, tutta la tradizione occidentale.
Ancora oggi, nel linguaggio comune, si pronunciano frasi del tipo: "L'uomo del prossimo millennio sarà totalmente integrato nella tecnica", nelle quali con "uomo" si intende "genere umano". Se invece si dicesse: "La donna, nel terzo millennio, sarà totalmente integrata nella tecnologia", non si avrebbe più l'impressione di parlare del genere umano nella sua totalità, ma esclusivamente della sua parte femminile. Fin dalle origini della nostra cultura c'è stata questa corrispondenza - che si rispecchia anche nella lingua - fra il genere umano in quanto tale e l'uomo maschio che lo rappresenta. Ne segue che chi è diverso dall'uomo, ossia la donna, è mancante di qualcosa - del fallo, della ragione, della capacità di controllo, dell'autorità - e come tale inferiore. La superiorità e la perfezione del sesso maschile e l'inferiorità e l'imperfezione del sesso femminile, appartengono - secondo Aristotele - a due nature differenti: si tratta naturalmente di una natura costruita, di un concetto di natura che non deriva da una spontanea e genuina osservazione. Questi due ambiti - quello pubblico e politico per l'uomo, quello domestico e privato per la donna - vengono a costituirsi come stereotipi e a definire una relazione di potere. Il fatto che una donna sia priva di certe caratteristiche "femminili" - la dolcezza, essere portata per la maternità, essere brava ad accudire la casa - viene a tutt'oggi considerato anomalo. Uno dei luoghi in cui tali stereotipi vengono più spesso rappresentati è la pubblicità.
Nella stragrande maggioranza degli spot, infatti, la donna viene raffigurata o come una casalinga inquieta totalmente presa dal problema di ottenere delle lenzuola più bianche del bianco, o come una bellissima seduttrice che reclamizza prodotti a loro volta seduttori, quali possono essere automobili o liquori; l'uomo, da parte sua, è visto come un brillante uomo d'affari, oppure come un padre premuroso che torna dal lavoro mentre la mamma è già in casa.
- Studentessa: Volevo parlarle di un'esperienza che ho avuto quest'anno andando in vacanza in Sicilia: pensavo che alcune cose non esistessero più, che certi atteggiamenti radicati nella tradizione e legati ai ruoli sociali fossero scomparsi. Non sono così convinta che il riferimento ad un maggior sessismo del Sud costituisca semplicemente un luogo comune, perché mi sono accorta che alcuni ragazzi siciliani sperano ancora di potersi "crescere" la donna: vogliono stare insieme ad una ragazza più piccola per avere la garanzia che sia "inviolata", desiderano che lei sia vergine per potersela crescere fino alla fine. È una mentalità che mi ha scandalizzato e che forse è legata proprio al concetto secondo il quale la donna non è in possesso della ragione: una ragazza deve essere cresciuta perché non è abbastanza intelligente per farlo da sola.
- Adriana Cavarero: La questione della verginità è legata ad un'immagine e ad un'organizzazione del potere. La verginità è importante perché testimonia il fatto che quella donna non è mai stata di nessun altro e, con la deflorazione, il marito vi può porre un marchio e farla sua. L'elemento cardine diventa dunque il possesso: fra possesso e potere c'è un legame anche dal punto di vista terminologico e, in questo caso, la forma del potere è una forma di possesso. Lo stereotipo della cultura dominante, quindi, vede nella donna un oggetto perché solo un oggetto può essere posseduto, mentre un soggetto può casomai possedere. La rivoluzione sessuale, che appartiene alle donne della mia generazione, voleva proprio far notare come la sessualità e le pratiche sessuali fossero tradizionalmente considerate uno dei luoghi nei quali mettere in scena la cerimonia del possesso. Tale esigenza è sicuramente stata interpretata in maniera folcloristica: "Le donne che vogliono fare libero sesso sono donne poco serie!", anche se il movimento non era finalizzato a praticare sesso a gogò. Si voleva affermare la libertà delle proprie pratiche e delle proprie scelte sessuali e si voleva abbandonare una raffigurazione della verginità tutta proiettata verso le esigenze dell'uomo e del suo bisogno di apporre un sigillo sul corpo della sua donna. Ciò che si chiedeva era un rapporto alla pari. Nessun ragazzo vuole fare una domanda?
- Studentessa: In che modo la legge tutela la donna? Non mi riferisco solo al periodo della maternità, ma alla donna in quanto persona. È da poco passata una legge con cui si sancisce che lo stupro è un atto di violenza contro la persona e non più contro il costume...
- Adriana Cavarero: Per quanto riguarda la legge nei suoi sviluppi contemporanei, l'Italia si trova in una posizione molto avanzata. Coloro che se ne intendono mi dicono che, in materia di tutela della maternità sul lavoro, ci troviamo avanti persino a quei paesi che consideriamo più progrediti. È molto importante anche la legge sulla violenza sessuale, di cui hai parlato e che assume la donna come persona. Tuttavia, se si ritiene che un soggetto debba essere "tutelato", significa che in tale soggetto è vista una sorta di mancanza. Con questo non voglio dire che la maternità non debba essere tutelata: vorrei solo far notare come molte forme del linguaggio - quali "tutela", "protezione" e così via - sottolineino di nuovo il ruolo storico della donna, la quale viene inserita in rapporti di potere che la vedono in posizioni inferiori o di svantaggio.
- Studentessa: Ci sono donne che vorrebbero fare il servizio militare. Lei pensa che sia giusto dar loro questa possibilità?
- Adriana Cavarero: È una domanda molto buona, perché mette in luce un altro paradosso. Dal punto di vista dell'ordine simbolico - ovvero della tradizione - alle donne appartiene l'ambito della famiglia e della maternità, quindi della vita, mentre agli uomini viene attribuita la sfera della guerra e della politica, che è comunque fondata sulla guerra - pensate all'Iliade. Questo fa parte degli stereotipi. Quindi, se le ragazze vogliono fare il servizio militare, vuol dire che il loro desiderio va nella direzione dell'eguaglianza: "Anch'io sono capace di essere una guerriera".
Il paradosso sta nel fatto che tale spinta verso la parità, lungi dal cancellare gli stereotipi li rafforza, perché la ragazza si ritroverà a fare il soldato uniformandosi allo stereotipo maschile, quello del guerriero forte dotato di fucile che sfida e stermina il nemico. Alcune volte queste operazioni sembrano fornire una spinta verso l'uguaglianza, ma finiscono col rafforzare gli stereotipi.
