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17 febbraio 2022

Il 17 febbraio 1848 è una data che la società civile, moderna, democratica e liberale non dovrebbe limitarsi a citare, all’occasione, perché invece è una data che dovrebbe portare scritta nel cuore. Da allora, il tema della libertà religiosa è stato declinato per lo più nei termini del diritto e delle garanzie giuridiche accordate o anche riconosciute alle minoranze religiose in Italia. Si tratta di una storia lunga, ma lunga perché complessa e complessa perché fatta di avanzamenti e di ripiegamenti, che in tale sede non può essere neanche tratteggiata. Cionondimeno, a questo riguardo potrebbe servire rammentare che dopo il grande respiro, alle minoranze religiose - allora, soprattutto ebraica e protestante - reso possibile dallo Stato liberale, a cavallo tra Otto e Novecento, con i Patti lateranensi del 1929 si assiste a un’inversione, improntata a una riconfessionalizzazione cattolica romana dell’Italia, che alla società civile fa fare un salto indietro di oltre ottant’anni.

Con la caduta del regime fascista e la fine della seconda guerra mondiale riprende il dibattito parlamentare tra le culture politiche che nel frattempo hanno dato vita alla carta costituzionale (1948) . Tale dibattito culminerà con l’inizio di una stagione di intese tra lo Stato e le singole denominazioni confessionali e religiose presenti nel nostro paese. E ad aprire questa stagione, lo ricordo, è stata la Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi in Italia, nel 1984. Oggi, il clima è quello di una innegabile libertà religiosa, sebbene manchi ancora una legge generale, con un indirizzo filosofico giuridico su tutta la materia e riteniamo che manchi perché manca la «scrittura» della storia della libertà religiosa – in Italia – nella coscienza dei concittadini. Manca una formazione di base, relativa alla conoscenza della storia del fenomeno religioso nell’Europa moderna. E che manchi ancora siffatta formazione di base, lo si può rilevare innumerevoli volte, a partire dall’analisi del linguaggio dei politici e dei giornalisti, oltreché dal linguaggio con il quale tutti e tutte “ci” sentiamo comunicare.

Due giorni fa, una nota e apprezzata attrice comica, che nel suo curriculum vitae segnala alcuni anni di insegnamento quale maestra della Scuola elementare, nel corso di una molto seguita trasmissione televisiva su Rai3, in prima serata, commentando l’intervista di F. Fazio a J. Bergoglio prorompe in un: “noi italiani siamo fortunati ad avere questi due uomini, il Presidente della Repubblica in carica e il Papa”. Peccato che l’accostamento di queste due figure, il Presidente della Repubblica, massimo garante della Costituzione, rappresentante dell’Italia democratica e repubblicana, di una dimensione civile nella quale può riconoscersi ogni cittadino italiano, di qualunque fede egli o ella sia, e il Papa, manifesti proprio quella mancanza di formazione di base di cui dicevo. La fortuna degli italiani sarebbe da far risalire alla garanzia data da queste figure, il ché immediatamente richiama l’esercizio delle loro funzioni istituzionali, nonché la storia delle istituzioni che incarnano. Il 17 febbraio del 2022 ci ritroviamo a dover riflettere sulle ragioni per le quali ancora si segnalano di queste “sgrammaticature”. Chi parla in pubblico e da una rete televisiva dovrebbe fare attenzione e prepararsi. Cittadini siamo tutti e, a naso, molti e molte di fedi diverse. E mentre, con la rielezione dell’attuale Presidente della Repubblica posso cogliere il senso dello “scampato pericolo” per la nazione e al contempo sentirmi fortunato perché ad essere “richiamato” all’esercizio di quella funzione è stato il concittadino Sergio Mattarella, come cristiano sensibile al tema della libertà e dei diritti di tutti potrei non sentirmi a mio agio nel pensare ai tanti concittadini di fedi diverse che, come tali vengono invitati a rallegrarsi di questo Papa – bravissima persona e direi anche pastore responsabile: non è questo il punto in discussione. Quali cittadini vengono invitati a rallegrarsi, esprimendo con tale invito quale senso della comunità civile: gli italiani i protestanti, gli italiani ebrei, gli italiani musulmani, gli italiani buddisti, gli italiani atei, gli italiani agnostici, etc.?

Sarà che abbiamo sensibilità diverse e ci sta, come si suol dire, lo capisco. Ma appunto per questo il tema della formazione - intesa quale accoglimento della storia e della sensibilità di altri, sì, ma altri ai quali sono unito dal patto che si esprime nella cittadinanza - torna al centro e ci permette di ribadire che il diritto e le garanzie giuridiche «possono» fino a un certo punto e direi pure in modo molto limitato. La vera battaglia, se così posso esprimermi, è quella culturale. Il male dell’intolleranza, in ogni sua forma, anche quella “nascosta” in una voce del sen fuggita, francamente infelice, non si cura se non si radica culturalmente la convinzione del valore delle libertà religiose e della laicità delle istituzioni civili dello Stato. La libertà non arriva ovunque, dove solo l’amore può arrivare. E l’amore, d’altra parte, se non è libero difficilmente può vivere la pienezza della propria dignità e così crescere e innervare i rapporti, anche civili.

Massimo Marottoli (pastore valdese)