Tra gli oggetti a nostra disposizione abbiamo una calza; anche a un ragazzo potrebbe venire il desiderio di imparare a fare la calza e penso sarebbe giusto, sebbene molto improbabile: nella scala dei valori, che coincide con la scala dei poteri, la forza militare è ritenuta come strettamente legata alle abilità del soggetto, mentre fare la calza o ricamare appartiene alla sfera domestica, che viene vista come molto secondaria al fine della civilizzazione. Anche qui gli stereotipi vengono rafforzati. Se vuoi la mia opinione, fra i desideri di eguaglianza delle ragazze il voler fare la carriera militare è quello che appoggerei di meno, anche perché non mi sento supporter di una cultura della guerra. Tu che ne pensi?
- Studentessa: Penso che se una ragazza nutre veramente il desiderio di diventare un soldato non sia giusto negarglielo, così come ritengo sbagliata la leva obbligatoria per i ragazzi.
- Adriana Cavarero: Mi pare che anche voi abbiate scelto un oggetto: dei preservativi. Avete pure portato il Viagra. Perché avete scelto questi oggetti? Chi li ha scelti?
- Studentessa: Secondo me il preservativo rappresenta una forma di potere dell'uomo sulla donna: è stato congegnato per essere usato dal maschio, il quale può decidere quando, come, e se usarlo. E la donna si ritrova spesso a sottostare al desiderio del ragazzo. Tutto ciò che lei ha detto è fondamentalmente giusto, penso però che di sbagli ne siano stati fatti anche da parte delle donne, le quali hanno permesso che succedessero certe cose. Credo sia vero che molto spesso la bellezza può rappresentare una marcia in più, ma il carattere non è da meno: non mi ritengo particolarmente bella, però grazie al mio carattere ho ottenuto molti risultati.
- Adriana Cavarero: Quello che hai detto è indubbiamente importante: "Individualmente sono capace di non restare un semplice oggetto e riesco a mettermi da sola nella condizione di soggetto". Capisco ed apprezzo molto il tuo discorso; tuttavia, rendersi complici di un processo storico profondo ed influente costituisce un problema, perché tale complicità ha tanti aspetti ed è molto complessa. Cosa intendo dire con il termine "complicità"? Certe volte è molto più facile aderire agli stereotipi che contrastarli, perché questo atteggiamento ti può rendere la vita meno complicata: essere una brava ragazza, fare la mamma e stare a casa può risultare più facile, mentre combattere contro le convenzioni ed affermare: "Io non mi riconosco in questa immagine" è estremamente faticoso: spesso alcune donne rinunciano a combattere. L'oggetto è tradizionalmente passivo, mentre il soggetto è attivo: farsi soggetto, vuol dire immettersi nella dimensione dell'attività.
Ci sono cose che mi fanno molto arrabbiare, sia come donna, sia come studiosa: alcuni dei maggiori settimanali culturali e politici italiani presentano spesso in copertina delle donne nude in posizioni oscene, e la fruizione di questi corpi femminili viene del tutto decontestualizzata rispetto al contenuto del settimanale, un contenuto politico-culturale, appunto. A voi che siete giovani, anche ai ragazzi, chiedo: al di là del comportamento personale - del porsi come soggetto o oggetto nei confronti del partner - e concentrandovi sull'ambito pubblico, quello della rappresentazione, ve la sentireste di fare qualche cosa contro queste copertine? Oppure pensate semplicemente: "Le cose vanno così". Negli Stati Uniti, ad esempio, c'è una legge che proibisce questo tipo di copertine: una donna nuda può andare bene per le riviste pornografiche, ma non può essere usata per vendere più copie di un settimanale di cultura e politica, solitamente destinato agli uomini. In altri paesi, quindi, oltre alla posizione della singola donna che dice: "Io voglio essere un soggetto e voglio essere attiva", c'è anche una presa di posizione politica da parte di donne e uomini che non apprezzano questo tipo di volgarità. In Italia, invece, non è presente tale interesse a combattere gli stereotipi. Siccome io ho questo interesse, vi chiedo: pensate che le cose debbano andare avanti così?
- Studentessa: Lei ha detto una cosa che condivido pienamente: ha affermato che in altri paesi sono gli stessi uomini a non apprezzare questo tipo di volgarità, mentre in Italia così non succede. Bisognerebbe, allora, ricercarne le cause: perché all'uomo italiano ancora piacciono queste immagini? Alcune volte si pensa che la risposta stia in una sorta di colpa alla donna, perché molti uomini potrebbero dire: "L'insoddisfazione tra le mura domestiche mi porta a ricercare qualcosa al di fuori di esse". Io sono indubbiamente d'accordo nel criticare tali copertine, penso però che la colpa sia al 50% degli uomini e al 50% di quelle donne che permettono succedano certe cose: se non ci fossero donne disposte a farsi fotografare nude, non ci sarebbe tali copertine. Ritengo comunque che gli uomini italiani che a cinquant'anni ancora vanno alla ricerca di donne nude o dei miracoli del Viagra, abbiano una mentalità malata: finché sei giovane sono problemi che puoi risolvere, ma se a 50-60 anni ancora hai bisogno di questo genere di cose, allora la colpa è solo tua. Anch'io sono convinta che si debba combattere questa strumentalizzazione, sia partendo dalle donne, sia portando avanti una rieducazione degli uomini.
- Adriana Cavarero: Hai ragione: una rieducazione degli uomini... ma anche delle donne. Non basta dire semplicemente: "Cari uomini, vi dovete comportare in maniera più civile e signorile". Bisogna riuscire ad agire su uno dei nodi fondamentali della nostra tradizione culturale: il potere fra i sessi. Si deve combattere quella gerarchia che da una parte pone l'uomo in posizione di superiorità rispetto alla donna e lo identifica con tutti gli ambiti del potere - di cui il fallo è un fortissimo simbolo - e dall'altra relega la donna a ruoli che spaziano tra due estremi significativi - madre casta e ragazza vergine o oggetto del desiderio e corpo che si offre ai desideri maschili. La madre e la prostituta: le due immagini del femminile che vengono offerte. Questa sì che è una questione di educazione, ma nell'accezione più seria della parola "educazione": si tratta di pensare diversamente il rapporto fra i sessi e l'ordine simbolico che vige fra di loro, ovvero di agire contro uno dei centri nodali di una cultura che ha più di duemila anni. Perché certe cose succedono in Italia e in altri paesi no? La cultura e la tradizione sono genericamente patriarcali, tanto in Italia, quanto - ad esempio - negli Stati Uniti, ma mentre negli Stati Uniti vige una sorta di "patriarcato illuminato" con alcune regole di convivenza che impediscono allo stereotipo di arrivare agli estremi, nella cultura italiana è presente un patriarcato retrivo: anche le minime pratiche di savoir faire e di civilizzazione non vengono messe in atto.
Tuttavia, ripeto, la soluzione non sta tanto nell'adeguare il patriarcato retrivo a quello illuminato, quanto nell'agire sulla cultura patriarcale in quanto tale e nel ripensare la differenza fra i sessi senza assimilarla all'uguaglianza. Ciò che i nostri occhi e i nostri sensi percepiscono, tutto ciò che è reale e che arriva alla nostra conoscenza e al nostro senso comune, pretende di avere un significato che sia realistico e che rispetti tale realtà: dire che i sessi sono uguali è una bugia, una costruzione logica menzognera. Alla differenza sessuale va dato un senso che valorizzi la differenza. C'è un modo di intendere le differenze in quanto collocate in una gerarchia di poteri: il bianco è meglio del nero, l'europeo è meglio del maghrebino, l'uomo è meglio della donna, il ricco è meglio del povero. Ma c'è anche un modo per pensare le differenze in senso non gerarchico: questa è la grande sfida al patriarcato.
- Studente: La pornografia rappresenta un'espressione del potere, oppure un'espressione della libertà dell'individuo?
- Adriana Cavarero: A mio avviso costituisce un'espressione del potere, perché la pornografia occidentale - parlo dell'Occidente perché non conosco l'Oriente - vede come oggetti del desiderio donne e bambini, ossia proprio quegli individui che sono messi in posizione inferiore nell'ordine sociale. Inoltre il corpo ritratto viene offerto ad uno sguardo di tipo "cannibalesco" che fruisce di ciò che è inerte, di ciò che non partecipa, e che si nutre di quello che è posto di fronte ad esso a mò di strumento di eccitazione: tutto ciò fa chiaramente parte di un organigramma del potere e non coincide mai con la libertà. Forse tu ti riferivi alla libertà di stampa e di opinione...
- Studente: Ma anche alla libertà individuale dell'attrice o della ragazza che si presta a sfruttare il proprio corpo per denaro, anche se probabilmente questa non è libertà, perché la donna si pone come oggetto.
- Adriana Cavarero: Io non la intendo come una libertà: è semplicemente un modo per guadagnare soldi - alcune volte molti soldi - che, all'inizio, ti permettono di sopravvivere. Da un punto di vista umano posso comprendere un individuo che debba vendere il suo corpo per denaro, ma non riterrei mai questa azione come un'espressione di libertà, anche perché la persona in questione si troverebbe nella necessità di fare qualcosa per sopravvivere.
- Studente: Crede che una scelta del genere sia sempre dettata dalla necessità di sopravvivere o pensa che a volte si provi piacere nell'agire così?
- Adriana Cavarero: Ritengo che la sessualità umana sia estremamente complicata e che, anche in questo caso, contenga elementi di piacere. È molto difficile definire cosa sia la libertà sessuale, bisogna però non cadere nello stereotipo - che per la prima volta sento tirare in ballo da un ragazzo, mentre di solito è più comune presso i miei coetanei maschi - secondo il quale in certe situazioni di sfruttamento, quali la pornografia o la prostituzione, la donna prova piacere. Tutto questo fa parte di un immaginario maschile; è frutto del desiderio maschile di possedere una donna oscena e scatenata, un essere dalla sessualità perduta completamente opposto alla sessualità delle donne che lo accudiscono: egli, infatti, non vorrebbe mai che la mamma, la sorella e la moglie fruissero di questo tipo di libertà sessuale. In secondo luogo, si pensa che la donna provi piacere a fare la prostituta o a esporre il suo corpo, perché si crede che il soggetto - vale a dire l'uomo - sia di per sè così affascinante e così capace di far godere, da far sì che lei non possa non essere soddisfatta.
Ripeto: nell'orizzonte così vario e così imprevedibile della sessualità umana, può darsi che qualche volta succeda che tali situazioni provochino piacere.
- Studente: Considerando il problema da un punto di vista religioso - in particolare della religione cristiana - non è possibile che la religione aumenti il divario fra uomo e donna? Il bambino, quando va a seguire il catechismo, impara che Dio creò Adamo e poi, da una costola di quest'ultimo, creò la donna per dargli una compagna: la donna viene quindi vista come seconda all'uomo.
- Adriana Cavarero: Come sai nel libro della Genesi esistono due versioni, a distanza di poche righe l'una dall'altra. La prima dice che Dio li creò maschio e femmina, ovvero che creò contemporaneamente il sesso maschile e il sesso femminile e, poche righe dopo, è presente la versione relativa alla costola di Adamo che tu citi, quella più nota. Questa seconda versione non fa altro che inserirsi nella tradizione occidentale, dove i simboli corrispondono a un comportamento coatto che dobbiamo per forza assimilare.
La religione - cristiana, ebraica, greca o romana che sia - presenta un'omogeneità nella rappresentazione della differenza sessuale, che viene intesa come rapporto di potere tra il sesso dominante maschile e il sesso dominato femminile. In questo senso l'insegnamento religioso ripete uno stereotipo culturale. Anche le materie che studiate al liceo e che vi sembrano lontanissime dal sacro ripetono lo stereotipo. Quando studiate la storia, per esempio, vi ritrovate ad imparare una serie di guerre e di battaglie che hanno tutte dei protagonisti maschili. Si potrebbe ovviamente citare Elisabetta I, ma capite bene che la presenza di una donna, così come di due o tre, non costituisce realmente un'eccezione: è casomai un'eccezione che conferma la regola. Vi insegnano la storia come se essa appartenesse all'universalità del genere umano, mentre sarebbe giusto - quando insegno filosofia mi comporto così - dire: "Vi insegno la storia della filosofia, la quale non si riferisce tanto ad un soggetto universale, quanto alla storia della filosofia virile pensata dagli uomini per gli uomini". Io nutro una grande passione per Platone ed Aristotele, noto però che vengono spesso presentati come se parlassero di un'oggettività valevole per tutti. Lo stesso Kant - che è molto più vicino a noi di Aristotele - quando parla di etica e del famoso imperativo categorico, pensa a un soggetto universale di sesso maschile, e non femminile. Sarebbe molto più onesto che i docenti segnalassero questo fatto, e diverse insegnanti lo fanno già. È vero che la religione costituisce uno dei modi con cui lo stereotipo viene riciclato, ma ciò viene messo in atto dall'intera cultura in tutti i suoi ambiti.
- Studentessa: Anch'io, come l'altra ragazza, ho avuto un'esperienza con degli amici del Sud, e mi sono resa conto del fatto che là vi sono ragazze coscienti dell'assurdità della loro situazione, anche se di fronte agli altri continuano a difendere lo stato di cose in cui si trovano. Ciò che mi dà più fastidio, appunto, è che - anche se nell'intimo soffrono profondamente e si sentono impotenti ed oppresse - tendono a nascondere la loro situazione e, soprattutto, non cercano di ribellarsi. In fondo, al giorno d'oggi, ci sono tanti modi per aprirsi al mondo: c'è la televisione e ci sono numerosi altri mezzi di comunicazione. Proprio non capisco perché queste ragazze non si pongano a confronto con ciò che vedono intorno a loro e non cerchino di ribellarsi.
- Adriana Cavarero: Perché, naturalmente, bisogna tenere conto del contesto. Ci sono certi contesti dove ribellarsi è più facile e ci sono altri contesti in cui risulta più difficile. Il tipo di educazione che si riceve in famiglia, a scuola e nell'ambiente in cui si vive, è fondamentale. Non sono molto convinta delle cose che continuate a ripetermi, dell'accento che ponete sulla diversità tra il Sud da una parte e il Nord e il Centro dall'altra: penso che il problema riguardi più le sfere sociali.
Posso solo dire - e in questo concordo con te - che la questione del potere fra i sessi non è un problema marginale o secondario, riguardante una specie di ritardo storico: non penso che, con un pò di pazienza, tale ritardo sarà riscattato da una società felice e paritaria, dove l'uomo e la donna non avranno più rapporti di potere. Ritengo invece - lo ho notato persino dalle vostre domande - che il potere fra i sessi sia presente all'interno del nostro modo di vivere nel mondo, e che costituisca un punto nodale le cui ragioni vanno combattute anche a livello di comportamento individuale. Alcuni di voi l'hanno sottolineato, ma è un problema che va compreso dal punto di vista filosofico o dal punto di vista delle discipline del sapere, che va analizzato in tutti i suoi complicati dettagli: non bisogna soltanto seguire il piacere che si prova nel distruggere un potere che non vogliamo più, ci si deve anche sforzare di costruire un nuovo modo di intendere la differenza sessuale, ossia di ripensare tale diversità, perché essa segna il corpo e la vita. È una grande scommessa nella quale dovrebbero essere impegnate proprio le giovani generazioni, perché costituisce una chiave per ristrutturare non solo i rapporti di potere fra i sessi, ma i rapporti di potere in quanto tali.
Vi saluto e vi ringrazio per la conversazione.
- Adriana Cavarero: Questa è una buona domanda. L'aspetto esteriore influisce perché ciò che viene ritenuto importante ed essenziale, in una donna, è la bellezza del suo corpo. Storicamente, quando una donna mira ad occupare posizioni importanti e di dominio, vengono sempre enfatizzate la sua bellezza e la sua corporeità, intese allo stesso tempo quali segni di inferiorità. Mentre l'uomo viene generalmente giudicato per la sua intelligenza e per le sue capacità, la donna è valutata soprattutto in base al suo aspetto fisico: un individuo di sesso femminile deve essere affascinante per assecondare il desiderio maschile. La donna in quanto corpo, storicamente, si pone nella posizione dell'oggetto, mentre il maschio diviene il soggetto del desiderio. Se una donna raggiunge posizioni di potere usando il corpo, si potrebbe dire che ella approfitta - a mio avviso giustamente - di questa componente. Si tratta tuttavia di un comportamento paradossale, perché sfrutta un elemento che pone la donna in posizione di inferiorità all'interno dell'ordine simbolico del potere, ossia dei valori che contano nella opinione comune.
- Studentessa: Perché è stato proposto il diritto sessuato? Il diritto non dovrebbe essere un'entità unica che accomuna tutti senza distinzioni?
- Adriana Cavarero: Così dovrebbe avvenire: infatti il diritto moderno - abbiamo qui un testo della Costituzione Italiana - non potrebbe mai essere definito come "sessuato" o anche come maschile, bensì come "neutro universale". Si tratta tuttavia di un trucco, perché il soggetto di tale diritto - ovvero il prototipo di individuo per il quale il diritto viene concepito - è l'essere umano di sesso maschile, a tal punto che il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione Italiana afferma che tutti i cittadini sono uguali senza differenza di sesso: con esso si vuole intendere che le donne sono uguali agli uomini, nonostante siano donne. È come se tale elemento di subordinazione fosse messo fra parentesi; si tratta di un'inferiorità sancita dai codici sociali, e non da leggi naturali, è quindi un'inferiorità costruita: "C'è, ma non ne teniamo conto e facciamo finta che le donne siano come gli uomini". In questo senso il diritto è egualitario, ma lo è solo formalmente. Tale principio di uguaglianza formale non funziona nella sostanza: in Parlamento come nella scuola, le cariche che contano sono quasi tutte occupate da uomini. Il fatto che esso non venga applicato è un chiarissimo sintomo della pretesa neutralità del diritto, il quale è in realtà sessuato al maschile e per questo non funziona. Non crediate che questo sia un argomento astratto: potreste parlarmi delle vostre esperienze, dei vostri rapporti fra sessi, oppure della vostra situazione familiare. La questione dei poteri fra i sessi non deve essere per forza intesa come un elemento essenzialmente teorico, perché potrebbe manifestarsi nella vita tutti i giorni.
Rispondete a questa domanda: c'è qualcuna tra di voi a cui pesa il fatto di essere una ragazza e non un ragazzo, che vive sulla propria pelle questa differenza?
- Studentessa: Sinceramente non sento tale differenza, probabilmente anche grazie alla mia famiglia e al contesto in cui vivo. Penso però che al Sud la diversità fra i sessi abbia più peso e si noti maggiormente, soprattutto rispetto ai paesi del Nord Europa. I movimenti femministi si sono sviluppati infatti in Occidente, e sono quasi tutti partiti dal Nord.
- Adriana Cavarero: Esatto. Tu mi stai quindi dicendo che non pensi esistano delle aspettative diverse, da parte della tua famiglia o della società, verso di te o verso tuo fratello o il tuo fidanzato?
- Studentessa: Ho solamente due sorelle, comunque non credo ci sarebbe stata concorrenza o differenza nelle aspettative.
- Adriana Cavarero: La maternità e la cura della casa - dei compiti sociali tipicamente femminili - sono importanti per te? Li percepisci come naturali?
- Studentessa: Sì, penso siano naturali, come credo sia naturale per l'uomo aiutare la donna seguendola nella maternità o dandole una mano nell'accudire la casa e nel portare avanti la famiglia. Se fra uomo e donna c'è amore, tale atteggiamento viene da sè.
- Adriana Cavarero: Tu hai usato il verbo "aiutare" e penso che questo sia indicativo: sicuramente si può parlare di aiuto per quanto riguarda la maternità, ma non penso si possa fare altrettanto relativamente alla cura della casa.
- Studentessa: Una cooperazione.
- Adriana Cavarero: Una cooperazione... forse avrai qualche delusione.
- Studentessa: Spero di no! Penso comunque che la mentalità della cooperazione - abbastanza comune nell'Italia centrale ed in quella del Nord - sia assente al Sud. Ho notato questa differenza in molti ragazzi che ho incontrato: mentre quelli del Nord sono più indipendenti e se la sanno cavare da soli, nel Sud persiste la mentalità secondo la quale deve essere la donna a fare determinate cose: molti ragazzi partono militari senza neanche essere capaci di rifarsi il letto, perché a casa loro erano la madre o la sorella a svolgere questa mansione.
- Adriana Cavarero: Non sono totalmente sicura che questa divisione Nord-Sud sia così netta. Credo che in parte dipenda anche dagli ambienti sociali: io abito al Nord e noto come in certe aree sociali ci sia ancora la mentalità che vede nella ragazza colei che deve badare alla casa, mentre i ragazzi non si sanno fare neanche il caffè. In ciò che hai detto trovo interessante la messa a fuoco di determinate "destinazioni naturali": la donna a casa e l'uomo al lavoro o nei luoghi di potere. Tu hai ovviamente sottolineato che tali affermazioni sono solo degli stereotipi, ma dal punto di vista filosofico costituiscono degli stereotipi non casuali, perché vengono elaborati teoricamente in maniera molto seria. Possiamo citare, ad esempio, la Politica di Aristotele, dove viene definita la natura del genere umano in quanto comprendente i due sessi, ma - e qui sta il trucco - in quanto rappresentata soprattutto dal sesso maschile. Questo è un passaggio logico che attraversa tutta la nostra cultura, tutta la tradizione occidentale.
Ancora oggi, nel linguaggio comune, si pronunciano frasi del tipo: "L'uomo del prossimo millennio sarà totalmente integrato nella tecnica", nelle quali con "uomo" si intende "genere umano". Se invece si dicesse: "La donna, nel terzo millennio, sarà totalmente integrata nella tecnologia", non si avrebbe più l'impressione di parlare del genere umano nella sua totalità, ma esclusivamente della sua parte femminile. Fin dalle origini della nostra cultura c'è stata questa corrispondenza - che si rispecchia anche nella lingua - fra il genere umano in quanto tale e l'uomo maschio che lo rappresenta. Ne segue che chi è diverso dall'uomo, ossia la donna, è mancante di qualcosa - del fallo, della ragione, della capacità di controllo, dell'autorità - e come tale inferiore. La superiorità e la perfezione del sesso maschile e l'inferiorità e l'imperfezione del sesso femminile, appartengono - secondo Aristotele - a due nature differenti: si tratta naturalmente di una natura costruita, di un concetto di natura che non deriva da una spontanea e genuina osservazione. Questi due ambiti - quello pubblico e politico per l'uomo, quello domestico e privato per la donna - vengono a costituirsi come stereotipi e a definire una relazione di potere. Il fatto che una donna sia priva di certe caratteristiche "femminili" - la dolcezza, essere portata per la maternità, essere brava ad accudire la casa - viene a tutt'oggi considerato anomalo. Uno dei luoghi in cui tali stereotipi vengono più spesso rappresentati è la pubblicità.
Nella stragrande maggioranza degli spot, infatti, la donna viene raffigurata o come una casalinga inquieta totalmente presa dal problema di ottenere delle lenzuola più bianche del bianco, o come una bellissima seduttrice che reclamizza prodotti a loro volta seduttori, quali possono essere automobili o liquori; l'uomo, da parte sua, è visto come un brillante uomo d'affari, oppure come un padre premuroso che torna dal lavoro mentre la mamma è già in casa.
- Studentessa: Volevo parlarle di un'esperienza che ho avuto quest'anno andando in vacanza in Sicilia: pensavo che alcune cose non esistessero più, che certi atteggiamenti radicati nella tradizione e legati ai ruoli sociali fossero scomparsi. Non sono così convinta che il riferimento ad un maggior sessismo del Sud costituisca semplicemente un luogo comune, perché mi sono accorta che alcuni ragazzi siciliani sperano ancora di potersi "crescere" la donna: vogliono stare insieme ad una ragazza più piccola per avere la garanzia che sia "inviolata", desiderano che lei sia vergine per potersela crescere fino alla fine. È una mentalità che mi ha scandalizzato e che forse è legata proprio al concetto secondo il quale la donna non è in possesso della ragione: una ragazza deve essere cresciuta perché non è abbastanza intelligente per farlo da sola.
- Adriana Cavarero: La questione della verginità è legata ad un'immagine e ad un'organizzazione del potere. La verginità è importante perché testimonia il fatto che quella donna non è mai stata di nessun altro e, con la deflorazione, il marito vi può porre un marchio e farla sua. L'elemento cardine diventa dunque il possesso: fra possesso e potere c'è un legame anche dal punto di vista terminologico e, in questo caso, la forma del potere è una forma di possesso. Lo stereotipo della cultura dominante, quindi, vede nella donna un oggetto perché solo un oggetto può essere posseduto, mentre un soggetto può casomai possedere. La rivoluzione sessuale, che appartiene alle donne della mia generazione, voleva proprio far notare come la sessualità e le pratiche sessuali fossero tradizionalmente considerate uno dei luoghi nei quali mettere in scena la cerimonia del possesso. Tale esigenza è sicuramente stata interpretata in maniera folcloristica: "Le donne che vogliono fare libero sesso sono donne poco serie!", anche se il movimento non era finalizzato a praticare sesso a gogò. Si voleva affermare la libertà delle proprie pratiche e delle proprie scelte sessuali e si voleva abbandonare una raffigurazione della verginità tutta proiettata verso le esigenze dell'uomo e del suo bisogno di apporre un sigillo sul corpo della sua donna. Ciò che si chiedeva era un rapporto alla pari. Nessun ragazzo vuole fare una domanda?
- Studentessa: In che modo la legge tutela la donna? Non mi riferisco solo al periodo della maternità, ma alla donna in quanto persona. È da poco passata una legge con cui si sancisce che lo stupro è un atto di violenza contro la persona e non più contro il costume...
- Adriana Cavarero: Per quanto riguarda la legge nei suoi sviluppi contemporanei, l'Italia si trova in una posizione molto avanzata. Coloro che se ne intendono mi dicono che, in materia di tutela della maternità sul lavoro, ci troviamo avanti persino a quei paesi che consideriamo più progrediti. È molto importante anche la legge sulla violenza sessuale, di cui hai parlato e che assume la donna come persona. Tuttavia, se si ritiene che un soggetto debba essere "tutelato", significa che in tale soggetto è vista una sorta di mancanza. Con questo non voglio dire che la maternità non debba essere tutelata: vorrei solo far notare come molte forme del linguaggio - quali "tutela", "protezione" e così via - sottolineino di nuovo il ruolo storico della donna, la quale viene inserita in rapporti di potere che la vedono in posizioni inferiori o di svantaggio.
- Studentessa: Ci sono donne che vorrebbero fare il servizio militare. Lei pensa che sia giusto dar loro questa possibilità?
- Adriana Cavarero: È una domanda molto buona, perché mette in luce un altro paradosso. Dal punto di vista dell'ordine simbolico - ovvero della tradizione - alle donne appartiene l'ambito della famiglia e della maternità, quindi della vita, mentre agli uomini viene attribuita la sfera della guerra e della politica, che è comunque fondata sulla guerra - pensate all'Iliade. Questo fa parte degli stereotipi. Quindi, se le ragazze vogliono fare il servizio militare, vuol dire che il loro desiderio va nella direzione dell'eguaglianza: "Anch'io sono capace di essere una guerriera".
Il paradosso sta nel fatto che tale spinta verso la parità, lungi dal cancellare gli stereotipi li rafforza, perché la ragazza si ritroverà a fare il soldato uniformandosi allo stereotipo maschile, quello del guerriero forte dotato di fucile che sfida e stermina il nemico. Alcune volte queste operazioni sembrano fornire una spinta verso l'uguaglianza, ma finiscono col rafforzare gli stereotipi.
Tra gli oggetti a nostra disposizione abbiamo una calza; anche a un ragazzo potrebbe venire il desiderio di imparare a fare la calza e penso sarebbe giusto, sebbene molto improbabile: nella scala dei valori, che coincide con la scala dei poteri, la forza militare è ritenuta come strettamente legata alle abilità del soggetto, mentre fare la calza o ricamare appartiene alla sfera domestica, che viene vista come molto secondaria al fine della civilizzazione. Anche qui gli stereotipi vengono rafforzati. Se vuoi la mia opinione, fra i desideri di eguaglianza delle ragazze il voler fare la carriera militare è quello che appoggerei di meno, anche perché non mi sento supporter di una cultura della guerra. Tu che ne pensi?
- Studentessa: Penso che se una ragazza nutre veramente il desiderio di diventare un soldato non sia giusto negarglielo, così come ritengo sbagliata la leva obbligatoria per i ragazzi.
- Adriana Cavarero: Mi pare che anche voi abbiate scelto un oggetto: dei preservativi. Avete pure portato il Viagra. Perché avete scelto questi oggetti? Chi li ha scelti?
- Studentessa: Secondo me il preservativo rappresenta una forma di potere dell'uomo sulla donna: è stato congegnato per essere usato dal maschio, il quale può decidere quando, come, e se usarlo. E la donna si ritrova spesso a sottostare al desiderio del ragazzo. Tutto ciò che lei ha detto è fondamentalmente giusto, penso però che di sbagli ne siano stati fatti anche da parte delle donne, le quali hanno permesso che succedessero certe cose. Credo sia vero che molto spesso la bellezza può rappresentare una marcia in più, ma il carattere non è da meno: non mi ritengo particolarmente bella, però grazie al mio carattere ho ottenuto molti risultati.
- Adriana Cavarero: Quello che hai detto è indubbiamente importante: "Individualmente sono capace di non restare un semplice oggetto e riesco a mettermi da sola nella condizione di soggetto". Capisco ed apprezzo molto il tuo discorso; tuttavia, rendersi complici di un processo storico profondo ed influente costituisce un problema, perché tale complicità ha tanti aspetti ed è molto complessa. Cosa intendo dire con il termine "complicità"? Certe volte è molto più facile aderire agli stereotipi che contrastarli, perché questo atteggiamento ti può rendere la vita meno complicata: essere una brava ragazza, fare la mamma e stare a casa può risultare più facile, mentre combattere contro le convenzioni ed affermare: "Io non mi riconosco in questa immagine" è estremamente faticoso: spesso alcune donne rinunciano a combattere. L'oggetto è tradizionalmente passivo, mentre il soggetto è attivo: farsi soggetto, vuol dire immettersi nella dimensione dell'attività.
Ci sono cose che mi fanno molto arrabbiare, sia come donna, sia come studiosa: alcuni dei maggiori settimanali culturali e politici italiani presentano spesso in copertina delle donne nude in posizioni oscene, e la fruizione di questi corpi femminili viene del tutto decontestualizzata rispetto al contenuto del settimanale, un contenuto politico-culturale, appunto. A voi che siete giovani, anche ai ragazzi, chiedo: al di là del comportamento personale - del porsi come soggetto o oggetto nei confronti del partner - e concentrandovi sull'ambito pubblico, quello della rappresentazione, ve la sentireste di fare qualche cosa contro queste copertine? Oppure pensate semplicemente: "Le cose vanno così". Negli Stati Uniti, ad esempio, c'è una legge che proibisce questo tipo di copertine: una donna nuda può andare bene per le riviste pornografiche, ma non può essere usata per vendere più copie di un settimanale di cultura e politica, solitamente destinato agli uomini. In altri paesi, quindi, oltre alla posizione della singola donna che dice: "Io voglio essere un soggetto e voglio essere attiva", c'è anche una presa di posizione politica da parte di donne e uomini che non apprezzano questo tipo di volgarità. In Italia, invece, non è presente tale interesse a combattere gli stereotipi. Siccome io ho questo interesse, vi chiedo: pensate che le cose debbano andare avanti così?
- Studentessa: Lei ha detto una cosa che condivido pienamente: ha affermato che in altri paesi sono gli stessi uomini a non apprezzare questo tipo di volgarità, mentre in Italia così non succede. Bisognerebbe, allora, ricercarne le cause: perché all'uomo italiano ancora piacciono queste immagini? Alcune volte si pensa che la risposta stia in una sorta di colpa alla donna, perché molti uomini potrebbero dire: "L'insoddisfazione tra le mura domestiche mi porta a ricercare qualcosa al di fuori di esse". Io sono indubbiamente d'accordo nel criticare tali copertine, penso però che la colpa sia al 50% degli uomini e al 50% di quelle donne che permettono succedano certe cose: se non ci fossero donne disposte a farsi fotografare nude, non ci sarebbe tali copertine. Ritengo comunque che gli uomini italiani che a cinquant'anni ancora vanno alla ricerca di donne nude o dei miracoli del Viagra, abbiano una mentalità malata: finché sei giovane sono problemi che puoi risolvere, ma se a 50-60 anni ancora hai bisogno di questo genere di cose, allora la colpa è solo tua. Anch'io sono convinta che si debba combattere questa strumentalizzazione, sia partendo dalle donne, sia portando avanti una rieducazione degli uomini.
- Adriana Cavarero: Hai ragione: una rieducazione degli uomini... ma anche delle donne. Non basta dire semplicemente: "Cari uomini, vi dovete comportare in maniera più civile e signorile". Bisogna riuscire ad agire su uno dei nodi fondamentali della nostra tradizione culturale: il potere fra i sessi. Si deve combattere quella gerarchia che da una parte pone l'uomo in posizione di superiorità rispetto alla donna e lo identifica con tutti gli ambiti del potere - di cui il fallo è un fortissimo simbolo - e dall'altra relega la donna a ruoli che spaziano tra due estremi significativi - madre casta e ragazza vergine o oggetto del desiderio e corpo che si offre ai desideri maschili. La madre e la prostituta: le due immagini del femminile che vengono offerte. Questa sì che è una questione di educazione, ma nell'accezione più seria della parola "educazione": si tratta di pensare diversamente il rapporto fra i sessi e l'ordine simbolico che vige fra di loro, ovvero di agire contro uno dei centri nodali di una cultura che ha più di duemila anni. Perché certe cose succedono in Italia e in altri paesi no? La cultura e la tradizione sono genericamente patriarcali, tanto in Italia, quanto - ad esempio - negli Stati Uniti, ma mentre negli Stati Uniti vige una sorta di "patriarcato illuminato" con alcune regole di convivenza che impediscono allo stereotipo di arrivare agli estremi, nella cultura italiana è presente un patriarcato retrivo: anche le minime pratiche di savoir faire e di civilizzazione non vengono messe in atto.
Tuttavia, ripeto, la soluzione non sta tanto nell'adeguare il patriarcato retrivo a quello illuminato, quanto nell'agire sulla cultura patriarcale in quanto tale e nel ripensare la differenza fra i sessi senza assimilarla all'uguaglianza. Ciò che i nostri occhi e i nostri sensi percepiscono, tutto ciò che è reale e che arriva alla nostra conoscenza e al nostro senso comune, pretende di avere un significato che sia realistico e che rispetti tale realtà: dire che i sessi sono uguali è una bugia, una costruzione logica menzognera. Alla differenza sessuale va dato un senso che valorizzi la differenza. C'è un modo di intendere le differenze in quanto collocate in una gerarchia di poteri: il bianco è meglio del nero, l'europeo è meglio del maghrebino, l'uomo è meglio della donna, il ricco è meglio del povero. Ma c'è anche un modo per pensare le differenze in senso non gerarchico: questa è la grande sfida al patriarcato.
- Studente: La pornografia rappresenta un'espressione del potere, oppure un'espressione della libertà dell'individuo?
- Adriana Cavarero: A mio avviso costituisce un'espressione del potere, perché la pornografia occidentale - parlo dell'Occidente perché non conosco l'Oriente - vede come oggetti del desiderio donne e bambini, ossia proprio quegli individui che sono messi in posizione inferiore nell'ordine sociale. Inoltre il corpo ritratto viene offerto ad uno sguardo di tipo "cannibalesco" che fruisce di ciò che è inerte, di ciò che non partecipa, e che si nutre di quello che è posto di fronte ad esso a mò di strumento di eccitazione: tutto ciò fa chiaramente parte di un organigramma del potere e non coincide mai con la libertà. Forse tu ti riferivi alla libertà di stampa e di opinione...
- Studente: Ma anche alla libertà individuale dell'attrice o della ragazza che si presta a sfruttare il proprio corpo per denaro, anche se probabilmente questa non è libertà, perché la donna si pone come oggetto.
- Adriana Cavarero: Io non la intendo come una libertà: è semplicemente un modo per guadagnare soldi - alcune volte molti soldi - che, all'inizio, ti permettono di sopravvivere. Da un punto di vista umano posso comprendere un individuo che debba vendere il suo corpo per denaro, ma non riterrei mai questa azione come un'espressione di libertà, anche perché la persona in questione si troverebbe nella necessità di fare qualcosa per sopravvivere.
- Studente: Crede che una scelta del genere sia sempre dettata dalla necessità di sopravvivere o pensa che a volte si provi piacere nell'agire così?
- Adriana Cavarero: Ritengo che la sessualità umana sia estremamente complicata e che, anche in questo caso, contenga elementi di piacere. È molto difficile definire cosa sia la libertà sessuale, bisogna però non cadere nello stereotipo - che per la prima volta sento tirare in ballo da un ragazzo, mentre di solito è più comune presso i miei coetanei maschi - secondo il quale in certe situazioni di sfruttamento, quali la pornografia o la prostituzione, la donna prova piacere. Tutto questo fa parte di un immaginario maschile; è frutto del desiderio maschile di possedere una donna oscena e scatenata, un essere dalla sessualità perduta completamente opposto alla sessualità delle donne che lo accudiscono: egli, infatti, non vorrebbe mai che la mamma, la sorella e la moglie fruissero di questo tipo di libertà sessuale. In secondo luogo, si pensa che la donna provi piacere a fare la prostituta o a esporre il suo corpo, perché si crede che il soggetto - vale a dire l'uomo - sia di per sè così affascinante e così capace di far godere, da far sì che lei non possa non essere soddisfatta.
Ripeto: nell'orizzonte così vario e così imprevedibile della sessualità umana, può darsi che qualche volta succeda che tali situazioni provochino piacere.
- Studente: Considerando il problema da un punto di vista religioso - in particolare della religione cristiana - non è possibile che la religione aumenti il divario fra uomo e donna? Il bambino, quando va a seguire il catechismo, impara che Dio creò Adamo e poi, da una costola di quest'ultimo, creò la donna per dargli una compagna: la donna viene quindi vista come seconda all'uomo.
- Adriana Cavarero: Come sai nel libro della Genesi esistono due versioni, a distanza di poche righe l'una dall'altra. La prima dice che Dio li creò maschio e femmina, ovvero che creò contemporaneamente il sesso maschile e il sesso femminile e, poche righe dopo, è presente la versione relativa alla costola di Adamo che tu citi, quella più nota. Questa seconda versione non fa altro che inserirsi nella tradizione occidentale, dove i simboli corrispondono a un comportamento coatto che dobbiamo per forza assimilare.
La religione - cristiana, ebraica, greca o romana che sia - presenta un'omogeneità nella rappresentazione della differenza sessuale, che viene intesa come rapporto di potere tra il sesso dominante maschile e il sesso dominato femminile. In questo senso l'insegnamento religioso ripete uno stereotipo culturale. Anche le materie che studiate al liceo e che vi sembrano lontanissime dal sacro ripetono lo stereotipo. Quando studiate la storia, per esempio, vi ritrovate ad imparare una serie di guerre e di battaglie che hanno tutte dei protagonisti maschili. Si potrebbe ovviamente citare Elisabetta I, ma capite bene che la presenza di una donna, così come di due o tre, non costituisce realmente un'eccezione: è casomai un'eccezione che conferma la regola. Vi insegnano la storia come se essa appartenesse all'universalità del genere umano, mentre sarebbe giusto - quando insegno filosofia mi comporto così - dire: "Vi insegno la storia della filosofia, la quale non si riferisce tanto ad un soggetto universale, quanto alla storia della filosofia virile pensata dagli uomini per gli uomini". Io nutro una grande passione per Platone ed Aristotele, noto però che vengono spesso presentati come se parlassero di un'oggettività valevole per tutti. Lo stesso Kant - che è molto più vicino a noi di Aristotele - quando parla di etica e del famoso imperativo categorico, pensa a un soggetto universale di sesso maschile, e non femminile. Sarebbe molto più onesto che i docenti segnalassero questo fatto, e diverse insegnanti lo fanno già. È vero che la religione costituisce uno dei modi con cui lo stereotipo viene riciclato, ma ciò viene messo in atto dall'intera cultura in tutti i suoi ambiti.
- Studentessa: Anch'io, come l'altra ragazza, ho avuto un'esperienza con degli amici del Sud, e mi sono resa conto del fatto che là vi sono ragazze coscienti dell'assurdità della loro situazione, anche se di fronte agli altri continuano a difendere lo stato di cose in cui si trovano. Ciò che mi dà più fastidio, appunto, è che - anche se nell'intimo soffrono profondamente e si sentono impotenti ed oppresse - tendono a nascondere la loro situazione e, soprattutto, non cercano di ribellarsi. In fondo, al giorno d'oggi, ci sono tanti modi per aprirsi al mondo: c'è la televisione e ci sono numerosi altri mezzi di comunicazione. Proprio non capisco perché queste ragazze non si pongano a confronto con ciò che vedono intorno a loro e non cerchino di ribellarsi.
- Adriana Cavarero: Perché, naturalmente, bisogna tenere conto del contesto. Ci sono certi contesti dove ribellarsi è più facile e ci sono altri contesti in cui risulta più difficile. Il tipo di educazione che si riceve in famiglia, a scuola e nell'ambiente in cui si vive, è fondamentale. Non sono molto convinta delle cose che continuate a ripetermi, dell'accento che ponete sulla diversità tra il Sud da una parte e il Nord e il Centro dall'altra: penso che il problema riguardi più le sfere sociali.
Posso solo dire - e in questo concordo con te - che la questione del potere fra i sessi non è un problema marginale o secondario, riguardante una specie di ritardo storico: non penso che, con un pò di pazienza, tale ritardo sarà riscattato da una società felice e paritaria, dove l'uomo e la donna non avranno più rapporti di potere. Ritengo invece - lo ho notato persino dalle vostre domande - che il potere fra i sessi sia presente all'interno del nostro modo di vivere nel mondo, e che costituisca un punto nodale le cui ragioni vanno combattute anche a livello di comportamento individuale. Alcuni di voi l'hanno sottolineato, ma è un problema che va compreso dal punto di vista filosofico o dal punto di vista delle discipline del sapere, che va analizzato in tutti i suoi complicati dettagli: non bisogna soltanto seguire il piacere che si prova nel distruggere un potere che non vogliamo più, ci si deve anche sforzare di costruire un nuovo modo di intendere la differenza sessuale, ossia di ripensare tale diversità, perché essa segna il corpo e la vita. È una grande scommessa nella quale dovrebbero essere impegnate proprio le giovani generazioni, perché costituisce una chiave per ristrutturare non solo i rapporti di potere fra i sessi, ma i rapporti di potere in quanto tali.
Vi saluto e vi ringrazio per la conversazione.